A colloquio con la sindonologa Emanuela Marinelli che da 40 anni racconta le centinaia di evidenze scientifiche che smentiscono i risultati falsati del C14 e «mostrano l’autenticità del telo».
«Era alto 1 metro e 75, aveva il corpo atletico e il tono muscolare di una persona abituata a fare lavori di fatica, ma nei fatti aveva un aspetto fisico come tanti uomini del suo tempo, se è vero che Giuda per farlo riconoscere da chi voleva catturarlo nella notte ha dovuto baciarlo». Emanuela Marinelli è sindonologa fra le più conosciute, capace di girare l’Italia e il mondo per parlare della sua grande passione: l’Uomo della Sindone. Un uomo fra i trenta e quarant’anni che, afferma, «non ci sono dubbi, è proprio il Gesù dei Vangeli, il Verbo che si è fatto carne, crocifisso sul Calvario, deposto nel sepolcro e risorto all’alba del terzo giorno. E quel volto ci interroga. Ci guarda e ci interroga».
Marinelli è laureata in scienze naturali e in geologia. La sua storia con la Sindone comincia per caso nel 1975: «Avevo 24 anni. Ero cattolica, ma il mio substrato era più culturale che devozionale. Era l’anno santo e a Roma in via della Conciliazione, in una libreria, mi imbattei per la prima volta in un’immagine del volto sindonico. Ne restai colpita e chiesi alla suora al banco chi fosse l’artista. Mi spiegarono che Sindone, dal greco “ sindon” che significa lenzuolo, era il telo in cui era stato avvolto Gesù e che era conservato a Torino. Quasi mi misi a ridere. Come poteva dopo 2000 anni? La suora mi diede un santino e mentre uscivo pensavo: “Se le suore credono a queste stupidaggini come ci si può meravigliare se la gente non va in chiesa?”».
Quando cambiò idea?
«Due anni dopo vedo in tv un documentario in cui il botanico e criminologo Max Frei Sulzer, fondatore del laboratorio scientifico della polizia di Zurigo, calvinista zwingliano, annunciava i risultati di un suo studio su un campione di polvere prelevato dalla Sindone. Aveva trovato pollini di piante dell’Oriente mediterraneo, in particolare di Zigophillum Dumosum il cui areale esclusivo è compreso fra Sinai, Giordania e Israele. Dai miei studi sapevo quanto fossero importanti i pollini per stabilire la provenienza dei reperti. Da quel momento le cose cambiano. Vado a vedere una mostra organizzata dal sindonologo monsignor Giulio Ricci a Santo Spirito in Sassia. Mi iscrivo al Centro romano di sindonologia e l’anno seguente vado Torino per l’ostensione della Sindone».
Un colpo di fulmine.
«Confermato dalle conclusioni dei 33 scienziati americani di varie discipline ai quali, finita l’ostensione, viene concesso di studiare la Sindone per 5 giorni, secondo i quali quel telo aveva certamente avvolto un cadavere. Allo stesso tempo un eventuale falsario medievale non avrebbe potuto sapere che un giorno le fotografie all’ultravioletto avrebbero potuto vedere le tracce di siero sanguigno sul telo. Gli studi di Ricci, poi, avevano individuato tutti i segni della passione come dai testi evangelici e dalle fonti storiche su flagellazione e crocifissione romana. Inoltre sono state trovate tracce di aragonite con le stesse caratteristiche chimiche e impurità di quella reperibile nelle grotte di Gerusalemme. Insomma, c’erano così tanti argomenti ed evidenze scientifiche sull’autenticità della Sindone che non potevo più dubitare».
Poi è arrivato il Carbonio 14.
«Studiavo la Sindone già da 11 anni. Sapevo che nel 1982 era stato datato un filo della Sindone: metà aveva dato 1000 anni d.C., metà 200 d.C.. Pertanto un quadratino di stoffa di 3 centimetri preso in un solo punto non poteva essere probante. Con Orazio Petrosillo scrivo un libro, con la prefazione di Vittorio Messori, che già a maggio del ’90 smentisce i risultati del C14, che “Nature” aveva invece definito la prova definitiva che la Sindone era un falso medievale. Dopo una lunga azione legale nel 2017 il ricercatore Tristan Casabianca ottiene le 700 pagine dei dati grezzi di quelle misurazioni conservati al British Museum e ne emerge che il campione non poteva essere rappresentativo in quanto su tre centimetri la datazione variava di 150 anni, come conferma uno studio statistico dell’Università di Catania, condotto da Benedetto Torrisi e Giuseppe Pernagallo, pubblicato sulla rivista “Archaeometry” dell’Università di Oxford nel 2019 e mai smentito».
Lei dice che quel volto ci interroga, perché?
«Il poeta Paul Claudel sosteneva che più che un’immagine è una presenza, è il Cristo storico in mezzo a noi. Max Frey Sulzer sottolineava: “Chi mai può essere, se non il Cristo, un uomo che dopo tante sofferenze mostra un volto così soffuso di divina maestà?”. Tutta l’immagine sindonica è il racconto al dettaglio di una tortura terribile e tante volte mi sono chiesta cosa faccio io di fronte a Dio che ha scelto di farsi massacrare per me? Una volta andai a parlare di Sindone ai malati terminali dell’ospedale Regina Elena e uno di loro alla fine, con un filo di voce mi disse: “Ora non mi lamento più”. Il fotografo Secondo Pia, il primo a scattare un’immagine della Sindone e quindi a scoprirne il negativo fotografico, non cessava di chiedersi: “Ma chi sono io per essere il primo uomo degno di rivedere il volto di Dio?”».
Il volto di Dio… Una cosa che non consideriamo mai abbastanza.
«Noi cristiani sappiamo di poterlo trovare nell’Eucarestia, nel prossimo, nel povero, nel fratello che soffre, ma tutto ci dice che la Sindone è l’immagine fotografica del Gesù storico, svelata al mondo agli albori del ’900, all’inizio dell’era dell’immagine, fissata sul telo da un’istantanea e potentissima emissione di luce come confermano le ultime ricerche dell’Enea di Frascati…»
Ci faccia capire.
«Dall’analisi del sangue sappiamo che il corpo è stato avvolto nel telo fra le 36 e le 40 ore, cioè dal venerdì all’alba di domenica. L’immagine, formatasi dopo perché sotto il sangue il telo è bianco, è un ingiallimento del lino profondo un quinto di millesimo di millimetro. All’Enea hanno dimostrato, grazie a un laser sofisticatissimo, che un simile risultato si ottiene con un lampo di luce di una frazione di secondo, unidirezionale e potentissimo. Per fare un’immagine simile ci vorrebbe l’esposizione contemporanea a migliaia di raggi di quel laser…»
Lei ha scritto venti libri sulla Sindone e fatto oltre 5mila conferenze in 40 anni. Cosa la spinge?
«Quando ho saputo non ho potuto più tacere. È questa la mia missione. Per me è evidente che la Sindone è come un Vangelo scientifico – monsignor Ricci diceva che è il Quinto – capace di parlare contemporaneamente ai semplici, agli scienziati, agli artisti, agli storici. Ho visto scienziati cambiare idea di fronte alla Sindone e se tanta gente non crede è perché non sa: è stata ingannata dalla rilevanza data ai risultati del C14 e dall’interesse marginale dei media alle migliaia di dati che li smentiscono e testimoniano l’autenticità della Sindone. Anche la storia dell’arte ci dice che parlare di falso medievale è assurdo perché le icone di Cristo si rifanno al volto sindonico almeno dal quarto secolo. Quel volto parla alla testa e al cuore. Una sorta di autoscatto, un selfie in cui si mostra così come era 2000 anni fa. Ecco, io penso che abbiamo la stessa fortuna dei discepoli che potevano guardarlo in viso: dalla terra prelevata dal telo all’altezza dei piedi, sappiamo che quell’uomo calpestava con loro lo stesso suolo di Palestina. E credo che chi vede Lui, veda il Padre».
Fonte: Roberto Zanini int. Emanuela Marinelli FrancescoMacriblog.com