San Francesco torna a essere celebrato come avveniva fino al 1977. Un riconoscimento per i temi mai così attuali del poverello di Assisi: pace, fraternità, solidarietà, tutela dell’ambiente

San Francesco d’Assisi nell’affresco di Cimabue all’interno del Sacro Convento di Assisi – AnsaE così Francesco d’Assisi, il santo poverello, il giullare di Dio, il mistico, il fondatore dell’Ordine dei Francescani, l’inventore della poesia in lingua italiana, colui che con la scelta della povertà e la provocazione della pace sfidò la Chiesa del suo tempo e sovvertì il mondo, l’antesignano dell’ecologia, una delle figure più venerate della cristianità e più rispettate della laicità, il patrono d’Italia… è tornato a essere celebrato ogni 4 ottobre come festa nazionale, come avveniva fino al 1977, quando la riduzione dell’orario di lavoro per le solennità civili fu rimossa e nel giorno di San Francesco si tornò a scuola e al lavoro. Anni di contestazione e di scelte laiciste, certo, ma soprattutto questione di soldi, perché anche le solennità hanno un costo e persino i giganti della storia, come il santo di Assisi, ne fanno le spese.

Si deve a due proposte di legge – una di Noi moderati e una di Fratelli d’Italia – se oggi il Parlamento ha ripristinato la festa nazionale del 4 ottobre dopo quasi mezzo secolo: dopo il sì della Camera la settimana scorsa, oggi la Commissione Affari Costituzionali del Senato in sede deliberante ha confermato l’approvazione della legge. Non che ci fossero dubbi sul risultato, non solo perché la proposta arrivava dalla maggioranza, ma perché oggettivamente l’attualità di San Francesco non può che richiamare ogni fronte politico e di pensiero alla coerenza di valori che sono condivisi e universali, tanto più urgenti in un’epoca in cui l’umanità ha riscoperto tragicamente il suo volto più barbaro e incivile.

Nel 2026 cadrà l’800esimo anniversario della morte del santo, una data attesa da tempo con fervore creativo e anticipata da numerosi eventi culturali in questi ultimi anni, pubblicazioni, opere letterarie e teatrali, persino musical, che via via hanno ripercorso le tappe più “popolari” della vita di Francesco, dagli 800 anni del primo presepe da lui ideato a Greccio nel 1223, all’incontro nello stesso anno con papa Onorio III che approva definitivamente la sua regola basata sul Vangelo e sull’osservanza della povertà, della castità e dell’obbedienza, alla comparsa delle stigmate nel 1224, alla sua morte avvenuta il 3 ottobre del 1226 (mezz’ora dopo il tramonto in epoca medievale aveva inizio il giorno legale successivo).

Volenti o nolenti, la sua biografia resta scolpita nel Dna più intimo di tutti noi, cristiani o non credenti, scandita dai fermo-immagine più noti: Francesco che si denuda davanti al vescovo rinunciando ai beni materiali e alle ricchezze di suo padre Giovanni di Pietro di Bernardone, Francesco che infiamma l’anima di chi lo incontra e lo segue nella sua splendida follia, Francesco che dialoga con gli uccelli, con frate vento, con le nuvole, il cielo sereno ed ogni tempo, perché tutto è creato e creatura, Francesco che loda il Signore anche per la malattia e la sofferenza, dichiarando beati coloro che sapranno sopportarle in pace. Francesco che loda anche “nostra sora” la morte corporale, “dalla quale nessun uomo vivente può scampare”, ma che “non farà alcun male” a quelli che le andranno incontro con il cuore in pace.

La pace: sintesi somma dell’attualità di Francesco. Attratto da ragazzo dalla cosiddetta “arte” della guerra, prese le armi per la ghibellina Assisi contro Perugia la guelfa, fece scorrere il sangue, chissà, probabilmente uccise. Restò ferito, fu fatto prigioniero e cadde malato. Ma proprio l’esperienza della violenza aprì in lui la breccia della conversione, la compassione per i piccoli del mondo, quella febbre d’amore che lo porterà a predicare la fratellanza verso ogni creatura. È da questa scoperta che discende tutto il resto: se il Padre è uno per tutti e se tutti siamo suoi figli, la pace, la solidarietà, la compassione, la condivisione, il dialogo tra culture e religioni, il rispetto per ogni forma di vita e di creatura diventano conseguenze naturali. È questo anche oggi il senso di un 4 ottobre festa nazionale e non solo religiosa, tant’è che non a caso la data, seppure “retrocessa” dai calendari delle festività scolastiche e lavorative, dal 2005 celebra la Giornata della pace e del dialogo interculturale e interreligioso. Lo ricordano anche i testi delle due proposte di legge, precisando tra le finalità i temi universali vissuti da Francesco: “Pace, fraternità, solidarietà, tutela dell’ambiente”.

In un’Europa che è tornata a tremare sotto il fuoco dei bombardamenti, in questo mondo che proprio nella terra di Cristo vede l’annientamento disumano e capillare di un’intera popolazione palestinese, capro espiatorio della ferocia di Hamas, il messaggio di San Francesco è forse l’unico antidoto che ancora può fermare la scelleratezza. Non si tratta di utopia un po’ romantica, si tratta di storia: infuriava la quinta Crociata e nulla aveva da invidiare in quanto a crudeltà a ciò che avviene oggi. Era il 1219, poco più di otto secoli fa, e Francesco (lo stesso che pochi anni prima aveva sognato sì le Crociate, ma di partire come guerriero) salpò da Ancona per raggiungere il “nemico”, il sultano al-Malik al- Kamil, e proporgli la pace. Il sultano non si convertì, ma riconobbe in Francesco un uomo di Dio, desiderò ardentemente dialogare con lui e instaurare un’amicizia fraterna.

Oggi quel gesto è considerato un evento storico di portata immensa, l’inizio del dialogo possibile tra religioni e culture. E che non sia un’utopia lo dimostra il fatto che il “metodo” funziona anche oggi, quando trova uomini disposti ad applicarlo. Don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, 800 anni dopo salpò dalla stessa Ancona con altri cinquecento “folli d’amore” come lui, per marciare insieme nel cuore di Sarajevo assediata dai serbi. Era l’11 dicembre del 1992, da mesi nemmeno le camionette dell’Onu osavano più entrare nel “vialone della morte” crivellato dai cecchini. Sarajevo era Gaza, ma quei cinquecento disarmati realizzarono l’utopia della pace: chi osa sparare contro una folla che sfila senza armi sul terreno di battaglia? Finché loro restarono, la guerra si fermò.

Funziona. È l’invenzione di San Francesco. È la pace disarmata e disarmante di papa Francesco e papa Leone XIV. È l’unica risposta attuale e attuabile alla pazzia della guerra, al riarmo come unica soluzione, al ritorno di Trump a un “ministero della Guerra”. Insomma, chi avrebbe potuto contrastare il ripristino del 4 ottobre? C’è solo un ostacolo, sempre quello, il denaro: come ogni festa nazionale anche questa ha un costo, determinerà cioè una maggiorazione in busta paga per chi lavorerà e toccherà allo Stato farsi carico delle retribuzioni extra, ovvero 10,6 milioni di euro, di cui 8,8 milioni per il personale sanitario e 1,8 per polizia, forze armate e vigili del fuoco. La Commissione Bilancio, quella che tiene i conti, ha comunque ottenuto che le celebrazioni siano “possibili ma non obbligatorie”, ovvero “non comportino oneri a carico delle scuole e delle amministrazioni locali”. Insomma, va bene San Francesco e il suo messaggio, ma che non costi. Il problema, comunque, è rimandato: nel 2026 gli 800 anni dalla salita al Cielo del santo di Assisi cade di domenica! Dei conti si riparlerà nel 2027.