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La crisi del maschio occidentale e la sua possibile rinascita

Sono molti anni, ormai, che se ne parla, e tanto abbiamo imparato dalle riflessioni di Mariolina Ceriotti Migliarese, Claudio Risé e Roberto Marchesini sul venire meno della figura maschile nel mondo occidentale. Ma forse oggi c’è qualcosa di più.

Mi ha colpito il titolo di un articolo del Corriere della Sera (11 marzo): «I laburisti in soccorso degli uomini: “Crisi della mascolinità”». I laburisti a cui si fa riferimento sono il partito della sinistra inglese, che probabilmente vincerà le prossime elezioni politiche previste quest’anno. Il ministro-ombra laburista della Sanità, Wes Streeting, ha parlato di «una sorta di crisi della mascolinità, con le malattie mentali in crescita e col suicidio che è diventato la prima causa di morte per gli uomini sotto i 50 anni. Quando ho letto quelle statistiche sono quasi caduto dalla sedia, è scioccante».

 

Sarebbe facile rispondere polemicamente sulle responsabilità dei partiti progressisti nell’aver favorito questa tendenza, con il femminismo sempre più aggressivo, con l’ideologia gender che annulla le differenze naturali fra uomo e donna, con la cultura woke capace di incolpare il maschio occidentale di ogni misfatto, ma non è questo il punto. Il problema travalica la destra e la sinistra, siamo di fronte a un bivio antropologico che riguarda ogni uomo e la sopravvivenza della nostra civiltà: ben venga se anche un partito di sinistra se ne stia rendendo conto.

Come se ne esce? L’articolo del Corriere fa stato di alcuni rimedi già presenti nel programma del partito laburista: «il servizio sanitario nazionale offrirà agli uomini controlli sulla salute in “spazi maschili” come centri sportivi e pub, oltre che moltiplicare gli sforzi per incoraggiare i maschi a essere più aperti riguardo i problemi di salute mentale».

Credo però che si debba andare alla radice del problema per trovare una soluzione, e la radice è antropologica, cioè riguarda che modello umano vogliamo proporre. L’unica soluzione è guardare e contemplare la realtà della Creazione, comprendere perché il Creatore ha voluto l’uomo maschio e femmina, valorizzare la differenza non in vista di una competizione dialettica, ma della comunione fra due persone diverse e complementari.

Soltanto allora, “ritornando al reale”, per citare Gustave Thibon, il maschio (e la femmina) potranno ritrovare la loro vocazione e identificarsi nel rispettivo ruolo.

Il problema non è anzitutto politico, anche se la politica può favorire o ostacolare il percorso da fare. E non è nemmeno anzitutto culturale, anche se la cultura ha una grande influenza su tutti i nostri comportamenti e sulle decisioni che ciascuno può e deve prendere.

Il problema riguarda ogni uomo, ciascuno di noi. Una volta avvertiti (e convinti) della crisi del maschio occidentale, diventati consapevoli che siamo chiamati a rispondere del nostro comportamento pubblico, allora dobbiamo decidere nel nostro cuore se vogliamo essere responsabili del futuro delle nostre famiglie e della nostra patria, sia difendendola da chi la vuole sottomettere dall’esterno, sia dall’autodistruzione. Per fare questo ci vogliono degli uomini (e delle donne) che siano consapevoli della propria identità e che combattano anzitutto una battaglia interiore contro il demone dello scoraggiamento, dell’apatia, della rinuncia.

Fonte: Marco Invernizzi | AlleanzaCattolica.org

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