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Al Meeting di Rimini la mostra ‘Chiamati due volte’ che racconta i martiri di Algeria

Diciannove fra religiosi e religiose uccisi 30 anni fa. Dalla prima suora delle Piccole Sorelle dell’Assunzione, suor Paul-Hélène Saint-Raymond, assassinata nella biblioteca organizzata per i ragazzi nella Casba di Algeri, fino al vescovo, mons. Pierre Claverie, ucciso in un attentato insieme al suo amico musulmano Mohammed Bouchikhi. Fra il 1992 e il 2002 il terrorismo colpisce l’Algeria facendo 150.000 vittime tra cui molti imam. Fra le vittime ci sono 19 martiri cristiani che 7 anni fa sono stati proclamati beati a Orano. Alcuni di loro sono diventati famosi nel mondo grazie al film ‘Uomini di Dio’ (2010) che ha raccontato la storia del sacrificio dei monaci di Tibhirine.

Questa vicenda dei 19 costituisce il racconto di ‘Chiamati due volte. I martiri d’Algeria’, mostra che è esposta fino al 27 agosto al ‘Meeting per l’amicizia fra i popoli’ a Rimini e realizzata da ‘Oasis’, fondazione internazionale nata nel 2004 per iniziativa del card. Angelo Scola, con l’obiettivo di favorire la conoscenza tra cristiani e musulmani e creare spazi di dialogo sulla base della reciproca rilevanza culturale, e dalla Libreria Editrice Vaticana, che ne pubblica anche il catalogo, con il sostegno della Fondazione Cariplo.

Il titolo della mostra (‘Chiamati due volte’) allude al fatto che i 19 martiri sono stati fedeli due volte: alla loro vocazione religiosa ed al popolo algerino con cui vivevano. Il percorso-itinerario della mostra comprende interviste ed testimonianze in video raccolte a Roma, Parigi, in Normandia, a Lione, a Tunisi e in Algeria. Fra gli intervistati il card. Jean-Paul Vesco, arcivescovo di Algeri; il postulatore della causa di beatificazione Thomas Georgeon; il regista del film ‘Uomini di Dio’, Xavier Beauvois; il domenicano p. Adrien Candiard, autore della pièce teatrale ‘Pierre e Mohamed’; Bruno De Chergé, nipote di frère Christian De Chergé, il priore del monastero di Tibhirine; Bruno Laurentin, nipote di frère Luc, medico di Tibhirine che viveva la propria professione come modalità di servire Cristo. Per finire con le sorelle di suor Bibiane Leclercq, la nipote del padre bianco Jean Chevillard, la nipote di suor Odette Prévost e altre testimonianze di parenti e amici.

All’interno della mostra sono presentati anche oggetti che appartenevano ai monaci di Tibhirine, fra cui la croce pettorale del priore, il microscopio di frère Luc, il piano di irrigazione del monastero redatto da frère Paul Favre-Miville, il rosario del padre bianco Jean Chevillard, ucciso a Tizi Ozou. Ci sono anche abiti, come quello di frère Christian De Chergé e di mons. Pierre Claverie. Il percorso della Mostra si presenterà al visitatore con una grande parete esterna su cui sono raffigurati i ritratti di tutti e 19 i martiri.

I membri del Comitato Scientifico della mostra sono il card. Angelo Scola, arcivescovo emerito di Milano; il card. Jean-Paul Vesco, arcivescovo di Algeri; p. Thomas Georgeon, postulatore della causa di beatificazione dei martiri d’Algeria; Marie-Dominique Minassian, responsabile del progetto di ricerca ‘Gli scritti di Tibhirine’; Nadjia Kebour, docente al PISAI di Roma; mons. Diego Sarrió, vescovo di Laghouat in Algeria e già preside del PISAI di Roma; Anna Pozzi, giornalista del mensile ‘Mondo e Missione’ del PIME; p. Jean-Jacques Pérennès, già direttore della Scuola biblica di Gerusalemme, biografo di Pierre Claverie. Mentre i curatori della Mostra sono Alessandro Banfi, Michele Brignone, Martino Diez, Claudio Fontana e Chiara Pellegrino della Fondazione Oasis e Lorenzo Fazzini della Libreria Editrice Vaticana.

Ad uno dei curatori della mostra organizzata dalla Fondazione internazionale Oasis e dalla Libreria Editrice Vaticana con il sostegno della Fondazione Cariplo, Alessandro Banfi, direttore della comunicazione della Fondazione Internazionale Oasis, abbiamo chiesto di spiegare il motivo, per cui bisogna ricordare con una mostra i 19 martiri di Algeria?

“La vicenda è poco nota in Italia, nonostante che sette anni fa i 19 fra religiose e religiosi cristiani, caduti sotto i colpi del terrorismo islamista nel cosiddetto ‘decennio nero’ dell’Algeria, siano stati proclamati beati dalla Chiesa cattolica. Alla loro fama contribuì molto, 15 anni fa, il film francese ‘Uomini di Dio’ del regista Xavier Beauvois, dedicato alla vicenda dei sette monaci di Tibhirine. Il Meeting, 30 anni dopo dalla loro morte, approfondisce e racconta la storia di questi testimoni della fede in terra musulmana, ‘martiri del dialogo’ come sono stati chiamati. Si tratta di suore, frati e sacerdoti che hanno scelto di rimanere in Algeria, per stare accanto al popolo, restando fedeli alla propria missione, nonostante le esplicite minacce dei terroristi. Ed hanno offerto la loro vita per gli altri”.

Ma cosa c’entra questa mostra con il titolo del Meeting di quest’anno?

Il titolo di quest’anno, ‘Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi’, è una citazione del poeta Thomas Stern Eliot che evoca le ‘pietre vive’ su cui edificare nuove costruzioni. Ebbene i martiri sono stati a loro modo, ed ancor di più lo sono ora, costruttori di civiltà e di pace in Paesi di fede diversa, dove è permesso il culto, ma anche dove la libertà religiosa è sempre messa in discussione dagli estremisti. I luoghi deserti sono quelli dell’odio e della violenza.

Restare in luoghi, per così dire, desertificati dall’estremismo e disumanizzati dal terrorismo è stata la testimonianza specifica dei 19 martiri d’Algeria. Tanti muoiono, anche fra i cristiani ed i religiosi in tanti posti del mondo, e non sempre vengono proclamati beati martiri. Il motivo per cui invece loro sono stati portati alla gloria degli altari dalla Chiesa è che hanno scelto liberamente di donare la propria vita di fronte alle minacce. Come p. Massimiliano Kolbe nel lager. Nella mostra ci saranno video con interviste a testimoni diretti, sopravvissuti, parenti delle vittime, esperti. E saranno anche esposti oggetti appartenuti ai martiri.

In quale senso questi 19 martiri sono stati chiamati ‘due volte’?

Due volte nel senso che la loro vita è stata donata una prima volta attraverso la loro fedeltà a Gesù Cristo nell’ambito della loro specifica vocazione. E una seconda volta nella radicalità di continuare a donarsi agli altri in una condizione di evidente pericolo. Come dice il postulatore della causa di beatificazione, il frate trappista Thomas Georgeon, in una delle interviste video che saranno proposte nella Mostra: ‘C’è il primo incontro che ha portato questi martiri in Algeria che è l’incontro con Cristo. E poi questo incontro con Cristo si è sviluppato in un incontro con l’altro, nell’alterità. Sono martiri dell’alterità perché hanno accettato di andare all’incontro o di vivere l’incontro con l’altro diverso da me. Passando oltre i pregiudizi sulla cittadinanza, sulla fede, sulla religione… Per andare a incontrare la persona che c’era davanti a loro, cioè l’altro’.

Forse un po’ cinicamente resta da chiedersi: le vite di questi martiri sono state forse inutili? Cercavano il dialogo e sono stati uccisi…  Nel testamento lasciato da frère Christian De Chergé, il priore di Tibhirine, scritto qualche mese prima il loro rapimento e la loro uccisione, questa questione è già presente. Scrive infatti De Chergé, prevedendo la sua fine per mano dei terroristi islamisti: ‘La mia morte sembrerà evidentemente dare ragione a quelli che mi hanno frettolosamente trattato da ingenuo o da idealista: Dica adesso cosa ne pensa! Ma costoro devono sapere che sarà finalmente liberata la mia più lancinante curiosità. Ecco che potrò, se piace a Dio, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con Lui i suoi figli dell’islam così come Lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della Sua passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre stabilire la comunione e ristabilire la somiglianza giocando con le differenze’.

Proprio a proposito di questa riflessione, il card. Angelo Scola, già arcivescovo di Milano e patriarca di Venezia, nonché fondatore di Oasis, ha scritto nel suo ultimo libro, ‘Nell’attesa di un nuovo inizio’: ‘Ho letto e riletto più volte questo testo straordinario con grande emozione perché esprime, con delicati toni poetici e con profonda sensibilità teologica, un interesse nei confronti dell’Islam che ho sempre avuto e che ho coltivato soprattutto nell’ultima parte della mia vita con l’istituzione della Fondazione Oasis. Anche a me è capitato spesso, senza ovviamente toccare i vertici della riflessione di padre de Chergé, di chiedermi per quale misterioso disegno di Dio oltre un miliardo di uomini e donne sono fedeli all’Islam. Ed ho cominciato a intravvedere e a capire che il Signore ci dona la grazia e ci offre la possibilità di lasciarci trasformare da essa in una misura che non avremmo mai immaginato quando nella Chiesa si è iniziato a parlare di dialogo interreligioso’.

A distanza di 30 anni quale significato assume questo martirio?

“E’ una testimonianza che è stata feconda per la Chiesa algerina e che porta frutti ovunque. E’ la testimonianza di una Chiesa che quando sembra sconfitta dalla storia e più fragile riesce a raggiungere i cuori delle persone. Di tutti. I martiri d’Algeria ci spingono ad elevare lo sguardo e allo stesso tempo ci ricordano che non c’è niente di più grande che dare la vita per i propri amici”.

Fonte: Simone Baronci | Korazim.org

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