L’autodenuncia di una paleoantropologa britannica woke e progressista: «Chi è di destra o ha convinzioni religiose non ha spazio, così la ricerca peggiora». Alla faccia dell’inclusione
«Dobbiamo essere onesti e ammettere che, a molti, sembra che gli atei di sinistra abbiano il monopolio della scienza». Negli ultimi anni la predominanza di accademici progressisti ha eroso la fiducia nella scienza, ed è innegabile che ricercatori e studiosi con idee di destra e forti convinzioni religiose sono esclusi dalla scienza mainstream e comunque tendono a tenere la testa bassa e «sentono di dover nascondere i propri pensieri e le proprie opinioni» per paura di reazioni e ritorsioni. A dirlo è stata Ella Al-Shamahi, presentatrice di un documentario scientifico a puntate sulla BBC intitolato “Human”.
Paleoantropologa, esploratrice, famosa per le sue ricerche sui fossili e volto noto televisivo inglese, Al-Shamahi si definisce una persona con idee «woke-preogressiste, decisamente di sinistra».
La scienza è di sinistra, «dove sono gli scienziati di destra?»
Nata a Birmingham da genitori musulmani emigrati dallo Yemen, credente ma non praticante, donna e di colore, Al-Shamahi incarna il prototipo della ricercatrice “che non dovrebbe chiedere mai”, eppure non ha problemi ad ammettere che il concetto di “diversità e inclusione” è sfuggito da tempo di mano a chi lo maneggio con la mannaia della censura accademica, quando invece proprio quei due concetti diventati bandiere woke dovrebbero essere essenziali nel suo mondo: «Non sono solo le persone che mi assomigliano che devono avere più spazio qui. Devono esserci quelli che la pensano come me e quelli che non la pensano come me. Dove sono gli scienziati profondamente religiosi? Dove sono gli scienziati di destra? Se non ci sono tutti i nostri pregiudizi, i risultati scientifici sono peggiori».
Sono dichiarazioni importanti, soprattutto perché arrivano da chi non ha bisogno di fare concessioni per continuare a fare il proprio lavoro, che riecheggiano quelle dell’amministratore delegato del Wellcome Trust, John-Arne Rottingen, che al sito Research Professional News ha detto che gli scienziati hanno la «responsabilità» di dimostrare perché la ricerca sia importante in tutto lo spettro politico, dato che nella maggior parte dei paesi, «la comunità scientifica nel suo complesso è più progressista e di sinistra», e questo «ha un impatto sui temi di ricerca che vengono affrontati».
Anche nella scienza è sempre colpa della destra
Come ha scritto il Times commentando le sue dichiarazioni, «negli ultimi mesi la politica divisiva ha ripreso a far sentire la sua voce all’interno delle istituzioni accademiche. All’inizio di quest’anno si è intensificata una campagna per espellere Elon Musk dalla Royal Society per il suo ruolo nel governo Trump e la sua minimizzazione del cambiamento climatico. E a marzo l’Università del Sussex è stata multata di 585.000 sterline per non aver rispettato la libertà di parola nel caso di Kathleen Stock, una filosofa criticata per le sue posizioni di genere».
Senza citare i due casi, Al-Shamahi ha detto però che «a sinistra diamo la colpa alla destra, e siamo felici di attaccarli in modi che ritengo non siano necessariamente utili».
E l’inclusività?
La scienziata e conduttrice britannica ha però fatto riferimento al caso dello psicologo canadese Jordan Peterson, “cancellato” da Cambridge per le sue opinioni considerate poco inclusive su gender, cambiamenti climatici e razzismo: «Sono assolutamente pronta a smontare le idee di chiunque non ritenga appropriate, ma quando iniziamo a presentare petizioni per la revoca di cattedre e borse di studio, la cosa mi mette a disagio».
Per Al-Shamahi «l’inclusività è davvero importante. La scienza appartiene a ognuno di noi. Difendo il diritto di esistere di coloro con cui non sono d’accordo: anche se non ne condivido le idee, rappresentano le idee di tantissime persone. Possiamo criticarli. Possiamo dire che non ci piacciono le loro idee. Ma dovremmo lasciarli esprimere».
Un’applicazione pratica: l’ideologia trans
L’autodenuncia della presentatrice e paleontologa britannica è importante perché rivela un sistema che da molti anni influenza la scienza – lei dice di essersene accorta durante il Covid, quando la comunicazione scientifica è diventata assolutamente politicizzata – e, soprattutto nei paesi anglosassoni, ha indirizzato la ricerca verso un metodo sempre più ideologico.
Come ha scritto Patrick West sullo Spectator, «un sintomo ben più grave di questo sviluppo è stato il modo in cui le istituzioni sanitarie di tutto il mondo hanno iniziato ad accettare e poi a propagare l’ideologia trans, non scientifica e non empirica, della “autoidentificazione di genere”. Mentre il Servizio Sanitario Nazionale (NHS) afferma ancora oggi che “l’identità di genere è un modo per descrivere il senso innato di una persona del proprio genere”, le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ripetono a pappagallo lo stesso mantra soggettivo: “L’identità di genere si riferisce all’esperienza di genere profondamente sentita, interiore e individuale di una persona”. Nel 2023 la Johns Hopkins University ha portato l’ideologia trans alla sua conclusione ultima, assurda ma inevitabile, quando, pubblicando un nuovo glossario di termini per medici e pubblico in generale, ha definito una lesbica come “un non-uomo attratto da non-uomini”».
La comunità scientifica è di sinistra?
«La corruzione del discorso scientifico e dell’istruzione pubblica in relazione al fatto che gli esseri umani sono divisi in due sessi», prosegue l’editorialista di Spiked sullo Spectator, «è uno dei segnali allarmanti di una comunità scientifica e accademica globale degradata dalla politica. La profusione e la contaminazione del mondo accademico, con le sue altre ossessioni razziali e le parole offensive, sono state altrettanto evidenti. Nel 2017 la professoressa Rochelle Gutierrez dell’Università dell’Illinois ha affermato che “a molti livelli, la matematica opera come la bianchezza”. Nel 2020 il Journal of the Royal Society of Chemistry ha prodotto nuove linee guida per “minimizzare il rischio di pubblicare contenuti inappropriati o comunque offensivi”. Questo linguaggio mostra come il relativismo postmoderno si sia diffuso in ambito scientifico – l’ultimo posto in cui meriterebbe di stare».
Ben vengano ammissioni di colpa come quella di Ella Al-Shamahi, purché non siano concessioni agli sconfitti, ma ripensamenti reali su quello che dovrebbe essere il vero metodo scientifico, che da troppi anni è stato messo in soffitta dal metodo woke.
Fonte: Pietro Vietti | Tempi.it