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Che la guerra ci faccia paura

La paura, quella che nasce dalla cura di sé e dei propri cari, salva la vita: ci avvisa che siamo in presenza di un pericolo; attiva le risorse fisiche e psicologiche perché ci allontaniamo o ci difendiamo; stimola l’intelligenza e il senso critico perché sventiamo una truffa ai nostri danni; dà vigore e urgenza alle parole con cui mettiamo anche altri sull’avviso. Fino a pochi giorni fa, credevo di aver avuto paura della guerra. Lo credevo perché più volte, nell’anno che abbiamo alle spalle, mi sono spaventato, e con intensità. Era inevitabile: è stato un crescendo di esperienze scioccanti. Quasi un anno fa, nei giorni e nelle ore precedenti all’attacco ho visto in televisione, sui giornali, nei social, le colonne dei carri armati, i preparativi ostentati, l’accorparsi delle truppe; ho udito le minacce, i discorsi politici, i proclami; ho assistito agli inutili – forse troppo poco convinti – tentativi di interporre contatti diplomatici. E ho avuto paura.

Poi, stupito come tutti, ho ricevuto la notizia: la guerra è scoppiata: incursioni, bombardamenti, le prime vittime, i primi profughi. Nel giro di pochi giorni, un fiume di innocenti in fuga. E ho avuto paura. Subito volevo fare qualcosa: mi sono informato, ho dialogato, ho scritto (anche su questo giornale), con alcuni amici ho pensato a una possibile iniziativa di pace, che non siamo riusciti ad avviare… Intanto lo spettacolo osceno peggiorava: le accuse atroci di crimini di guerra, le fosse comuni, i cadaveri per strada, gli stupri. E ho avuto ancora più paura. Allora ho sperato in ogni minimo accenno di trattativa, ho plaudito ad accordi importanti, come quello sull’esportazione di grano dall’Ucraina. Ma è venuto il falli mento di ogni contatto e dialogo; sono arrivati i proclami sempre più minacciosi, che chiamavano in causa perfino Dio e miravano a negare la dignità umana del nemico; sono partiti i treni di armi, le forniture militari, gli arruolamenti. E avanti con minacce sempre più gravi, fino all’evocare (addirittura!) la guerra nucleare… E ho avuto paura. E sempre ho pregato, ho implorato, ho cercato di restare in comunione con il Padre di tutti e con la Chiesa che attende la pace in ogni epoca come un dono dell’Altissimo (“ Vi do la mia pace… non come la dà il mondo…”, ha detto Gesù), che solo da lui può venire. Eppure, dopo tutto questo, il colmo dell’orrore doveva ancora manifestarsi.

Qualche sera fa gli occhi si sono aperti. I tg parlavano dell’incontro tra leader e ministri di Stati Uniti d’America, Europa (Italia compresa) e altri alleati schierati contro la criminale invasione dell’Ucraina. E ne parlavano con gli stessi toni, gli stessi termini, le stesse proiezioni di un summit di routine di ministri dell’Economia. “Ma che succede!?”, mi sono detto. “Questi politici non hanno parlato di inflazione, di tassi di interesse, di pressione fiscale: hanno pianificato la creazione e la fornitura di carri armati, di batterie di missili, di centinaia di migliaia di proiettili, di tonnellate di bombe, di mine sufficienti a infestare per anni chilometri quadrati di territorio, di trasporto veloce di truppe, di raffinate tecnologie di disturbo delle comunicazioni del nemico… come se fosse una cosa normale! Come si parla di qualsiasi altra merce!”.

E in quel momento, ho avuto paura di non avere più paura. Un’amica scrittrice, Guia Falck, mi aveva messo sull’avviso, ma non avevo capito. Aveva detto: « La guerra uccide, ma se ci abituiamo alla guerra siamo già morti». Sì, è vero: il vero rischio della guerra è questo metterla “in agenda”, è questo inserirla tra gli imprevisti (o le opportunità?) dell’economia, è il trasformare armi di ogni tipo in beni di consumo. È la burocratizzazione dell’odio. Da qui alla normalità dell’orrore il passo è breve. E forse, nel nostro cuore e nella nostra mente, esso è già compiuto. Ma sono cristiano e vedo, più che mai, una via di salvezza: la preghiera che unisce la mia anima alla sollecitudine materna (all’ansia materna) di Dio per tutti i suoi figli. E prego una preghiera cristiana e civile: che si rinnovi in me, la paura, lo spavento. Che io dica e ripeta e urli che non avrò pace finché non ci sarà pace. Che anch’io sia libero dal male supremo e atroce dell’indifferenza.

Fonte: Arnoldo MOSCA MONDADORI | Avvenire.it

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