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​L’isola dei bambini

Quando l’infanzia è sollecitata a riplasmare il mondo costruito dagli adulti

Particolarmente sentito è il problema della sicurezza e del rapporto con eventuali “stranieri” che potrebbero raggiungere l’isola. Qui le risposte cambiano sia in base all’età sia in relazione al contesto geografico e alla provenienza dei bambini. Di fronte alla notizia dell’imminente arrivo di una nave di sconosciuti, un gruppo di sette anni di Mazara del Vallo reagisce compatto proponendo di dare ospitalità, di offrire loro del cibo e un tetto, insomma di «essere educati» ed «essere amici». La stessa emergenza, sottoposta a gruppi appena più grandi, genera risposte che pongono l’accento sulla necessità di difendersi, come «costruire un muro intorno all’isola», o di attaccare, come «fabbricare delle catapulte». Stupisce la generale ritrosia nei confronti della presenza di adulti sull’isola, avvertiti come elementi potenzialmente destabilizzanti perché non saprebbero rinunciare alle loro «dipendenze» da computer e telefoni cellulari e perché tenderebbero a imporre le loro idee senza neppure ascoltare le opinioni dei figli. Non mancano tuttavia voci fuori dal coro, che insistono sull’impossibilità di fare a meno dei genitori e del loro affetto: sono loro che «ci aiutano con i problemi» e «senza di loro ci possiamo sentire soli». Ingegnosa è la soluzione escogitata da alcuni bambini di Pisa, secondo i quali andrebbe progettato un tunnel sott’acqua che collega l’isola alle abitazioni dei genitori, a condizione però che siano soltanto i più piccoli ad avere accesso alla struttura e a decidere spontaneamente quando attraversarla.

Dal volume emerge dunque un ritratto sfaccettato e vivace, caratterizzato dall’alternanza di fasi di avanzamento e momenti di stallo, dovuti il più delle volte alla difficoltà nel formulare una proposta fuori dagli scenari consueti: «Voi pensate alle cose facili, ma bisogna fare le cose difficili», nota infatti un bambino rilevando come la desiderabilità e la realizzabilità di un progetto non sempre coincidano. Si scopre allora che non esistono risposte giuste o sbagliate, tutt’al più opinioni che a prima vista sembravano ovvie, ma che a uno sguardo più approfondito si rivelano lacunose e costringono il bambino ad esercitare il dubbio e ad ampliare il proprio sguardo, accettando o criticando i suggerimenti dei compagni o del filosofo. È così che, creando e imitando, i bambini possono trasformarsi in costruttori di «mondi intermedi», come mette bene in evidenza nella prefazione al libro di Mori lo storico della filosofia Alfonso Maurizio Iacono, pioniere della filosofia con i bambini in Italia. Ecco allora che l’esercizio del pensiero critico diventa un potenziale strumento di emancipazione dai luoghi comuni e dagli stereotipi diffusi nella società, attraverso il quale imparare a guardare in modo nuovo ciò che ci circonda.

Fonte: Giovanni Cerro | Aleteia.org

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