«Ma anche dopo il proiettile che ho ricevuto io non perdo la speranza»
Lunedì, festa dei santi Arcangeli. Di buon mattino, Alessandro e Gennaro, i poliziotti che rischiano la loro vita per tutelare la mia, mi accompagnano a Napoli. Da tempo ho promesso alle mie amiche monache di clausura di predicare loro un corso di esercizi spirituali. Una grazia. Il silenzio ovattato, le volte altissime, le tele annerite, l’ordine, il coro ligneo intagliato, il canto dolcissimo delle suore mi trasportano in un tempo senza tempo. Ne avevo bisogno. Un dono del Signore. Domenica, infatti, è stata, per me e per la mia comunità, una giornata pesante. Alla Messa dei bambini, Vittorio, un uomo che conosco e al quale voglio bene, si è messo in fila per ricevere l’Eucarestia. Strano, non lo fa mai. Vittorio non è una persona qualsiasi, purtroppo, è il suocero di Mimmo Ciccarelli, appartenente al clan camorristico Sautto – Ciccarelli. Suo genero è in carcere, insieme alla moglie, ai fratelli e allo stesso Sautto. Approfittando di questo vuoto di potere, sabato sera, i loro avversari hanno fatto irruzione nel quartiere, terrorizzando gli abitanti con una doppia “stesa”. Che cos’è una stesa? Un corteo di motociclisti che sfrecciano sparando colpi all’impazzata. Un linguaggio.
Stanno dicendo che, da quel momento, in quel quartiere, comandano loro. Ancora increduli e impauriti, dopo la sparatoria, ci accingiamo a celebrare la Messa, quando Vittorio, anch’egli visibilmente scosso, entra in chiesa e si ferma a chiacchierare con noi. A un certo punto, dice: «A me, nessuno potrà mai fare niente: sono stato ritenuto incapace di intendere e di volere». Con questa diagnosi, evidentemente, si sente al sicuro. Di atteggiamenti strani e pericolosi, Vittorio, in questi anni, ne ha avuti tanti. Un giorno mi pose una domanda a bruciapelo: «Tu ci credi che ti voglio bene?» «Sì, Vittorio, sono certo che mi vuoi bene» risposi. In un impeto di estrema sincerità: «Eppure, se “loro” mi dicono di farlo, debbo obbedire». E scappò via. Tentava di mettermi in guardia da qualcuno? Non lo so. Il mese scorso, sempre esprimendosi in modo sibillino dopo avermi “consigliato” di desistere dal mio impegno sociale, disse: «Ricordi quel parroco che ammazzarono? Quel tuo amico, don Diana? Lo sai perché fu ucciso? Perché parlava troppo…». Domenica, davanti all’altare, mentre gli donavo il Corpo di Cristo, mi ha messo in mano qualcosa avvolto nella carta di giornale. Purtroppo, all’interno dell’involucro c’era un proiettile. I poliziotti della mia scorta e quelli della scorta di Marilena, una coraggiosa amica giornalista, lo hanno subito bloccato. Ne è seguita una certa confusione. Io avevo un solo il pensiero: non impaurire i bambini presenti, due dei quali “speciali” stavano con me sull’Altare. Vittorio è stato arrestato. Come evolveranno le cose non lo so. So solo che da quando, due anni fa, il governo in carica, rispondendo a un mio disperato appello, è arrivato a Caivano e ha preso di petto una situazione incresciosa che il tempo aveva incancrenito, qualcosa sta cambiando. Parco Verde, la mia parrocchia, non è più la più grande piazza di spaccio d’Europa. Per assicurarsi il potere, in questi anni, i diversi clan camorristici hanno decretato la morte di decine di persone. Risale solo a pochi mesi fa, la collaborazione di due giovani sicari. Furono loro a uccidere Emilio e Gennaro, ma il mandante fu Tonino Ciccarelli, il fratello del genero di Vittorio. Messo alle strette, Tonino è stato costretto a confessare.
A Vittorio, a Mimmo, a Tonino, a Nicola, a tutti quelli che hanno imboccato questa strada maledetta, io, cristiano e prete, ancora una volta, dico: «Figlioli, vi voglio bene. Sapervi in carcere mi rattrista. Le mani sporche di sangue mi fanno orrore; offendono Dio, me, voi, i vostri figli, la Chiesa, l’intera umanità. Nel nome di Gesù, pentitevi. Fatevi e fateci questo regalo. La bomba fatta esplodere al cancello della mia parrocchia, le intimidazioni, le offese, le calunnie, il proiettile non mi fanno cambiare idea. Un giorno ho scoperto il Vangelo, me ne sono innamorato. Ho il dovere di donarlo a voi. Lo so, siete arrabbiati con me. Mi ritenete responsabile del vostro declino, e forse è vero. Me lo avete detto tante volte: che c’entra il Vangelo con la droga? Ditemi: avreste voluto un prete tutto chiesa, incenso, processioni, madonnine… silenzio? Sono convinto che sareste stati i primi a respingere un prete codardo e menefreghista, che se ne infischiasse della vostra salvezza eterna. Ho cercato di salvarvi, fino a oggi non ci sono riuscito, ma non perdo la speranza. Ricordo, uno per uno, i nomi e i volti di coloro che sono stati uccisi nella nostra parrocchia. Quanti? Tanti. Penso che, almeno in Italia, e forse in Europa, questo triste primato spetti a noi. Nel nostro quartiere ghetto, per loro e per voi ho pregato, ho pianto. Sono rimasto inorridito, ho tremato, ho avuto paura, ma non vi ho mai lasciato. Avete capito perché, in questi anni, non ho mai smesso di gridare al mondo la mia rabbia, il mio sconcerto, il mio dolore? Sognavo di vedervi liberi, sereni felici. Desideravo essere vostro amico, mettere al sicuro i vostri figli. Ve lo confesso: ogni volta che un giovane veniva ammazzato o moriva di overdose, con lui sono morto un poco anch’io. Non tutto è perduto, però. L’ultima parola non è la morte ma la resurrezione. Il carcere serve a punirvi ma anche a redimervi. Forza, il Signore non ci abbandona. Lasciamoci riconciliare con Dio. Ho bisogno anch’io del vostro perdono. Non per aver denunciato il male, il marcio, la droga, il malaffare, le collusioni politiche; ma per non essere stato capace di farvi innamorare di Gesù, l’unico che davvero ci ama alla follia e per il quale vale la pena spendere la propria vita».
Fonte: Maurizio Patriciello | Avvenire.it