I giovani studenti sono risucchiati da un meccanismo pervasivo, che li schiaccia fin da piccolissimi in nome di due totem: l’istruzione e la prestazione. L’imperativo è di avere successo
Cancellato. Evaporato. Quello spazio unico, da sempre destinato alla creatività e sospeso tra regole e libertà, sta scomparendo. I bambini sudcoreani non giocano più. Semplicemente non hanno tempo per farlo. Risucchiati da un meccanismo privativo e pervasivo, che li schiaccia fin da piccolissimi in nome di due totem: l’istruzione e la prestazione. Entrambi finalizzati all’imperativo di avere successo nella vita adulta.
A lanciare l’allarme è un’indagine condotta dal Korea Herald. I numeri catturano una dinamica inesorabile. Un sondaggio del sindacato degli insegnanti e dei lavoratori dell’istruzione ha rilevato che il 62% degli studenti delle elementari ha meno di due ore di tempo libero al giorno. Il 15,8% meno di un’ora. La irreggimentazione dei giovani studenti finisce per ingoiare qualsiasi spazio libero. La giornata dei ragazzi sudcoreani è satura di impegni: alla scuola e agli impegni scolastici, si aggiungono un’infinità di corsi, tutti altamente competitivi e “performativi”. Esemplare è la storia di Kim Min-jae, 11 anni. Ogni giorno appena sveglia, fine settimana compresi, Kim studia l’inglese. Dopo la scuola, segue lezioni di pianoforte e di taekwondo, un’arte marziale coreana. Tornata a casa, dopo aver cenato e prima di andare a letto, la ragazza dedica circa due ore a ripassare le materie studiate a scuola. Il tutto sotto la supervisione severa dei suoi genitori. “Se pensate che questo sia solo un caso estremo di genitori ossessionati dall’istruzione, allora non conoscete davvero la Corea del Sud”.
In un sondaggio condotto su 2.450 scuole elementari, il 90,4% dei bambini ha dichiarato di trascorrere la ricreazione in classe facendo attività legate a “scuole private, esercizi di studio o lezioni online”. Come scrive il quotidiano sudcoreano, “non solo in termini di quantità di tempo dedicato al gioco, i bambini coreani mancano anche di tempo dedicato al gioco di qualità”.
Secondo diversi studi, i ragazzi trascorrono la maggior parte del loro tempo libero in attività legate ai media, come social network, computer, smartphone, videogiochi, televisione e film. Per il ministero del Welfare, il 37,3% degli studenti delle elementari rientra nei gruppi a rischio che fanno eccessivo affidamento sugli smartphone. Secondo un rapporto pubblicato dal Korea Institute for Health and Social Affairs, gli adolescenti coreani di età compresa tra i 13 e i 19 anni trascorrono seduti in media più di 11 ore al giorno. E più precisamente: 11,02 ore al giorno nei giorni feriali e 9,21 ore al giorno nei fine settimana. Un peggioramento rispetto alle precedenti “stime”: nel 2017, i ragazzi trascorrevano seduti 10,19 ore nei giorni feriali e 8,45 ore nei fine settimana. Dunque zero attività fisica.
Ma quali sono i fattori – o la combinazione di fattori – che stanno producendo la sparizione del gioco? Per gli esperti va setacciata la storia recente del Paese asiatico. Una storia che, sicuramente, testimonia uno straordinario (e vertiginoso) successo. All’inizio degli anni ’60, il 40% della popolazione sudcoreana viveva in assoluta povertà. Nel 1996 Seul è entrato a far parte del club delle nazioni ricche, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Oggi la Corea del Sud è uno dei Paesi più ricchi del mondo con un reddito pro capite di 35.000 dollari.
Uno dei volani di questa ascesa è stata proprio l’istruzione. Nel 1945, il tasso di alfabetizzazione arrancava attorno al 22%, uno dei più bassi. Nel 1970, era schizzato al 90%. Oggi sfiora il 100 per cento. Paradossalmente il fattore chiave di questa trasformazione è anche quello che oggi tormenta di più le famiglie sudcoreane. «In Corea del Sud – ha spiegato Donald L. Baker, professore di Civiltà coreana all’University of British Columbia – le credenziali sono decisive. la provenienza familiare è una carta fondamentale per determinare il posto che puoi occupare nella scala sociale, il modo in cui gli altri ti trattano. Ma ancora più importante è il tuo percorso educativo». Accedere all’università, e alle università migliori, è una sorta di assicurazione: con un diploma di laurea in tasca si aggancia il futuro, senza si rischia di perdere il treno del successo. Rimanerne fuori può significare l’esclusione sociale. «Chi entra in una delle migliori università della Corea (tutti i coreani conoscono la classifica) ha possibilità decisamente migliori di ottenere un lavoro ben retribuito, nel governo o in una delle grandi aziende».
Il sistema si autoalimenta, ingigantendosi. Il successo sociale è una “macchina” che non ammette rallentamenti. Una volta sposati e impiegati la competizione si sposta sui figli. I genitori vogliono che i loro figli possano frequentare le università più rispettate. Esercitano molta pressione affinché studino duramente e si preparino per il suneung, l’esame di ammissione universitario. In Corea i genitori spendono molti soldi per i corsi doposcuola, soprattutto nella zona di Seul. C’è una spinta emulativa fortissima tra le famiglie, una vera competizione. Tutto ciò, ovviamente, esercita molta pressione sia sui bambini che sui genitori. Producendo un corto circuito: uno dei motivi del basso tasso di natalità in Corea è il desiderio di evitare le spese relative all’istruzione.
Fonte: Luca Miele | Avvenire.it