Tutte le mattine, Francesco, dalla sua casa di Caggiano, in provincia di Salerno, mi invia il buongiorno e un cuoricino. Non è per lui un semplice gesto, so bene quanto gli costi. Francesco Pucciarelli è, infatti, inchiodato nel suo letto di dolore dalla sclerosi. Lucia, sua moglie, lo accudisce con amore. Il comunicatore che fissa con lo sguardo lo mette in comunione con il mondo esterno. Benedetta tecnologia quando corre in aiuto ai più deboli; benedetta umanità quando, non badando a spese, riesce ad alleggerire il peso ai suoi fratelli e sorelle più fragili e deboli. Conosco Francesco da diversi anni, fu lui a rintracciarmi attraverso i social. Sono stato diverse volte a casa sua. Mi vuole e gli voglio bene. Da pochi mesi, invece, è entrato nella mia vita Pasquale Imperato, 46 anni, di Torre del Greco. Geometra, due figli, si era trasferito a Trieste per lavoro, finché la strega non venne a bussare alla sua porta. A differenza di Francesco, Pasquale riesce a stare seduto e, con mille sforzi da parte sua e di chi lo accudisce, anche a spostarsi. È venuto diverse volte a Messa. Anche Pasquale, lentamente ha perso tutto, tranne la vista e un’intelligenza acuta. Ha ripreso a studiare, Pasquale, e, addirittura, vorrebbe candidarsi alla Regione Campania per portare avanti le sempre più difficili battaglie a favore dei più fragili. Ho pensato a questi miei due carissimi amici, martedì scorso, quando all’ora di pranzo, dalla televisione ho appreso che la cara giornalista Laura Santi era morta suicida nella sua casa di Perugia per essersi autosomministrata un farmaco letale. Convinta che «dobbiamo essere noi a decidere, nessun altro» e avendo parole critiche contro «le ingerenze croniche del Vaticano». Le sofferenze – fisiche, psicologiche, economiche, sentimentali – irrorano il mondo sin dalla sua prima alba.
L’umanità ha fatto passi da giganti per poterle, se non proprio estirparle, – non ci riuscirà mai del tutto – almeno renderle meno aggressive e dolorose. Il grado di civiltà di una società si giudica dalla capacità che ha di rimanere accanto agli ammalati, ai poveri, ai derelitti, a quelli che sotto le bombe stupide e assassine non hanno più nemmeno la forza di piangere. Alcune patologie negli anni sono state debellate, altre come il cancro, l’Alzheimer negli anziani e l’autismo nei bambini sono, purtroppo, in aumento. Lo stimolo a fare del nostro meglio, investendo nella ricerca, nelle strutture, nella cura, nella medicina palliativa, non deve venire meno. Togliamoci la maschera, però, e confessiamolo senza ipocrisia: gli ammalati, i vecchi affetti da demenza senile, i portatori di disabilità, le vittime di imprevisti e imprevedibili incidenti stradali e sul lavoro, la grande schiera di fratelli e sorelle affetti da disturbi psichiatrici, incidono tantissimo sulle casse dello Stato. Gli ospedali non bastano, le cure non sono sempre efficienti, i diritti, almeno nel nostro Sud, non sempre riconosciuti. Ci troviamo davanti a un bivio: o mettere veramente al centro del dibattito pubblico, culturale, politico, economico, spirituale, le persone più fragili, più povere; gli ammalati, i disabili, facendoci in quattro per alleviare, per quanto possibile, il loro – chissà, magari il “nostro” tra qualche tempo – malessere e rendere la loro vita meno pesante, oppure imboccare la pericolosissima strada del suicidio assistito che ben presto sfocerà nell’eutanasia con conseguenze inimmaginabili. Nessuno si scandalizzi. Benché non si abbia il coraggio di ammetterlo apertamente, questa scorciatoia aprirà le porte a una deriva che nemmeno possiamo immaginare.
Quello che oggi appare come un diritto per il fratello ammalato e sofferente, ben presto potrebbe essere percepito in un loro subdolo dovere. Un conto è andare dai miei amici Francesco e Pasquale e metterci in paziente ascolto del comunicatore che con voce metallica ci riferisce i loro pensieri, e consolarli, tener loro compagnia, farli ridere, accarezzare le loro mani, aiutarli in ogni modo, dire loro di tenere duro perché sono importanti, perché abbiamo bisogno di loro; ben altra cosa per loro, che già lottano contro la convinzione di essere di peso, sapere che, volendo, possono togliere il disturbo. Il Signore abbia in gloria la cara sorella Laura e doni a noi l’onestà intellettuale e il coraggio di rimanere accanto con grande serietà e abnegazione ai nostri malati, soprattutto a quelli più poveri e bisognosi. Prima di discutere di un improbabile “diritto alla morte” chiediamoci se abbiamo fatto davvero il possibile perché tutti potessero accedere all’insopprimibile “diritto alla vita”.
Fonte: Maurizio Patriciello | Avvenire.it