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Pluralismo educativo e parità, i guai di una libertà (solo) parziale

Il pluralismo educativo è attuato nella scuola italiana solo parzialmente e quella educativa rimane una libertà autorizzata, nonostante la Costituzione

La scuola in Italia non è nata come scuola di Stato. Prima che il ministro Michele Coppino nel 1877, sulla base della legge Casati del 1859, radicata nella legislazione scolastica piemontese e in quella del lombardo-veneto, stabilisse l’obbligo scolastico per tutti nella scuola elementare, prima dunque che lo Stato Italiano, ispirandosi al modello francese, avviasse il processo di istruzione dei cittadini entro il quadro unitario, la scuola preesisteva in Italia con molte tradizioni, per lo più legate alla vitalità delle congregazioni religiose, alle disposizioni degli enti  locali e alle libere iniziative di illustri cittadini, incoraggiate dal concorso dei governi.

Con lo sviluppo dell’obbligo scolastico nella lotta contro l’analfabetismo e per la formazione della propria classe dirigente, la scuola dello Stato unitario assunse immediatamente carattere egemonico. I governi stabilivano organizzazione e programmi di insegnamento, obbligando le istituzioni non statali a conformarsi ad essi per avere l’autorizzazione ad esercitare la propria attività.

Veniva così posto sotto la riserva di una concessione quello che originariamente era un diritto riconosciuto. Quell’autonomia in cui consisteva la storia di tante diverse comunità, di persone singole, di educatori, ognuna caratterizzata dal carattere di una propria vocazione, fu sempre più misurata dalle leggi di uniformità che lo Stato imponeva attraverso il principio del valore legale dei titoli di studio.

L’estensione dell’obbligo scolastico e il valore legale del titolo di studio determinarono un allargamento della popolazione scolastica, favorendo non solo lo sviluppo grandissimo della scuola di Stato, ma anche delle iniziative dei singoli cittadini.

Oggi, con la legge sull’autonomia scolastica, la scuola è oramai avviata a un processo di trasformazione e modernizzazione. In questo quadro, la scuola non statale chiede il pieno recupero dei suoi diritti, che derivano dalla sua lunga storia, dalle sue benemerenze culturali, dalla testimonianza dei grandi sacrifici vissuti per conservare il valore della sua presenza nella vita della gente. Il tema “della scuola libera” è come una cassa di risonanza dei problemi più vivi e scottanti riguardanti la concezione dell’uomo, la convivenza sociale e del fatto educativo. La libertà di educazione e di insegnamento sono ancorati su una serie di principi base:

– La famiglia è, per diritto e dovere naturale “il luogo primario dell’educazione”, senza che ciò significhi affermare una sua missione dispotica sui figli, né attribuirle automatismi, onnipotenza, garanzia di riuscita, né tanto meno sottrarla ai suoi obblighi verso la comunità;

– La scuola si configura come luogo privilegiato di educazione a servizio della famiglia e, con la famiglia, a servizio della persona dell’educando (luogo privilegiato, non primario, né unico, né totalizzante dell’azione educativa);

– Lo Stato deriva il suo valore, la sua autorità e i suoi limiti dall’operare per il bene della persona, cioè dall’assicurare a tutti quelle “condizioni sociali che consentano e favoriscano negli esseri umani lo sviluppo integrale della persona” (Pacem in Terris, 21). Una simile concezione dello Stato è fatta propria dalla Costituzione Italiana (cfr. art. 2), e ritiene oramai acquisite alcune conquiste di convivenza democratica. Il principio di sussidiarietà che regola l’azione dei pubblici poteri, la quale deve avere carattere di orientamento, di stimolo, di supplenza e di integrazione, è fondamentale;

– Il solo parziale pluralismo scolastico nelle istituzioni non garantisce alla famiglia la libertà della scelta educativa, la quale richiede la libertà delle istituzioni;

– In uno Stato senza pluralismo scolastico non ci può essere pluralismo democratico. In uno Stato democratico deve esserci la possibilità di una scuola libera per tutti i cittadini qualunque sia la loro visione del mondo;

– Una presunta scuola neutra (nei confronti dell’azione educativa) o una presunta scuola di tutti (nel senso che un’unica scuola gestita dallo Stato va bene per tutti, dal punto di vista educativo), sono dei miti, quando non sono contrabbando di faziosità demagogiche o di prepotenze classiste. Tutte le libertà (pensiamo alle libertà cattolica, culturale e scolastica) sono vanificate dalla mancanza di libertà economica;

– Cosa intendiamo per scuola libera? a) È la scuola che i genitori, non impediti da ostacoli legislativi o economici, possono scegliere, e contribuire a costruire, perché vi venga continuato ai loro figli il discorso educativo iniziato in famiglia; b) È una scuola richiesta non dal privilegio di alcune classi sociali o di una confessione religiosa, e nemmeno dall’arroganza di un potere centrale, ma dal diritto di tutti i cittadini.

In conclusione, la libertà scolastica è una di quelle libertà “robuste e feconde” che danno il segno del valore d’un popolo. Non si può continuare a procedere come adulti sconfitti, che non hanno più niente da dire se non: “lavora, guadagna, mangia e divertiti” ai loro giovani, agli adulti di domani, perciò crediamo nell’educazione, e dunque nella scuola. La libertà di educazione è un problema laico di tutti, è la naturalezza dell’uomo, il prolungamento della famiglia, l’equilibrio della società.

Fonte: Silvio Petteni | llSussidiario.net

 

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