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Maturità 2025, la possibilità di diventare più veri

Comincia la Maturità 2025. L’esame segna un passaggio profondo: non solo scolastico, ma personale. Conta esserci, non solo riuscire

Inizia l’esame di maturità. Per molti ragazzi è un passaggio atteso, temuto, a volte banalizzato. Segna la fine di un percorso scolastico e l’inizio di qualcosa che spesso non ha ancora contorni chiari. C’è chi lo vive come una liberazione, chi come un peso, chi con la convinzione che non servirà a nulla. Eppure, questo esame ha una forza simbolica che va oltre il suo contenuto e la sua struttura. Si chiama “maturità”, ma non si limita a certificare un livello di conoscenze o competenze. È una prova che, pur essendo standardizzata e formalizzata, rimanda a qualcosa di più profondo.

Chi lavora nella scuola lo sa bene: i giorni dell’esame non sono mai solo giorni di valutazione. Sono giorni in cui le domande, anche quelle che nessuno pronuncia, circolano tra i banchi e le sedie, tra i sorrisi di chi è già pronto e gli sguardi bassi di chi preferirebbe essere altrove.

Quello che inizia in questi giorni è uno degli esami di maturità della vita. Non l’unico. E forse nemmeno il più importante. Ma è il primo in cui tutto accade sotto lo sguardo di altri: una commissione, dei compagni, qualche adulto che ha seguito il percorso e si ferma a osservare.

È il primo momento in cui un giovane è chiamato a dire qualcosa di sé, non solo attraverso le nozioni, ma attraverso il modo in cui le tiene insieme, le collega, le interpreta. È un esame che mette in gioco il rapporto tra ciò che si sa e ciò che si è.

Non tutti i ragazzi se ne accorgono. Alcuni lo vivono come un ostacolo da superare, un obbligo da sbrigare. Ma anche in questi casi qualcosa accade. Perché non si può attraversare un passaggio del genere senza lasciarvi una traccia o senza esserne segnati.

La verità è che nella vita gli esami di maturità non finiscono con la scuola. Ce ne sono altri, forse più impegnativi, che non si svolgono in un’aula, non prevedono una commissione e non rilasciano un voto.

Sono esami che si presentano in forma di decisioni, di crisi, di attese. Per alcuni si chiama partenza: andare via da casa per la prima volta, lasciare un luogo familiare, cercare altrove ciò che qui non si trova più. Per altri si chiama malattia: un imprevisto che rimette tutto in discussione, che costringe a fare i conti con la fragilità, con il limite. Per altri ancora prende il volto di un lutto, di una separazione, di una delusione che cambia il modo di guardare le cose.

E poi ci sono gli esami più sottili, meno visibili: continuare a credere in ciò che si fa, resistere alla tentazione di cedere al cinismo, prendersi cura di qualcuno anche quando non si è ricambiati. Tutti momenti in cui si viene messi alla prova. Non su quello che si conosce, ma su quello che si è disposti a diventare.

In tutti questi esami, come in quello scolastico, quello che conta davvero è esserci. Non tanto riuscire, né “fare bella figura”, ma stare. Rimanere dentro le cose senza fuggire, senza cercare scorciatoie. L’esame non è qualcosa che si può evitare, è qualcosa che si attraversa. E l’attraversamento, per quanto faticoso, è spesso ciò che fa la differenza.

Non si tratta di riuscire al primo colpo, né di uscirne “vincenti”. A volte basta restare. Essere presenti a se stessi. Non scappare da ciò che accade. Tenere la posizione, anche quando vacilla.

L’esperienza insegna che spesso l’esame vero non è quello che pensavamo di dover superare. È quello che avviene dentro, silenziosamente. Mentre parliamo davanti a qualcuno, o mentre cerchiamo di non cadere. È il momento in cui capiamo qualcosa di noi, anche se non sappiamo ancora metterlo in parole. È quello spostamento interiore che accade quando, senza averlo previsto, ci scopriamo diversi da come ci eravamo immaginati. A volte ci si accorge solo dopo che l’esame è avvenuto. Non mentre lo si vive, ma nel modo in cui lo si ricorda.

La maturità, allora, non è tanto una certificazione quanto una possibilità. Non definisce ciò che siamo, ma può aprire uno spazio per vedere meglio dove stiamo andando. Non serve idealizzarla, né considerarla una prova definitiva. Ma può essere presa sul serio. Come ogni momento in cui la vita ci interroga e ci chiede se vogliamo restare presenti.

Per questo sarebbe un errore ridurre l’esame a una formalità o a una prova tecnica. Anche se lo è, anche se ci sono griglie, punteggi, verbali, il suo senso non si esaurisce lì. C’è un ragazzo, una ragazza, che attraversa un limite. E il modo in cui lo attraversa dice qualcosa. Forse non a tutti, ma a sé stessi, sì. Ci sono passaggi che non si possono spiegare, ma si possono vivere. L’esame di maturità, come altri esami della vita, è uno di questi.

Non ne usciremo migliori o peggiori, ma – se ci saremo stati – ne usciremo un po’ più veri. Ed è questa, forse, l’unica cosa che conta davvero.

Fonte: Federico Pichetto | IlSussidiario.net

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