Durante gli esami di settembre si sono presentati una studentessa in top e un ragazzo in canottiera traforata. Ho avuto da ridire (tuttavia un un collega più giovane non era d’accordo…). Basterebbe il buon senso e invece sono necessarie indicazioni sia per le ragazze che per i ragazzi, così sfatiamo il mito che solo le prime esagerano
La fine e l’inizio dell’anno scolastico sono sempre periodi bollenti. Non solo per le temperature che a giugno ci fanno sognare l’ombrellone e a settembre ci fanno sospirare “ma quando arriva l’autunno?”, ma anche perché gli studenti vivono in quel limbo esistenziale: già in vacanza o non ancora a scuola. E così varcano la porta dell’aula con mise che farebbero arrossire pure un bagnino di Rimini. Le ragazze sfoggiano canottierine scollatissime, spalline del reggiseno che sventolano allegre e shorts inguinali che gridano vendetta al pudore. I ragazzi, per non essere da meno, arrivano in bermuda hawaiani e infradito, pronti a un aperitivo sulla spiaggia piuttosto che a una lezione di matematica. E lì, lo confesso, la battuta mi scappa sempre: “Paletta e secchiello li avete dimenticati fuori?”.
Per questo, quando ho letto della Dirigente di un istituto superiore di Taormina che ha fatto stampare e distribuire un dépliant di quattro pagine con tanto di illustrazioni e foto finali sul “dress code ammesso” e “dress code vietato” (tra cui pantaloni a vita bassa, minigonne, short, jeans strappati, scritte volgari sulle magliette o tacchi a spillo), mi sono sentita meno la solita maestrina bacchettona. Lo ammetto: un po’ ho applaudito. L’idea del dépliant sarà anche sopra le righe ma ha un suo fascino democratico: regole chiare sia per le ragazze che per i ragazzi, così sfatiamo il mito che solo le prime esagerano. Durante gli esami di settembre, per esempio, mi sono trovata davanti una studentessa in top e un ragazzo in canottiera traforata, a mio parere entrambi decisamente fuori luogo. Il mio giovane collega di scienze però non era d’accordo: ne è nata una discussione appassionata che ha messo in luce più che altro la nostra differenza anagrafica. Io resto convinta che la forma sia anche sostanza, anche se, certo lo so, sembrano battaglie di retroguardia. E forse i soldi pubblici sarebbe meglio investirli in progetti più seri per la crescita dei ragazzi.
Ma resta il fatto che il buon senso non costa nulla e qualche regola sull’abbigliamento, inserita nel regolamento d’istituto, male non fa. Perché la scuola, se non è un luogo sacro, è comunque un luogo di lavoro e di crescita. E lì, oltre al rispetto delle diversità dei giovani, un po’ di riguardo anche per noi “agée” non guasterebbe.
Fonte: Paola Spotorno | FamigliaCristiana.it