Come accostarsi senza ideologismi alla lettura dell’esortazione apostolica di Papa Leone
Pochi giorni fa è uscito il primo importante documento del magistero di Leone XIV, l’esortazione apostolica Dilexi te sull’amore verso i poveri (4 ottobre). Si tratta anche dell’ultimo documento del suo predecessore, Francesco, che Papa Leone ha fatto proprio con alcuni interventi aggiuntivi, ma sostanzialmente assumendone il testo. E’ la seconda volta che avviene nella storia del Magistero (a mia scienza), perché già accadde con l’enciclica Lumen fidei, preparata da Benedetto XVI e fatta propria da Francesco nel 2013 all’inizio del suo pontificato.
Ora la prima considerazione che mi permetto di fare è l’invito a leggerla, non a citarla dopo averla soltanto sfogliata e, anche in questo caso (magari per chi lo dovesse fare per ragioni professionali, nel caso dei giornalisti o dei parroci che ne volessero parlare ai fedeli), a leggerla successivamente, come sarebbe giusto nei confronti di ogni testo, in particolare del Magistero. Personalmente lo farò nella rubrica La voce del Magistero su Radio Maria, come ho fatto per i documenti pontifici più importanti dal 1989.
La seconda considerazione riguarda la continuità nella storia della Chiesa. E’ un dato significativo e importante che un Pontefice assuma il testo del predecessore, perché indica una caratteristica fondamentale della Chiesa, che la caratterizza da oltre duemila anni, appunto la continuità. Il che non significa che non ci siano differenze culturali e di stile fra un Papa e un altro, ma vuol dire che tutti sono stati Vicari dello stesso Signore e hanno cercato di condurre i fedeli verso la salvezza, ciascuno con le proprie caratteristiche, ma tutti con la stessa fede e la medesima intenzione di evangelizzare e salvare gli uomini e il mondo.
Questo significa essere cattolici e avere il dono della stessa fede dei semplici, le celebri “vecchiette” che pregano, sperano e, spesso, tengono aperte le chiese, che hanno la fede semplice ma autentica di chi si abbandona e crede nella convinzione che Dio non abbandona mai il suo popolo.
So che ci sono molti che “rosicano” e sono specialisti nel sottolineare le differenze, nell’esasperare i contrasti, nel denunciare le mancanze di un Papa mettendolo in contrapposizione con un altro. Basta frequentare anche raramente i social per rendersene conto, ma anche gli stessi giornali, più prudenti nel modo di esprimersi, sono egualmente portati sempre e soltanto a dividere e a contrapporre.
Naturalmente il mondo contemporaneo è un mondo sempre più complesso, nel quale è difficile esercitare il discernimento, cioè la capacità di giudizio su quanto accade, che è uno dei compiti della Chiesa, appunto aiutare i fedeli a comprendere gli avvenimenti per giudicarli alla luce del Vangelo. Giovanni Cantoni era solito dire che prima di tutto bisogna chiedersi “che ore sono”, cioè che cosa sta accadendo dal punto di vista dei fatti, per poi (ma solo poi) tentare di giudicarli. Anche i Papi hanno bisogno delle informazioni corrette e autentiche per esprimere un giudizio, che necessita comunque di tempo, quel tempo che spesso non siamo disposti a concedere loro, accusando la Chiesa di arrivare sempre in ritardo.
Faccio un secondo appello: abbiate pazienza, dobbiamo imparare ad aspettare e, quando ci sembra che ci siano differenze di giudizio fra un Papa e il suo predecessore, cechiamo di capire prima di esternare polemicamente le nostre opinioni, che spesso interessano solo a noi stessi.
So che per molti non è così: c’è chi non vede l’ora, con la matita rossa in mano, di sottolineare che Leone non è Francesco, come Paolo VI non era Giovanni XXIII e, quest’ultimo, era il contrario di Pio XII, salvo poi leggere nei documenti ufficiali che tutti i Papi si sono sempre citati l’un con l’altro, consapevoli di appartenere alla stessa storia della salvezza, diventando tutti santi canonizzati dalla stessa Chiesa, seppure ciascuno con le sue caratteristiche. Vi sono poi i periodi di cambiamento necessari e benedetti nella storia della Chiesa, perché la aiutano a essere sempre “sul pezzo”, come si dice, cioè adatta a parlare agli uomini del proprio tempo: la Chiesa è semper reformanda, come ha spiegato bene il cardinale Ratzinger, e però è anche sempre la stessa.
Infine, terzo punto, i poveri. L’opzione preferenziale per i poveri nasce come espressione in America Latina negli Anni ‘60/70, ma in realtà è un principio fondamentale del Cristianesimo, espresso nell’atteggiamento di Gesù come lo abbiamo ricevuto dai Vangeli, oltre che nella dottrina sociale della Chiesa, a cominciare dalla Rerum novarum, che nel 1891 affronta il tema dell’ingiustizia sociale nei confronti degli operai. Basta ripercorrere tutto il Magistero sociale per rendersi conto, cominciando dai due testi della Congregazione per la dottrina della fede sulla Teologia della liberazione, rispettivamente del 1984 e del 1986, come l’attenzione privilegiata ai poveri sia intrinseca al Cristianesimo da sempre, non una invenzione di Papa Francesco o della Teologia della liberazione. Quest’ultima è stata condannata non perché privilegiasse i poveri, ma perché sostituiva la dottrina sociale con l’analisi marxista del materialismo storico, stravolgendo così il Vangelo e il suo giudizio sulle ingiustizie contemporanee.
E’ lo stesso spirito della Rerum novarum: vedendo la gravità dell’ingiustizia a cui erano sottoposti gli operai dopo la rivoluzione industriale e dopo la soppressione dell’ordine corporativo, Papa Leone XIII denunciava questa ingiustizia, indica la strada delle riforme per migliorare la situazione della classe operaia senza favorire nessuna rivoluzione e appunto denuncia il pericolo della lotta di classe come falsa soluzione alla questione operaia proposta dal marxismo.
Con lo stesso spirito, la Chiesa ha affrontato, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, la nuova questione sociale della povertà, partendo dall’America Latina, che era e rimane un continente molto esposto a questa problematica per la quasi totale assenza di una classe media e la presenza di moltitudini di poveri, l’equivalente degli “operai” della Rerum novarum.
Con questo spirito accostiamoci alla lettura della Dilexi te di Papa Leone XIV e ringraziamo il dono della fede (e della Chiesa) che abbiamo ricevuto.
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