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“14 anni dopo Elunana, la gente non vuole morire ma vivere”

“oggi sono in pace perché Eluana ha vinto”: così Beppino Englaro a “Repubblica”. Ma la libertà, per fortuna, è anche dire sì alla vita

 

Ieri Repubblica ha dedicato un ampio spazio all’intervista che Ezio Mauro ha fatto a Beppino Englaro in occasione dell’anniversario della morte di Eluana (9 febbraio 2009) e il mio interesse è stato attratto subito dal titolo dell’articolo, “Par la libertà seimila giorni d’inferno ma oggi sono in pace perché Eluana ha vinto”, in cui quattro parole chiave tentano di definire la complessità di una vicenda che per molti mesi ha tenuto col fiato sospeso milioni di italiani.La prima parola è “libertà”, e non poteva che essere questa, in una vicenda che ha visto schierarsi in modo duro due posizioni diverse: da un lato i fautori di un’autodeterminazione che non conosce limiti, e dall’altro quanti ritengono che le pur legittime aspirazioni alla libertà non rappresentano un valore assoluto, tale che si possa declinare senza prestare attenzione anche ad altri valori.

La seconda parola è “inferno” ed esprime tutta la fatica, la sofferenza prolungata nel tempo, il dolore, le incomprensioni con cui Beppino Englaro ha dovuto confrontarsi in questi anni per realizzare la volontà di Eluana. Il suo vissuto è stato quello di chi per 6mila giorni ha sperimentato un vero e proprio inferno, ma ora si sente in “pace” – terza parola chiave – perché sua figlia, morendo, ha vinto. E la quarta parola chiave per lui è proprio “vittoria”.

Quel lungo titolo contiene in sintesi tutto il significato di una vicenda umana che ha obbligato milioni di italiani ad interrogarsi sul senso della vita e sul senso della morte in un clima politico e culturale in cui le parole Libertà, Pace e Vittoria rappresentano le aspettative, le aspirazioni non solo di un padre che non vuol vedere soffrire sua figlia, ma anche quelle di una figlia che non avrebbe  mai accettato di vivere in uno stato “vegetativo”. Uno stato che il padre non esita a definire un inferno, vissuto in attesa che si compisse il lungo e spesso complicato iter legislativo della legge sul Consenso informato e sulle Disposizioni anticipate di trattamento, la famosa legge sul testamento biologico, la 219 del 2018, che ha richiesto altri dieci anni.

Sollecitato dalle domande del suo intervistatore, Beppino Englaro ripercorre tutta la vicenda di sua figlia, ricordando il suo bisogno di autonomia e di indipendenza proclamato a soli 10 anni, rivendicando il suo diritto a decidere da sola. Ne tratteggia il carattere fiero, poco incline alle mediazioni, per cui il bianco è bianco e il nero è nero. Ricorda la sua reazione davanti all’incidente che costa la vita ad uno dei suoi amici più cari, un amico che non avrebbe mai accettato di vivere in condizioni di grave disabilità e fa sua quella stessa posizione. Il suo carattere forte, determinato, la sua volontà di vivere senza accettare limiti, né sul piano fisico, né su quello psicologico, diventano per il padre il senso di una missione con cui definire il primato della coscienza personale. Beppino Englaro dice esplicitamente nell’intervista che non è nella misericordia verso gli altri che si fonda il senso della sua battaglia, ma nel preciso impegno per garantire a tutti e ad ognuno la possibilità di riaffermare, senza manipolazioni di sorta, il primato della propria coscienza, come suprema manifestazione della propria libertà e della propria dignità. Lascia la misericordia a chiunque desideri accostare il dolore e le sofferenze degli altri con una solidarietà profonda e condivisa, ma lui per sé sceglie il cammino difficile della libertà di coscienza.

Non è stato facile leggere questa intervista senza ricordare le tensioni che in questi 15 anni hanno accompagnato il dibattito, non solo a livello parlamentare, su una delle storie che più profondamente hanno toccato il cuore di tanti italiani. Un dibattito che ha interpellato la loro coscienza per porre la domanda che definisce per ognuno di noi l’orizzonte esistenziale e valoriale: in che rapporto stanno tra loro la coscienza e la libertà personale; il bene da compiere e il male da evitare… come si intrecciano tra loro soggettività e oggettività nel giudizio sul bene, sul mio bene e sul bene che tocca la vita di molte altre persone, come accade con una legge?Per Beppino Englaro Eluana ha vinto, lui è in pace, il suo inferno è terminato e la libertà di tutti e di ognuno ha trovato lo spazio necessario per esprimersi. Eppure la legge stenta ad essere recepita, le persone non fanno il testamento biologico, non riconoscono alla legge per cui tanto ci si è battuti in un senso e nell’altro la garanzia necessaria per la loro libertà di coscienza… Ma ad un padre che tanto si è battuto per tutelare i diritti della figlia va tutto il rispetto e la solidarietà, anche se poi la nostra libertà di coscienza ci porta a fare altre scelte, a dare un diverso giudizio di valore al senso stesso della nostra libertà. A ispirare le nostre scelte ad una diversa visione della vita, della misericordia, della solidarietà.

Fonte: Paola Binetti | IlSussidiario.net

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