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L’inenarrabile dolore delle madri

La Via Dolorosa appartiene in modo particolare alle madri: Maria che incrocia lo sguardo del Figlio, lo segue fin sotto la croce, lo osserva morire, lo vede col cuore squarciato da un colpo di lancia e si sente lei stessa trafiggere il cuore immedesimandosi nella sua sofferenza e contemporaneamente nella sofferenza di ogni madre.

Quante volte si ripeterà questa esperienza nel corso della storia e anche della storia recente: le madri della Plaza de Mayo a Buenos Aires, dal cuore spezzato dopo anni di ricerca nel vano tentativo di sapere qualcosa dei loro figli; le madri degli ostaggi israeliani catturati da Hamas lo scorso sette ottobre, che non sanno se siano vivi o morti, né se li potranno riabbracciare; le madri palestinesi che piangono le migliaia di bambini morti sotto i bombardamenti, molti dei quali sepolti anonimi sotto le macerie di Gaza, derubricati a danno collaterale da un linguaggio deumanizzante; le madri dei giovani russi e ucraini mandati al fronte e ritornati a casa in neri sacchi o bare improvvisate.

Una madre porta in grembo un figlio nove mesi prima di darlo alla luce, con la speranza che la sua vita sia lunga e bella, ricca di amore e piena di significato. Una madre, quando vede morire un figlio, sente lacerarsi il grembo e le viscere, non solo il cuore. Come ha ricordato (su «L’Osservatore Romano» dello scorso 13 gennaio) Rachel Goldberg Polin, portavoce degli ostaggi rapiti da Hamas il sette ottobre e madre di uno di loro: «Basta con la sofferenza delle persone da entrambe le parti in conflitto. Basta lacrime. Basta con lo spargimento di sangue. Basta con il dolore. Basta. Il primo passo verso la compassione è l’unità. Il primo passo verso l’unità è la solidarietà. E il primo passo verso la solidarietà può essere un simbolo. Unitevi a me nel simbolo di una madre che soffre. Proprio come Madre Maria ha pianto, anch’io piango per il nostro mondo frammentato».

Fonte: Francesco Patton | OsservatoreRomano.it

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