Dopo la sua conversione, Agostino scrisse opere filosofiche e teologiche che hanno lasciato un’impronta culturale e religiosa enorme. Dalle Confessioni alla Città di Dio, fino al De Trinitate, diamo uno sguardo ai suoi capolavori.
«Uomo di passione e di fede, di intelligenza altissima e di premura pastorale instancabile, questo grande santo e Dottore della Chiesa è spesso conosciuto, almeno di fama, anche da chi ignora il cristianesimo o non ha consuetudine con esso, perché egli ha lasciato un’impronta profondissima nella vita culturale dell’Occidente e di tutto il mondo». Con queste parole, papa Benedetto XVI – nell’udienza generale del 9 gennaio 2008 – dipingeva il ritratto di sant’Agostino (354-430), di cui oggi ricorre la memoria liturgica.
La figura di Agostino, a distanza di secoli, affascina ancora e tanto. Forse perché in lui ogni cristiano può ritrovarsi, almeno un poco. La sua biografia, infatti, si presenta come il cammino di un uomo che grazie all’incontro con Gesù diviene un uomo nuovo. Vengono in mente le parole di san Paolo: «Se uno è in Cristo è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove» (2 Cor 5,17). E dal santo d’Ippona, dopo la sua conversione, di cose nuove ne sono nate tante, anzi tantissime. Cose che ci dicono della sua conoscenza degli uomini e di Dio, acquisita durante il suo cammino umano e di fede, che il santo vescovo ha voluto incastonare tra le pagine delle sue opere filosofiche e teologiche.
Iniziamo dalle Confessioni, vere e proprie pagine autobiografiche che potrebbero benissimo considerarsi anche un trattato sull’uomo e sulla sua sempiterna ricerca di sé stesso e di Dio. L’incipit ci proietta, fin da subito, nell’animo dell’illustre autore. È un inno al Signore: «Tu sei grande, Signore, e ben degno di lode; grande è la tua virtù, e la tua sapienza incalcolabile. E l’uomo vuole lodarti, una particella del tuo creato, che si porta attorno il suo destino mortale, che si porta attorno la prova del suo peccato e la prova che tu resisti ai superbi. Eppure l’uomo, una particella del tuo creato, vuole lodarti». È questa la preghiera di un uomo che guarda in alto, che rivolge il proprio sguardo e il proprio cuore al cielo. Lì, dove risiede La Città di Dio, titolo di un’altra opera ritenuta dai critici uno dei capolavori di Agostino, suddivisa in 22 libri: pagine che trattano temi come la giustizia, il male, la provvidenza divina e la relazione tra Chiesa e Stato. Nell’opera viene evidenziata una sorta di dicotomia tra ciò che riguarda la terra e ciò che riguarda il cielo. La prima, la terra, è rappresentata dall’Impero romano, ossia da quella che Agostino chiama “Città terrena”: quest’ultima è corrotta, dominata solamente dalla brama di potere. Dall’altra parte, invece, troviamo la “Città divina”: il contrario di quella “terrena”, appunto; l’amore di Dio, il suo pilastro. Inoltre è importante ricordare la sua lettura storica dell’umanità. Una lettura che mette in luce, soprattutto, il carattere provvidenziale dell’azione del Creatore: Dio, infatti, in un certo modo, può essere interpretato come “responsabile” della Storia, non solamente perché capace di governare tutto, ma anche perché da ogni evento nefasto riesce a trarre frutti buoni.
Ad ogni opera di sant’Agostino corrisponde un tema ben definito. È così per il De vera religione (La vera religione), opera scritta contro il manicheismo. Pagine che descrivono dove l’uomo possa trovare la vera felicità: solamente in Dio, quello della fede cristiana s’intende. E se l’umanità incorre nel peccato, quindi in definitiva nell’infelicità, è solo per sua volontà: e ciò avviene ogni qualvolta si allontana dal Creatore. Infine, il testo agostiniano può essere letto come un vero e proprio invito ad affidarsi all’unica vera religione: quella del Cristo morto e risorto.
Già nell’incipit del De doctrina christiana (La dottrina cristiana) troviamo il contenuto di tutti e quattro i libri che la compongono: «Vi sono alcuni insegnamenti circa il modo di interpretare le Scritture, che ritengo opportuno proporre a quanti attendono a questo studio». L’opera venne scritta da Agostino poco dopo esser divenuto vescovo d’Ippona. Sono pagine che si concentrano sull’esegesi della Sacra Scrittura: il santo invita il lettore a leggere la Parola di Dio soprattutto sul piano spirituale più che su quello allegorico, seppur anche questo sia presente nelle pagine bibliche.
Ancora più esplicativo l’incipit del De Trinitate (La Trinità): «I libri sulla Trinità, sommo e vero Dio, li cominciai da giovane e li ho pubblicati da vecchio. Avevo smesso quest’opera dopo aver scoperto che m’erano stati portati via anzitempo o trafugati i libri prima ancora ch’io avessi potuto condurli a termine e sottoporli a un’accurata revisione, com’era mia precisa volontà. Avevo infatti stabilito di pubblicare quei libri non già separatamente, ma tutti insieme secondo il suddetto criterio per il fatto che i seguenti sono connessi strettamente ai precedenti dal filo della progressiva indagine». È assai singolare che Agostino definisca indagine il suo studio, in latino «inquisitione». E, in una certa misura, di vera e propria indagine si tratta: pagine che custodiscono una sequela di esempi (che trae dalle varie filosofie) per poter, alla fine, affermare la verità del Dio uno e trino.
Certamente non è esaustivo questo viaggio a volo d’angelo sulle opere scritte dal santo vescovo d’Ippona, perché sono tante le opere – definite “minori” – che alimentano la sua vasta produzione letteraria. Dal De Magistro (Il Maestro) al Contra Academicos (Contro gli accademici), dal De ordine (L’ordine) al De Musica (La musica), dal De grammatica (La grammatica) al De gratia et libero arbitrio (La grazia e il libero arbitrio). E la lista potrebbe continuare. Opere che rappresentano i tasselli del pensiero agostiniano e confluiscono nella memoria letteraria cristiana. Ma bisogna tenere bene in mente ciò che lo stesso Agostino scrive nel già citato De Trinitate. Trattasi di una preghiera che chiude quel trattato così denso e profondo: «Liberami, o mio Dio, dalla moltitudine di parole di cui soffro nell’interno della mia anima misera alla tua presenza e che si rifugia nella tua misericordia. Infatti non tace il pensiero, anche quando tace la mia bocca. Se almeno non pensassi se non ciò che ti è grato, certamente non ti pregherei di liberarmi dalla moltitudine di parole. Ma molti sono i miei pensieri, tali quali Tu sai che sono i pensieri degli uomini, cioè vani. Concedimi di non consentirvi e, anche quando vi trovo qualche diletto, di condannarli almeno e di non abbandonarmi ad essi come in una specie di sonno». Le parole e i pensieri senza amore, per sant’Agostino, sono vuoti.
Fonte: Antonio Tarallo LaNuovaBQ.it