La guerra in Ucraina ci costringe a scegliere e a riflettere sull’importanza delle radici dell’Occidente
Le parole di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera meritano di essere riportate: «Da molto tempo pressoché tutte le élite italiane – quelle intellettuali in primis e insieme a loro quelle del mondo dei mass media, del cinema, dell’informazione immediatamente seguite anche da quelle del denaro, dell’industria, delle élite dell’amministrazione pubblica e delle più varie organizzazione sindacali – tali élite, dicevo, hanno abbracciato ogni novità. Hanno condiviso ogni rottura del costume, ogni adozione di idee nuove, ogni abiura delle tradizioni e dei valori ricevuti. Che si trattasse della riproduzione della vita e dei modi della morte, dei caratteri della genitorialità o della morale sessuale, del significato della famiglia, della pace e della guerra, di trasformare ogni bisogno in un diritto, che si trattasse del rapporto con l’Unione Europea e con le sue prescrizioni o della presenza nella Penisola degli immigrati, dell’organizzazione degli studi nella scuola e nell’università o di mille altre cose, immancabilmente tutta l’Italia che contava, che agiva nella società, in specie tutta quella che aveva una forte immagine pubblica e il modo di farsi ascoltare dal Paese ha abbracciato il partito dell’”ideologicamente corretto” equivalente quasi sempre in un fiducioso impegno a favore del cambiamento e – quando andava bene – in un atteggiamento di supponente superiorità, se non di aggressiva ostilità, nei confronti di chi la pensava diversamente» (12 marzo).
Si tratta di una condanna totale e senza appello del pensiero dominante in Occidente nell’ultimo mezzo secolo almeno. E non viene da chi ha sempre combattuto il cosiddetto progressismo, viene scritto da un intellettuale certamente non progressista, ma da qualcuno che scrive sul primo quotidiano italiano.
Che cosa sta succedendo nel mondo occidentale, nella Magna Europa, come Giovanni Cantoni lo definiva per evidenziare il forte legame fra l’Europa e le Americhe, che oggi molti vorrebbero tagliare, sfruttando anche gli errori delle rispettive classi dirigenti? Certo, potrebbe anche non succedere granché, come dopo la Restaurazione effimera del 1815 successiva alla sconfitta di Napoleone, quando la Rivoluzione venne fermata, ma solo temporaneamente. Potrebbe essere semplicemente la presa d’atto che esiste una parte importante dei Paesi occidentali che non ha ceduto alle lusinghe progressiste, e già questo sarebbe una importante manifestazione di realismo. Potrebbe forse essere la reazione di fronte all’ideologia woke, che è una posizione estrema, nel suo odio rancoroso, contro le radici occidentali? Non saprei, ma mi sembra che le parole di Galli della Loggia vadano oltre anche la difesa appassionata e intelligente dell’Occidente che sta facendo Federico Rampini, anche sulle pagine dello stesso Corriere. Le posizioni di Galli della Loggia mi sembrano evocare un Occidente più profondo, quello della filosofia greca, del diritto romano e del cristianesimo, e non semplicemente la modernità occidentale, che ha portato il benessere materiale a mezzo mondo (accanto a tanti mali, aggiungo io), come ricorda sempre Rampini.
Sia come sia, il tema è diventato pubblico e sarebbe folle non capire che è successo qualcosa di importante a livello delle opinioni pubbliche occidentali.
La guerra in Ucraina non sarà senza conseguenze durature. Essa ha costretto molti occidentali a interrogarsi sulla propria identità, a scegliere fra la libertà e il totalitarismo, fra il diritto e l’autoritarismo, fra la libertà religiosa e l’imposizione del fondamentalismo. La guerra ha diviso la destra e la sinistra e lo stesso mondo cattolico, costringendo tutti a distinguere ancora una volta, come prima del 1989, fra pacifismo e pace, perché quest’ultima ha bisogno di verità e giustizia per essere tale. Siamo tutti convinti e preghiamo perché avvenga presto almeno una tregua sul fronte ucraino, e siamo anche consapevoli che purtroppo bisognerà accettare delle ingiustizie per mantenere questa tregua, ma almeno non smettiamo di chiamare le ingiustizie con il loro nome.
Oggi non si tratta più di una piccola associazione come Alleanza Cattolica, che tre anni fa tenne per prima un convegno a Genova per denunciare la cancel culture. L’allora sindaco Bucci venne a dirci che negli Stati Uniti diversi sindaci stavano facendo abbattere o coprire le statue di Cristoforo Colombo. Oggi c’è di più. C’è una consapevolezza dell’attacco all’Occidente, soprattutto dal suo interno, che non c’era fino a pochi mesi fa e che si sta allargando a settori insospettabili. A che cosa potrebbe portare questo aumento di consapevolezza dell’importanza della propria identità, non lo so. Infatti, non basta evocare la filosofia greca, bisogna studiarla, e anche il diritto romano va non soltanto celebrato, ma anche conosciuto veramente. E i valori cristiani vanno non solo apprezzati, ma incarnati: bisogna convertirsi, in buona sostanza, perché «finché non cambia l’individuo, il mondo non cambia», come ha scritto la Presidente di Memorial Italia, Giulia De Florio, a proposito della Resistenza bielorussa (Bielorussia viva tra dittatura e resistenza (1994-2024), Scholé, 2025, p. 55).
E tuttavia, la riflessione sul fallimento dell’ideologia progressista e sull’importanza delle radici della nostra cultura sono importanti, perché sono la premessa di ogni conversione, personale ma anche della società.
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