Perché l’enciclica sul Sacro Cuore non circola nel mondo cattolico? Il ruolo fondamentale del Magistero
Sono trascorse poche settimane dall’uscita (24 ottobre) della quarta enciclica di Papa Francesco, Dilexit nos, dedicata all’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo, ma è come se non se ne fosse accorto nessuno. Tutto ciò è strano, perché di solito gli interventi del Papa vengono ripresi, commentati e innestano polemiche che durano settimane e mesi. Non è stato così per l’enciclica sul Sacro Cuore, che evidentemente non si presta a polemiche particolari.
La cosa non sorprende, perché i media difficilmente comprendono tematiche come quella affrontata nell’enciclica, che sottintende una forte critica della modernità, delle sue origini e impostazioni culturali, pur esprimendo questa critica con la delicatezza di chi non vuole «spezzare una canna già incrinata» né spegnere «una fiamma smorta» (Mt 12,20), cioè vuole aiutare il mondo moderno a ravvedersi, non a morire definitivamente. Infatti questo è il senso ultimo dell’enciclica, espresso già nel primo capitolo: se ci si scorda di mettere il Cuore di Cristo al centro della vita personale e pubblica, il mondo non potrà cambiare. Con buona pace, infatti, di coloro che ritengono che la fede non debba incarnarsi nella vita sociale per cambiare un mondo che ha voltato le spalle al Vangelo, l’enciclica, al contrario, ricorda che solo al riparo del Cuore di Cristo il mondo, soprattutto il mondo occidentale, può ritrovare la pace, cioè la tranquillità nell’ordine che da secoli l’Europa ha perduto.
Proprio l’enciclica, nel IV capitolo, ripercorre la storia delle apparizioni e del successivo espandersi della devozione al Sacro Cuore, a partire da santa Margherita Maria Alacoque (1647-1690), che le ricevette nel XVII secolo come antidoto per scongiurare le tenebre che stavano scendendo sopra la “figlia primogenita della Chiesa”. Ma la Francia non volle accogliere l’ammonimento del Sacro Cuore e così nel secolo successivo, dopo una lunga penetrazione del razionalismo illuminista nel corpo sociale, ci fu la Rivoluzione del 1789, le cui idee si diffonderanno in tutta l’Europa.
Ma si diffuse anche il culto del Sacro Cuore, attraverso la pratica dei Primi nove venerdì del mese, che consiste nella Comunione riparatrice per garantire la salvezza a sé e alla società. Ancora oggi i Primi nove venerdì del mese sono notevolmente praticati e le statue del Sacro Cuore molto diffuse nelle chiese.
Stupisce, perciò, che l’enciclica non sia stata ripresa, non venga presentata, nemmeno citata.
Per gli ambienti che guardano con simpatia al modernismo questo atteggiamento è comprensibile. Il Sacro Cuore è una devozione molto popolare, è stata diffusa soprattutto dalla Compagnia di Gesù e osteggiata dal Giansenismo. Il Cuore di Gesù è stato riportato sugli stendardi dei cattolici che si opposero alla Rivoluzione in Vandea e Bretagna, così come nel ‘900 dai cristeros messicani. Esprime un cristianesimo affettivo, fondato sull’amore del cuore umano per il Cuore di chi è morto per salvare ogni uomo, e inoltre possiede una dimensione sociale, che ha dato vita alla dottrina della riparazione, presentata dall’enciclica di Pio XI Miserentissimus Redemptor del 1928 e ripresa soprattutto da san Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica Reconciliatio et paenitentia del 1984. Si tratta di una dottrina che misteriosamente coinvolge gli uomini, se opportunamente spiegata: «insieme a Cristo, sulle rovine che noi lasciamo in questo mondo con il nostro peccato, siamo chiamati a costruire una nuova civiltà dell’amore. Questo vuol dire riparare come il Cuore di Cristo si aspetta da noi. In mezzo al disastro lasciato dal male, il Cuore di Cristo ha voluto avere bisogno della nostra collaborazione per ricostruire il bene e la bellezza» (Dilexit nos, n.182). Nulla a che vedere con un cristianesimo progressista, che disprezza le devozioni popolari delle “vecchiette” che accendono le candele davanti alle statue del Sacro Cuore, non si vergognano di pregare da cuore a cuore, cor ad cor loquitur, secondo il motto cardinalizio di san John Henry Newman (1801-1890).
Stupisce di più la mancanza di attenzione all’enciclica da parte di un certo mondo “tradizionalista”, che sembra avere una sorta di pre-giudizio nei confronti di questo Papa. Un atteggiamento poco cattolico, che sembra non avere compreso il ruolo del Magistero nella vita della Chiesa: esso deve essere seguito con docilità da tutti i fedeli cattolici, come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica (n.87).
Proprio il Magistero sembra essere diventato il problema. La sensazione è che si sia rotto il rapporto fra la Gerarchia e i fedeli, soprattutto perché non funziona la catena di trasmissione dai vescovi ai preti nei confronti dei laici, tramite l’insegnamento magisteriale del Papa.
Se così fosse sarebbe un grosso problema, perché il Magistero è una componente fondamentale della Chiesa, accanto alla Sacra Scrittura e alla Tradizione. Riportare il Magistero al ruolo che gli spetta è condizione necessaria per promuovere una nuova evangelizzazione.
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