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In Cisgiordania Netanyahu prova a seppellire lo Stato palestinese prima che nasca

Tutti gli occhi su Gaza, e intanto nella West Bank il governo israeliano demolisce il progetto “due Stati per due popoli” a colpi di nuovi insediamenti, incursioni militari e violenze dei coloni

Il progetto di piano di pace per Gaza presentato da Donald Trump a Benjamin Netanyahu non contiene nulla di esplicito per quanto riguarda la Cisgiordania, né il suo destino è stato prefigurato nelle conferenze stampa prima e dopo l’annuncio del piano. Il presidente Usa aveva manifestato la sua contrarietà sabato scorso all’ipotesi dell’annessione di quel territorio da parte di Israele. «Non lo permetterò», ha dichiarato Trump.

C’è qualcosa che il testo di pace in 20 punti lascia intendere implicitamente, laddove si parla del ruolo dell’Autorità nazionale palestinese (Anp, che in teoria amministra la Cisgiordania) “riformata” nella futura amministrazione di Gaza, e laddove la statualità palestinese viene evocata, cioè al punto 19: «Nella misura in cui lo sviluppo di Gaza avanza e il programma di riforma dell’Autorità nazionale palestinese viene portato avanti coerentemente, potrebbero finalmente crearsi le condizioni per un percorso credibile verso l’autodeterminazione e la sovranità palestinese, che riconosciamo come aspirazione del popolo palestinese».

Tanto è bastato per sollevare le ire dei ministri della destra radicale Smotrich e Ben-Gvir, mentre il capo di gabinetto di Netanyahu, Yossi Fuchs, ha voluto sottolineare che l’Anp non soddisferà mai le condizioni necessarie alla sua riforma. Quanto al capo del governo, all’inaugurazione di un insediamento legale di coloni nella West Bank a metà di settembre Netanyahu ha detto nel corso del suo discorso: «Uno Stato palestinese non verrà creato. Questo posto è nostro. Ci prenderemo anche cura della nostra eredità, del nostro paese e della nostra sicurezza».

Insediamenti a ritmi record

Queste levate di scudi si comprendono bene se si fa la ricognizione di quello che in Cisgiordania è successo dopo il pogrom del 7 ottobre 2023, e che va ben al di là dell’ordine del giorno approvato il 23 luglio dal parlamento israeliano circa l’annessione formale di tale territorio ad Israele. In particolare, nel corso di quest’anno il governo ha approvato nuovi insediamenti ebraici a un ritmo record, mentre i coloni hanno stabilito un numero senza precedenti di avamposti informali, spesso approvati dal governo a posteriori.

Netanyahu ha iniziato a implementare progetti rimasti in sospeso per decenni, tra cui un piano per sviluppare un’ampia area a est di Gerusalemme che spaccherebbe in due la Cisgiordania, rendendo sempre più problematica la praticabilità di uno Stato palestinese; ha approvato un piano per riprendere la registrazione catastale dei terreni in Cisgiordania, sospesa sei decenni fa, che potrebbe costringere i palestinesi a presentare documenti precedenti alla fondazione di Israele per dimostrarne la proprietà, pena la potenziale confisca; ha dispiegato reparti dell’esercito nei campi profughi palestinesi collocati nella West Bank, che in base agli accordi di Oslo del 1993 dovrebbero restare sotto il controllo esclusivo dell’Anp, e sfollato decine di migliaia di loro abitanti.

Infine – ed è la cosa più preoccupante – ha dato adito di ritenere che fornisca supporto ai coloni radicali che attaccano gli insediamenti palestinesi: questi attacchi contro persone e proprietà secondo i residenti e secondo gruppi di attivisti per i diritti umani come l’israeliana Peace Now sono progettati per cacciare i palestinesi dalle loro terre.

Il ruolo di Smotrich

Bezalel Smotrich, che oltre che ministro delle Finanze è il punto di riferimento e il principale stratega del movimento dei coloni, ha trasferito il controllo degli affari civili in molte aree della West Bank dall’amministrazione militare a quella di un direttore civile di sua nomina all’interno del ministero della Difesa e sotto la sua supervisione. Questo aggiustamento ha permesso di ridurre in modo significativo i tempi burocratici per ottenere l’approvazione di nuovi insediamenti di coloni e delle infrastrutture al loro servizio. In breve tempo è stato possibile sbloccare il progetto di sviluppo di una zona industriale fermo da trent’anni, un grande parco solare a terra e l’ampliamento dell’autostrada 60, la principale arteria stradale della Cisgiordania.

Nel maggio scorso il governo ha anche deciso di istituire 22 nuovi insediamenti in Cisgiordania, il numero più alto mai approvato in una sola volta dopo gli accordi di Oslo. Le 24 mila unità abitative approvate quest’anno rappresentano il doppio del precedente record annuale. Nel frattempo, gli avamposti informali si sono moltiplicati rapidamente. Spesso, una volta ottenuti i permessi governativi, si trasformano in insediamenti formali. Con 60 insediamenti già realizzati quest’anno, il tasso è circa otto volte superiore alla media annuale degli ultimi anni.

La riesumazione del progetto E1

Di tutti i progetti però quello che avrà le maggiori conseguenze, tanto da essere considerato un punto di svolta, è l’espansione abitativa di un’area collinare nota come E1 che si trova a oriente di Gerusalemme Est, e che, una volta costruita, collegherà la capitale di Israele (dichiarata tale dal parlamento israeliano nel 1980) al grande insediamento di Ma’ale Adumin, che conta attualmente 42 mila abitanti. Il progetto era fermo dai tempi dell’ultimo governo Rabin, cioè da trent’anni, a causa dell’opposizione internazionale al progetto. Il governo israeliano ha dato l’approvazione definitiva allo sviluppo edilizio di E1 a fine agosto, dopo un processo di revisione accelerato.

Secondo il piano, il governo investirà quasi 1 miliardo di dollari per costruire 3.400 nuove unità abitative nell’area, più altre 4.200 unità a Ma’ale Adumin per espanderla verso est, raddoppiando sostanzialmente la sua attuale popolazione. Tutte le infrastrutture di supporto saranno contestualmente realizzate.

Chi oppone al progetto

L’opposizione al progetto, che in passato era fatta propria anche dagli Stati Uniti, deriva dal fatto che l’espansione di E1 e di Ma’ale Adumin taglia in due la Cisgiordania, isolando i principali centri abitati palestinesi e impedendo così la contiguità territoriale di qualsiasi futuro Stato palestinese. Ma per Netanyahu e i suoi alleati, questo è esattamente il punto: si tratta di rendere impraticabile l’ipotesi di uno Stato palestinese pienamente autonomo, non solo accrescendo la quantità di popolazione ebraica nella West Bank (già oggi si calcola che gli israeliani insediati in Cisgiordania siano mezzo milione, sparsi fra 150 colonie, ai quali vanno aggiunti altri 230 mila che hanno preso residenza a Gerusalemme Est, fino al 1967 sotto il controllo della Giordania), ma soprattutto isolando gli insediamenti palestinesi gli uni dagli altri; questo non accade solo nell’area a est di Gerusalemme, ma anche in altre zone sensibili.

In sostanza accade in tutta l’area della Cisgiordania a nord di Gerusalemme, nella quale gli insediamenti seguono la logica di una linea di congiunzione fra la valle del Giordano, che è tutta zona C secondo gli accordi di Oslo (cioè zona sotto il pieno controllo israeliano per la sicurezza, con possibilità di pianificazione e costruzione), e il territorio israeliano pre-1967.

Occupazione, demolizione, sfollamento

Un obiettivo più immediato dell’espansione delle colonie ebraiche è quello di rendere più difficili gli attacchi terroristici di singoli e gruppi presenti in Cisgiordania attraverso l’isolamento logistico, e questa è anche la ragione per cui all’inizio dell’anno le forze armate israeliane hanno occupato due campi profughi nei pressi di Tulkarem e di Nur Shams e un terzo nella città settentrionale di Jenin, sfollando complessivamente circa 40 mila residenti. Otto mesi dopo l’esercito è ancora presente, ed è la prima volta che mantiene per così tanto tempo il controllo di aree urbane poste sotto l’Anp.

L’obiettivo di prevenire attacchi terroristici pare essere stato almeno in parte raggiunto: secondo le fonti israeliane, gli attacchi provenienti dalla Cisgiordania sono diminuiti di due terzi dall’inizio dell’operazione. Durante questo periodo, l’esercito ha demolito centinaia di edifici residenziali per asfaltare ampi viali attraverso i tre campi per consentire il passaggio dei veicoli militari. Ciò ha lasciato migliaia di persone senza casa in cui tornare, se e quando l’esercito si ritirerà.

L’aumento vertiginoso delle violenze

Ultimo ma non meno importante, negli ultimi due anni gli attacchi dei coloni contro i palestinesi in Cisgiordania sono aumentati esponenzialmente. Associazioni israeliane e internazionali per i diritti umani affermano che questi attacchi mirano spesso a espellere gli abitanti dei villaggi dalle loro terre e a espandere la presenza ebraica. In questo periodo, gli attacchi hanno costretto 3 mila persone ad abbandonare le loro case solo nell’Area C amministrata da Israele. L’Onu ha verificato 927 attacchi dei coloni che hanno causato vittime (morti e feriti) o danni alla proprietà nei primi sette mesi di quest’anno, ma il numero probabilmente è più alto.

Testimonia Yair Dvir dell’associazione israeliana per i diritti umani B’Tselem: «Assistiamo a un enorme aumento nel numero di incidenti, nella loro brutalità, nel numero di coloni che vi prendono parte e – cosa molto importante – nel modo in cui l’esercito vi prende effettivamente parte. Si vedono soldati in uniforme e armati che partecipano ai furti o che non partecipano, ma semplicemente se ne stanno in disparte, vedono la violenza e non fanno nulla».

Fonte: Rodolfo Casadei | Tempi.it

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