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Unioni civili, torna il Family day e c’è il sostegno dei vescovi

Marcia a fine gennaio. Bagnasco: nessuna istituzione deve oscurare la famiglia Paralleli A giugno non ci fu il sigillo ufficiale della Cei, ora potrebbe tornare lo schema del 2007

ROMA Il «segnale» è arrivato. Ieri mattina. Poco prima di attaccare implicitamente il governo Renzi e il Pd che marciano dritti verso l’approvazione in Senato del disegno di legge sulle unioni civili, sottolineando che «nessun’altra istituzione deve oscurare la realtà della famiglia», il cardinale Angelo Bagnasco ha dato il via libera al «sostegno» che la Conferenza episcopale italiana darà al Family day . L’«operazione», partita ufficiosamente ieri, porterà a una grande marcia in programma a Roma, con tutta probabilità sabato 30 gennaio. E potrebbe riproporre praticamente lo stesso schema che nel biennio 2006-2008 vide opposta la Cei guidata da Camillo Ruini da un lato, e Palazzo Chigi all’epoca guidato da Romano Prodi dall’altro.

Sono settimane che nell’eterogeneo fronte dei comitati in difesa della famiglia si pensa al remake del 20 giugno scorso, quando centinaia di migliaia di persone si presentarono in piazza San Giovanni a Roma per protestare contro le unioni civili, ma senza il sostegno ufficiale dei vescovi. A dicembre, secondo quanto si mormora sull’asse che lega i moderati in Parlamento e Oltretevere, la questione arriva sull’uscio della casa di Santa Marta, dove risiede papa Francesco. E lì si ferma.
La regola d’ingaggio del Vaticano – che si riassume nella formula «la Chiesa non è contraria a un Family day ma sono i laici che devono prendere l’iniziativa» – si presta a più chiavi di lettura. Fino a ieri mattina. Quando il cardinal Bagnasco, prima di lanciare da Genova il suo appello contro tutto quello che «indebolisce la centralità della famiglia», non decide di sposarne una sola, di chiavi di lettura. Quella che porta dritto verso il «sostegno» della Cei alla manifestazione contro il governo. E quindi a quella marcia che andrà in scena sabato 30 gennaio.

A sentire il professor Massimo Gandolfini, il portavoce del Comitato «Difendiamo i nostri figli» che organizzò la manifestazione del giugno scorso, si ottengono solo conferme. Sono solo poche parole, che però non lasciano spazio ad alcun fraintendimento: «L’appuntamento con la grande manifestazione in difesa della famiglia tradizionale è sempre più vicino. E posso anche dirle che ci sarà senz’altro una grossa adesione dei vescovi diocesani». E ancora: «La nostra sarà una grande battaglia culturale in difesa di due principi. Il primo è che non ci può essere alcun tipo di omologazione, né formale né sostanziale, tra la famiglia prevista dalla Costituzione. Il secondo è la salvaguardia di quei valori a cui non siamo disposti a rinunciare».

Ancora qualche giorno, insomma, e si capirà se quella tra Renzi e Bagnasco assomiglierà o meno alla sfida che vide opposti, quasi dieci anni fa, il «cattolico adulto» Prodi e la Cei del cardinal Ruini. In vista della battaglia parlamentare, che sarà scandita da numerosi voti segreti (soprattutto sulla «stepchild adoption», la possibilità di adottare il figlio biologico del partner), ciascuna forza politica presidia il suo blocco di partenza. C’è un Pd che discute, gli alfaniani che minacciano ripercussioni sulla tenuta della maggioranza («No a prove muscolari su un tema divisivo», ha scritto ieri in una nota il capogruppo ncd al Senato Schifani), i berlusconiani che aspettano, i 5 Stelle pronti a votare col Pd, la pattuglia guidata da Quagliariello che affila le armi, e che martedì presenterà i suoi emendamenti al ddl Cirinnà e anche le pregiudiziali di costituzionalità. Da ieri, però, tutto è cambiato. C’è il nuovo Family day all’orizzonte. E quell’eterno «vado-non vado» che detterà i tempi al dibattito interno a tutte le forze politiche. Rischiando di spaccarle, trasversalmente, tutte. O quasi .

Fonte: Corriere della Sera.it

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