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Il crocifisso di San Damiano torna a casa

Protomonastero di S. Chiara, con il patrocinio della Diocesi e del Comune di Assisi, hanno voluto riportare il Crocifisso di San Damiano nella sua collocazione originaria

Il transito è importante perché ricorda uno dei fondamenti vocazionali di San Francesco.
San Damiano, la Chiesa attuale, noviziato dei Frati minori, era al tempo di Francesco una “statio Romea” in disuso, cioè un luogo, appena fuori le mura di Assisi (allora non c’era la E45) che conduceva i pellegrini a Roma. I quali si fermavano in questo luogo dedicato al Santo Damiano che assieme a San Cosma è protettore dei viandanti e dei pellegrini. Francesco aveva già iniziato il suo “rientro in se stesso” dopo gli eventi di Perugia e di Spoleto e, obbediente al comando del Signore, era tornato ad Assisi per comprendere cosa il Signore voleva.
“Signore cosa vuoi che io faccia?”.
Le sante domande hanno sempre animato la vita del Poverello che molto prima che puntare alla “realizzazione di sé” puntava a comprendere e discernere in Dio, cosa Dio desiderava per lui.
Nel cammino vocazionale di Francesco tre sono gli eventi che lo segnano.

Anzitutto quello dell’incontro del lebbroso che egli riporta anche nei suoi scritti: “Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo.” (FF110)
L’asciuttezza di questa narrazione, tipica di Francesco, non ci fa ben comprendere cosa questo incontro significhi per Francesco, che comunque era un giovane pieno di vita, dedito al bello, cagionevole di salute, amante del mondo e delle sue logiche. Modaiolo per gioia e bellezza.
La fiducia che Francesco ripone nel Signore non è mediata da intellettualismi, da fantasmi e da razionalizzazioni.
Non è frammentata da “ma, però, forse…”.. Ma piuttosto dalla immediatezza che nasce dall’amore. Questo piace a Dio. Per questo, ad esempio, la giovine Maria è la “sempre ancella del Signore”, perché è immediata nel sì! Così, per quanto possibile, accade anche a Francesco, uomo di fede schietta, pratica, senza “glosse”.

Il secondo evento importante è proprio quello di san Damiano dove Francesco in preghiera davanti al Sacro Crocifisso di questa chiesuola diroccata vive un fatto straordinario. Così le Fonti: “Era già del tutto mutato nel cuore e prossimo a divenirlo anche nel corpo, quando, un giorno, passò accanto alla chiesa di San Damiano, quasi in rovina e abbandonata da tutti. Condotto dallo Spirito, entra a pregare, si prostra supplice e devoto davanti al Crocifisso e, toccato in modo straordinario dalla grazia divina, si ritrova totalmente cambiato. Mentre egli è così profondamente commosso, all’improvviso–cosa da sempre inaudita!–l’immagine di Cristo crocifisso, dal dipinto gli parla, movendo le labbra, “ Francesco, – gli dice chiamandolo per nome – va’, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina “. Francesco è tremante e pieno di stupore, e quasi perde i sensi a queste parole. Ma subito si dispone ad obbedire e si concentra tutto su questo invito.” (FF593)
Francesco, dicevamo, era uomo diretto, dalla fede di slancio pratica ed amante e non immagina nemmeno lontanamente cosa Cristo gli chiedeva ma da quello che comprende “si gioca”. Su quello che egli comprende agisce. E comincia a fare il muratore, a riparare la Chiesa di San Damiano. E riparando la Chiesa, ripara se stesso. Qui si fonda l’ecclesiologia di Francesco che, ben più e ben prima, anche di coloro che prendono (erroneamente e maldestramente) a modello Santa Caterina da Siena, nel richiamare un pontificato tiepido, desiderano piuttosto riparare la Chiesa, riparando se stessi, convertendosi, giocandosi sul “comando del Signore”.
Qui, poi, Francesco riceve in dono dei fratelli.
Si badi bene, Francesco non sceglie delle persone simpatiche che hanno con lui consonanza di ideali e di vedute. Non si muove a ritmo di “apprezzamenti”, di consenso, di “mi piace”. Tanto meno fa lobby. No. Francesco riceve in dono. Lo dice, sempre nel Testamento: “E dopo che il Signore mi dette dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me la confermò.” (FF116)
Attorno a questo comando del crocifisso di San Damiano sorge dunque la prima comunità dei “fratelli minori” e più avanti essi stessi, aiutati dal Card. Ugolino di Ostia (poi Papa Gregorio IX), incontrano Papa Innocenzo III ottenendo l’approvazione orale della loro regola. Anzi della prima “Formae Vitae” di cui si trova traccia verbale e sostanziale, sia nella regola non bollata del 1221 che in quella definitiva del 1223. Non era consentito ad un ordine, in quegli anni, regole proprie, ma grazie all’approvazione orale della prima “Formae Vitae”, i frati minori hanno, nel 1223, una propria regola. Questo distacca totalmente Francesco dai movimenti “pauperistici” dell’epoca.
Egli vuole ricevere da Dio e sa bene, per intuito sopraffino nella fede, che Cristo conferma nel Suo Vicario in terra. Così accadrà successivamente per l’indulgenza plenaria della Porziuncola, prima grande “Perdonanza” plenaria, fuori dai pellegrinaggi in Terra Santa.
Sappiamo poi come quell’incontro non subì immediata “riconoscenza” da parte del Pontefice e Francesco fu mandato a pascolare i porci. Egli, vuoto da sovrastrutture, ci andò immediatamente. Lo chiede il “signor papa”, ed io ci vado.
Ma grazie a quell’obbedienza schietta, immediata, vigorosa, il Santo Padre sognò che il Laterano (San Pietro ancora non c’era) veniva retto e difeso da colui che aveva mandato a pascolare i porci. L’obbedienza cambia la storia. Costruisce la storia. Quella vigorosa, che mette le radici. E che nessuno può togliere.
Questo costante ripetere di Francesco nel dire “mi dette”, “mi diede”, sottolinea, inoltre, l’imponenza di quest’uomo semplice e diretto. Non costruito, disarmato e reso a Cristo. Erroneamente infatti si fa risalire il carisma proprio dei Frati Francescani nella povertà. Ma non è Madonna Povertà quella che caratterizza Francesco, piuttosto il suo “essere minore”. Questo chiede ed esige dai suoi frati: “siano minori”, cioè “sottomessi a tutti”.
La minorità “informa”, cioè dona sostanza, alla povertà, perché c’è sempre qualcuno di cui essere dinamicamente “ai piedi”. Sia che si tratti di un fratello o di una sorella nella fede. Che di un bimbo, che di un povero, che di un malato, che di un ricco, che di un ladro, che di un ateo.. Francesco nel suo essere “minore” non ha confini. Kenoticamente pronto sempre e comunque. E i due eventi, quello del lebbroso e del crocifisso di San Damiano, sono, pertanto, speculari, uniti, senza divisione né mescolanza.
Il volto di qualunque fratello e l’orazione e la devozione, sono per il Minore di Assisi, inscindibili.

Terzo evento fondamentale nella vita di Francesco è quello della Porziuncola. Terza chiesuola restaurata da san Francesco. Un giorno, durante la Santa Messa ebbe un sussulto che richiama quell’Enthousiasmós di Gesù al ritorno dei 72 discepoli dalla predicazione (Mt. 11,25-30). Una danza di gioia, di centratura di sé: “Ma un giorno in cui in questa chiesa si leggeva il brano del Vangelo relativo al mandato affidato agli Apostoli di predicare, il Santo, che ne aveva intuito solo il senso generale, dopo la Messa, pregò il sacerdote di spiegargli il passo. Il sacerdote glielo commentò punto per punto, e Francesco, udendo che i discepoli di Cristo non devono possedere né oro, né argento, né denaro, né portare bisaccia, né pane, né bastone per via, né avere calzari, né due tonache, ma soltanto predicare il Regno di Dio e la penitenza (Mt 10,7-10; Mc 6, 8-9; Lc 9,1-6), subito, esultante di spirito Santo, esclamò: “Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore!”. S’affretta allora il padre santo, tutto pieno di gioia, a realizzare il salutare ammonimento; non sopporta indugio alcuno a mettere in pratica fedelmente quanto ha sentito: si scioglie dai piedi i calzari, abbandona il suo bastone, si accontenta di una sola tunica, sostituisce la sua cintura con una corda. Da quell’istante confeziona. per sé una veste che riproduce l’immagine della croce, per tener lontane tutte le seduzioni del demonio; la fa ruvidissima, per crocifiggere la carne e tutti i suoi vizi (Gal 5,24)e peccati, e talmente povera e grossolana da rendere impossibile al mondo invidiargliela!” (FF356)

Difficile descrivere quanto la macerazione nella preghiera e nella penitenza di quei primi anni abbia profuso in Francesco in quell’evento della Porziuncola. Egli smise i panni dell’eremita e assunse i panni della predicazione itinerante. Nacque così la “vita religiosa moderna”. Dalla “Stabilitas loci” dei monaci alla itineranza evangelica. Tutto tornava, tutto era inquadrato perfettamente, il desiderio profondo della creatura si incontrava con il desiderio del creatore. Come l’entusiasmo di Cristo al ritorno dei 72, come l’esultanza di Adamo alla vista della donna “Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa.” (Gen. 2,23), come la gioia disarmata e resa di Giobbe “Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono.” (Gb. 42,5).

L’evento del ritorno storico del Sacro Crocifisso di San Damiano a questo santuario è dunque importante per comprendere come la questione delle questioni è proprio la nostra vocazione. Il comprendere chi siamo. Il farci dare un nome da Dio. Un nome unico nella nostra storia unica, in questo contesto, in questa Chiesa, in questo periodo. Nel contempo imparare a fare le giuste domande a Dio. Domande oneste, radicali, profonde, scavate.
Tanto agitarci nella nostra vita, tante inquietudini, tante lotte e tanti contrasti, tante infermità, tante ribellioni e “pugni iniqui” tra fazioni e correnti, anche dentro la Chiesa, persino la questione antropologica del “gender”, è sovente una domanda mal posta ed una risposta ancora non ricevuta su chi siamo. Sul nome unico ricevuto dal Padre. Per questo non è presente in noi quell’ Enthousiasmós, quella gioia “in uscita”, nella lode, nella gratitudine e nello stupore, a cui oggi, ancora una volta, ci richiama lo Spirito, tramite Pietro.
Ma con Francesco, il minore, ripetiamo, davanti al Sacro Crocifisso di San Damiano: “Chi sei Tu, o dolcissimo Iddio mio? Che sono io, vilissimo vermine e disutile servo tuo?” (Attribuita a San Francesco in Actus beati Francisci et sociorum eius) L’estate è il tempo del “vacate et videte” (Sl. 46,11) del “fermarci per riconoscere Cristo” e farci ri-conoscere, nominare, definire, plasmare da Lui.
Al nostro urlo e grido del cuore, radicale, oserei dire ontologico, che parte da noi e che neanche noi, talvolta, consapevolmente, riconosciamo, lo Spirito urla e grida di più.
Dio stesso ha il desiderio di rispondere alla nostra istanza più radicale e più profonda: dirci chi siamo.
Per questo Egli è Padre e ce lo dice nell’Amore.

Fonte: di Paul Freeman |cristianocattolico.it

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