La scuola italiana vive un momento di crisi ormai strutturale. I nodi che la soffocano (con l’aiuto del ministero) sono essenzialmente tre
La scuola italiana vive un momento di crisi ormai strutturale. I nodi che stringono il sistema, rischiando di soffocarlo, sono essenzialmente tre: affollamento, confusione, inazione.
In ordine al primo nodo, bisogna rilevare che da diversi anni la burocrazia ministeriale reagisce all’emergenza educativa con una serie di interventi ad hoc. Gli eventi gravi che di volta in volta vedono coinvolti i giovani vengono affrontati puntualmente con una nuova “educazione” da introdurre a scuola: alimentare, stradale, sanitaria, al benessere emotivo, all’orientamento, alla cittadinanza, all’immagine. Una folla di educazioni che sovrasta e disorienta la ragione, facendo perdere di vista la necessaria unitarietà del gesto educativo.
La rapidità con cui vengono fuori nuove educazioni deriva, certamente, dall’esigenza di dare una risposta immediata alle richieste mediatiche e alle ansie del pubblico. Bisogna riempire, in tale ottica, il vuoto che si manifesta tra i giovani con misure, regole e nuovi programmi di lavoro. Lo sforzo della burocrazia è, certamente, nobile e serio, ma perdente in partenza, perché trascura le cause del malessere. Perché gli studenti cadono in drammi tremendi che sconvolgono la loro vita e quella altrui? Ebbene, tale domanda non viene affrontata affatto. L’evento grave deve solo essere razionalizzato e inquadrato in un percorso risolutivo che rassereni l’opinione pubblica. Ma che ne è, poi, dell’io di chi si è lasciato andare, provocando disastri? Perché ha fatto del male a sé o ad altri? La scuola come grande contenitore di nuovi interventi non mette affatto in gioco e in questione l’abisso dell’io e le sue scelte esistenziali.
Il burocrate, per sua natura, non si lascia ferire dalle domande di significato, dato che non si pone come padre. Le tante azioni ministeriali, infatti, non hanno mai un riferimento preciso, un nome e un cognome; non si sa chi ha pensato l’ennesima novità scolastica presentata con un nuovo acronimo. I docenti, però, fideisticamente devono accettare ciò che arriva dalle cordate pedagogiche vincenti a livello ministeriale, le quali cercano nuove pubblicazioni e nuovi spazi. Non importa del resto a nessuno se la folla di novità non sia fondata sul piano antropologico o se siano presenti inutili sovrapposizioni.
L’altro nodo che soffoca la scuola è la confusione. Una trascurata serenità dal sorriso ebete è la sua cifra. Il nichilismo gaio che ne è la causa, non è, però, una difficile parola filosofica per specialisti. Si tratta di una realtà che genera caos a tutti i livelli. Molti genitori, ad esempio, vivono in una sorta di nebbia educativa in cui non vedono la necessità di dare obblighi ai figli. Dovere, rispetto, sacrificio non sono più parole da uomini veri come un tempo, ma vuoti nomi del passato. Un genitore moderno e illuminato, perciò, non rimprovera suo figlio se ha occupato la scuola a Roma, insudiciandola, o se ha attaccato un poliziotto a Milano, ferendolo. Nessun problema poi se i ragazzi fanno uso di sostanze stupefacenti o si ubriacano: così fan tutti. I giovani devono “affermare la loro personalità” per crescere liberi. E d’altro canto perché imporre zaino, libri e voti ai ragazzi? La generazione Covid va compresa, alleggerendola di tutto, e se possibile anche dell’io, con un po’ di intelligenza artificiale.
E che dire del sindacato dei lavoratori della conoscenza? Siamo passati dai sindacalisti uccisi dalla mafia a quelli che proclamano lo sciopero per il giorno prima del fine settimana o lo programmano vicino a una festività religiosa. La differenza di peso specifico tra i protagonisti di ieri e quelli di oggi è del tutto evidente.
Le assemblee sindacali vanno fatte poi, rigorosamente, in orario di servizio scolastico, perché al di fuori il fiato diventerebbe corto. I pochi presenti alle assemblee diminuirebbero ulteriormente. E del resto le brave RSU scolastiche, che hanno un seguito veramente minimo, fanno lotte per soldi a pioggia per tutti. Si sa che l’impegno nel lavoro può mettere in crisi il mansionario dei contabili della vita.
Di fronte a così tante persone in ritirata dall’impegno con la vita cosa fanno gli studenti? Cadono nella confusione a loro volta. Non vedono punti certi, argini sicuri e adulti con cui confrontarsi o scontrarsi. Cedono moralmente, precipitando nella triade del “sono andato, ho mangiato, ho visto”. Non desiderano traguardi importanti e non si muovono interiormente, pensando che la scuola sia una sorta di gigantesco luna park in cui tutti giocano spensieratamente: adulti, persone con responsabilità e sindacalisti. Il giudizio attento e scomodo, perciò, viene barattato volentieri con il diritto alla mollezza.
Il terzo punto critico è l’inazione reale. Non c’è da anni la volontà di cambiare le cose veramente. Andrebbero fatti passi giusti e grandi, invece, andando contro le consuetudini acquisite. E, poi, prendere sul serio il nichilismo gaio, che va affrontato con la volontà di uscire dal nulla. Occorre innanzitutto, però, che la burocrazia ministeriale e il sindacato facciano un passo indietro. Si tratta di aver chiaro che i docenti non vogliono essere eterodiretti da chi sta in un ufficio o da chi blocca la differenziazione delle carriere. I primi non sanno cosa accade nelle scuole, mentre i secondi hanno la testa girata verso il secolo scorso.
I giovani hanno bisogno non di nuove educazioni, ma di incontrare uomini vivi. La generazione scialla ha necessità di vedere persone impegnate nel volontariato, uomini innamorati di ideali, donne che generano vita e storia. E ancora, gli studenti hanno bisogno di sentire riecheggiare nel loro animo le domande dei grandi della letteratura. L’umanità di chi ha cercato con coraggio la verità e la giustizia ha la forza anche oggi di contagiare e aprire nuovi orizzonti.
I nostri studenti hanno anche la necessità di scoprire che la fatidica sufficienza è frutto di un ascolto attento in classe e di un sacrificio fatto a casa, non delle lamentele dei genitori-Peter Pan.
Insomma, si tratta di fare esperienza personale che la nebbia può essere squarciata non solo a scuola, ma nella vita. L’esperienza è possibile, però, solo grazie al lavoro e alla fatica: non è a costo zero.
Fonte: Vincenzo Rizzo | IlSussidiario.net