Herzog: «Il mondo deve vedere». Le giovani donne col volto e i vestiti insanguinate vengono incalzate dai terroristi: «Che belle sioniste, potete restare incinte»
Ammanettate, fatte sedere sotto minaccia delle armi, trascinate su un fuoristrada e portate nella Striscia. «Cani, vi schiacceremo tutti», dicono i rapitori. «Siete belle sioniste», «ragazze che possono restare incinte», ripetono i miliziani, una ventina, intorno alle soldate catturate il 7 ottobre. Le giovani hanno i volti e gli abiti insanguinati. Gli sguardi stravolti. Una prova a dire: «Abbiamo amici a Gaza. Qualcuno parla inglese?». Il filmato circola da ieri e da ieri è uno schiaffo a Netanyahu, quasi più dell’inchiesta della Corte penale internazionale. È stato infatti il Forum delle famiglie degli ostaggi ad autorizzare la diffusione del video per sollecitare l’immediata ripresa dei negoziati. E mancano le parti più terribili del video. «Il governo israeliano – ha spiegato il Forum – non deve perdere un minuto di tempo in più, deve ritornare al tavolo negoziale oggi». Nel drammatico filmato si vedono, circondate e minacciate dai miliziani di Hamas, Liri Elbag, Karina Ariev, Agam Berger, Daniela Gilboa e Naama Levy appena catturate.
Dal governo non sono arrivati i segnali che il Forum si attende, perciò vengono annunciate nuove manifestazioni di protesta. «Sono scioccato dal video che documenta il rapimento delle nostre care soldatesse. Continueremo a fare di tutto per riportarle a casa», ha scritto su“X” il premier Netanyahiu che non fa accenno al negoziato e ribadisce che «la brutalità dei terroristi di Hamas non fa che rafforzare la mia determinazione a lottare con tutte le mie forze fino all’eliminazione di Hamas». «Il mondo deve guardare a questa crudele atrocità», ha detto il presidente Isaac Herzog. Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant (che con il premier Netanyahu condivide il rischio di un mandato di cattura internazionale) ha dato istruzioni per consentire agli israeliani di entrare in un’area della Cisgiordania del nord dove era stato loro vietato l’ingresso dal disimpegno del 2005, ordinato dall’allora premier Ariel Sharon. Si tratta di 3 insediamenti in Cisgiordania sui 4 nei quali all’epoca Sharon – insieme al ritiro da Gaza – impose il divieto di colonizzazione e le cui strutture furono parzialmente distrutte. La richiesta d’arresto dell’Aja per il premier Netanyahu e il ministro della Difesa Gallant è ancora al centro di ogni dibattito. Ma la scelta di Spagna, Irlanda e Norvegia, che il 28 maggio riconosceranno lo Stato di Palestina, è stata il pretesto che cercava il ministro della Sicurezza nazionale e leader di estrema destra, Itamar Ben-Gvir, per compiere una provocatoria passeggiata sulla Spianata delle Moschee, il terzo luogo più importante per l’islam, annunciando ritorsioni contro i Paesi che riconosceranno la Palestina.
Intanto i carri armati israeliani sono avanzati ai margini di un quartiere affollato nel cuore di Rafah, durante una delle notti più intense di bombardamenti. Nel corso dei raid, l’esercito ha dichiarato di aver ucciso Ahmed Yasser Alkara, descritto come un agente chiave di Hamas, che avrebbe preso parte al massacro del 7 ottobre. Era ritenuto come un abile operatore di missili anticarro. Nella città centrale di Zawayda, un raid ha ucciso sette persone in una casa. Le armi arrivano, gli aiuti umanitari no.
Dal molo temporaneo costruito dagli Usa e ancorato a una spiaggia di Gaza, ancora nessun carico è sbarcato. Lo ammette il Pentagono, spiegando che gli Stati Uniti stanno ancora lavorando con Onu e Israele per identificare dei percorsi sicuri per la distribuzione all’interno della Striscia di Gaza.
Appena fuori dal muro di recinzione di Gaza l’inviato del “Guardian” Lorenzo Tondo con il fotoreporter Alessio Mamo sono riusciti a documentare il momento in cui alcuni soldati israeliani segnalavano a dei gruppi di coloni israeliani il dislocamento degli aiuti umanitari, consentendo che i fanatici delle colonie prendessero d’assalto i convogli impedendo l’ingresso degli aiuti a Gaza.
Fonte: Nello Scavo | Avvenire.it