Detenuto per 15 anni, Maksim rientra ogni giorno nella struttura di Siracusa per lavorare all’Arcolaio: un laboratorio di dolci che ha conquistato anche gli imprenditori
Dopo tanto tempo passato in galera, era arrivato finalmente il giorno del fine pena. Eppure, proprio mentre stava gustando il sapore della libertà, aveva deciso di tornare “dentro”. Perché “dentro” aveva incontrato qualcosa di così potente da cambiare direzione alla sua esistenza, e voleva restituire ai suoi compagni almeno un po’ del bene ricevuto. Sembra un paradosso ma è la storia di Maksim, che ogni mattina rientra come lavoratore in carcere dopo averci passato quindici anni come detenuto. È nella Casa circondariale di Siracusa che la sua vita ha incrociato la proposta dell’Arcolaio, una cooperativa sociale che aveva avviato un’impresa per la trasformazione e la commercializzazione delle mandorle e di altri prodotti locali, per offrire alle persone detenute opportunità di lavoro in vista di un reinserimento attivo nella società.
«Ero emigrato in Italia dall’Ucraina per una vita migliore, come tanti dal mio Paese – racconta Maksim –. Purtroppo ho scelto strade sbagliate che mi hanno portato sulla via del crimine, fino a commettere un grave reato che mi è costato una condanna a quindici anni. Dopo essere stato detenuto a Verona e Padova, mi hanno trasferito a Siracusa e qui ho conosciuto quelli dell’Arcolaio, gente che mi ha accompagnato a scoprire il senso della vita e il valore dell’amicizia e mi ha permesso di imparare per la prima volta un lavoro pulito. Anche quando le porte del carcere si sono aperte con la semilibertà e poi con l’affidamento al lavoro li ho avuti al mio fianco. E a fine pena ho deciso di restare legato a loro per tante ragioni: per mettere a frutto l’esperienza maturata, per un senso di gratitudine, per aiutare quelli che stanno ancora dentro a incamminarsi su una strada analoga alla mia, anche perché tra detenuti ed “ex” c’è una sensibilità comune che rende l’intesa più facile. Più di uno mi ha domandato “ma chi te lo fa fare?”, e io rispondo che il bene ricevuto è così tanto che sento il dovere di ricambiare». Quella di Maksim, che a 48 anni è responsabile di produzione dell’Arcolaio, è una storia speciale, resa possibile grazie all’apertura dimostrata dalla direzione e dall’area trattamentale del carcere e dal magistrato di sorveglianza che gli hanno consentito di rientrare nell’istituto per lavorare da uomo libero.
Giuseppe Pisano, dopo una lunga esperienza nella cooperazione internazionale, è presidente di questa realtà che nel panorama siciliano viene riconosciuta come un esempio di eccellenza. In questi anni è stato testimone di percorsi che hanno permesso di inserire al lavoro 500 detenuti che avevano seguito percorsi di formazione. « Abbiamo cominciato nel 2003 con un panificio, la cui produzione era destinata soprattutto al mercato locale». «Due anni dopo è nato un laboratorio per la produzione di dolci tipici biologici, a partire da amaretti morbidi e paste di mandorla, grazie al quale ci siamo inseriti in un mercato nazionale in forte crescita facendo conoscere il nostro marchio “Dolci Evasioni” che ha come logo un gabbiano in volo, simbolo di riscatto e di libertà. Un salto decisivo è arrivato legando la produzione locale alla commercializzazione su scala nazionale, grazie alla costruzione di rapporti con i negozi specializzati in alimentazione biologica, le botteghe del commercio equo-solidale e i Gruppi di acquisto solidale. Dal 2010 una squadra di 12 detenuti formati da noi ha preparato quotidianamente 500 pasti nel carcere di Siracusa nell’ambito di un progetto nazionale che aveva affidato il servizio di mensa a realtà del terzo settore, un’esperienza innovativa che purtroppo si è conclusa dopo cinque anni. Dal 2012 è partito un progetto mirato all’inserimento sociale e lavorativo di persone in esecuzione penale esterna, nel 2014 è nato Frutti degli Iblei, un progetto di agricoltura sociale che ha consentito di offrire formazione e lavoro a ex detenuti, migranti e persone con fragilità. Contemporaneamente il nostro catalogo si è arricchito di nuovi prodotti (semi di finocchietto selvatico, origano, sali aromatizzati, gommasio alle erbe). In questo modo abbiamo contribuito a valorizzare le peculiarità del territorio, diventando parte attiva nella costruzione di filiere etiche e costruendo un rapporto diretto con la comunità. Come indica il nome della nostra cooperativa, grazie all’Arcolaio abbiamo potuto dipanare tante matasse: oggi i nostri prodotti sono conosciuti anche fuori dalla regione, ma per raggiungere questo traguardo è stato fondamentale mettersi in rete con altre realtà del terzo settore, costruendo partenariati e condividendo progetti. Fondamentale è stato il contribuito di Fondazione con il Sud, Fondazione San Zeno e Fondazione Peppino Vismara e di Banca Etica, di cui siamo soci fin dall’inizio».
Nel tempo si sono consolidati rapporti con imprenditori locali grazie a iniziative di matching che hanno permesso di mettere in rapporto domanda e offerta. Nell’ambito del progetto “Jail to Job” nel 2023 e quest’anno è stato organizzato il “Jail Career Day”, dove 40 aziende hanno incontrato persone in esecuzione penale esterna o che stanno finendo di scontare la pena: per molti imprenditori è diventata l’occasione di conoscere il mondo del carcere fuori dallo stigma che lo circonda e scoprire le potenzialità di tanti detenuti. «Stiamo costruendo una comunità di aziende virtuose e solidali per facilitare l’inserimento socio-lavorativo di chi sta terminando o ha terminato di scontare la pena. Spesso le aziende non richiedono competenze professionali specifiche ma piuttosto delle soft skills, qualità personali e attitudinali sulle quali innestare la formazione, e il fatto di avere già lavorato in carcere può rappresentare una carta da giocare per chi si candida all’assunzione. Così è accaduto per detenuti che hanno trovato occupazione nel turismo, nella ristorazione, nei supermercati locali e in agricoltura, grazie a chi ha offerto loro una seconda possibilità».
«In realtà per molti quella non è stata la seconda possibilità, è stata la prima – osserva Maksim, che in quindici anni di detenzione ha conosciuto le storie di tanti come lui –. Per chi nasce in certi contesti sociali e familiari il destino sembra già segnato. Negli anni in cui facevo il bibliotecario in carcere ho conosciuto persone che venivano a chiedere libri su Riina, Provenzano, Cutolo e altri eroi di mafia o di camorra. In realtà non sapevano neppure leggere, ma volevano avere tra le mani qualcosa che fosse il simbolo del mondo in cui erano cresciuti. Io ringrazio Dio di avere messo sulla mia strada gli operatori dell’Arcolaio, l’amicizia con loro e il lavoro sono stati la mia salvezza. Ora è il tempo della restituzione ».
Fonte: Giorgio Paolucci | Avvenire.it