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ULTIMO BANCO – Articolo 3

Nelle ultime settimane parte della nostra emotiva attenzione mediatica è stata catturata da una mamma finlandese in fuga dalla scuola italiana, da una bidella pendolare tra Milano e Napoli, da una professoressa bersaglio di pallini, da alunne che assumono tranquillanti prima di una prova… La scuola buca l’opinione pubblica quando la notizia (spesso manipolata) acchiappa il clic. Risultato? Tanti riflettori, poca riflessione, nessun riflesso.

Ho quindi raccolto stralci di quattro lettere ricevute di recente che invece mostrano un ordinario senza riflettori ma bisognoso più che mai d’azione.

1. Docente precaria: «Insegno alle superiori, anzi no: dove mi lanciano atterro! Quest’anno ho avuto un contratto per cattedra accantonata (posti non assegnati stabilmente per conflitti burocratici e coperti da supplenti provvisori ndr), ma due settimane fa sono rimasta a casa. Speriamo che l’ennesima attesa duri poco. Poi altro istituto, classi, colleghi… E ciò che ho seminato nel frattempo? La continuità didattica? Nel cestino, in onore all’algoritmo ministeriale (metodo per assegnare le cattedre ndr). Ma che ne sarà di G. che dopo ore di lezione mezzo addormentato decide di scrivermi che si sente strano perché pensa di non essere in grado di provare emozioni? Forse a G. non serve una certificazione o una nota disciplinare che reciti che “l’alunno dorme in classe”. Forse G. pensa di non essere in grado di provare emozioni perché nessuno gli ha mai spiegato che cosa siano».

« Forse pensa — continua la lettera — di essere disfunzionale emotivamente perché, anche se trova una docente che lo guarda negli occhi, poi questa risulta improvvisamente interscambiabile con un altro (s)oggetto e sparisce senza poter spiegare perché. È per questo che G. non trova interesse in niente o è colpa sua? Io speriamo che me la cavo, ma soprattutto, speriamo che G. trovi altri sguardi».

2. Una madre: «Sono rappresentante genitori di una classe di superiori. Vorrei metterla a conoscenza di quanto successo nella scuola di mio figlio e in molte altre in questo periodo: un improvviso e immediato cambio di professore. Inutile dire lo sconcerto dei ragazzi e dei genitori: programma avviato e consolidato, relazione interrotta di colpo per norme burocratiche assurde e impietose. Forse non tutti nelle alte sfere ricordano che la scuola inizia a settembre e che i ragazzi sono puntuali nel presentarsi. Loro. Perché i professori, non per colpa loro, arrivano quando li chiamano. Si buttano via tre mesi di scuola, come se i professori fossero pedine e i ragazzi numeri».

3. Un professore: «A maggio ho superato la prova scritta del concorso ordinario. Dopo sono passati cinque mesi prima di sostenere l’orale: bruciati in mezz’ora! Milleottocento secondi (elaborare una lezione su un argomento pescato a caso, ndr) sono bastati per giudicarmi inadatto a un lavoro che faccio da quattro anni. Eppure la mattina seguente ero a scuola a fare proprio quel lavoro per cui ero stato dichiarato inidoneo poche ore prima. Speravo di non aver più bisogno di aiuto economico dai miei e invece è crollato tutto, come la speranza di un futuro meno precario! Ho pur sempre il mio lavoro che durerà (l’ennesima volta) fino al termine delle attività didattiche, ma forse questa volta terminerà davvero, perché è dura trascorrere i mesi estivi fermo, sperando che a settembre un computer mi convochi da qualche parte e per un periodo incerto».

4. Una coppia con figlia: «iscritta al primo anno di superiori in un istituto pubblico ai vertici delle graduatorie delle scuole. Alla riunione di classe i professori ci dicono che vogliono selezionare il più possibile. Chi non ce la fa sarà fuori entro l’anno: è fisiologico. Sono medico e questo fisiologico lo trovo alquanto patologico: la scuola è un filtro? Passano solo le menti fini e gli altri sono scarto? Al colloquio, a causa di due voti insufficienti, dopo solo un mese di scuola, nostra figlia viene descritta così da una insegnante: “immatura, superficiale, un disastro… e chissà come va nelle altre materie”. Proviamo a dire che ha ottenuto buoni risultati, ma nulla. È una ragazza profonda e dotata di intelligenza emotiva, ha scelto questo percorso perché vuole dedicarsi alla psicologia. Alle elementari e alle medie era amata dagli insegnanti, vicina ai compagni in difficoltà, ha risolto conflitti e portato pace. Chi è questa ragazza “immatura e superficiale”? Dopo un mese il contenitore (i voti) è già confuso con il contenuto (mia figlia). È così che un’insegnante accende amore e interesse per la sua materia? O forse l’ansia di selezionare per rimanere in alto nel ranking dei licei annebbia la mente? Siamo lontani dalla scuola che scopre i talenti, fa crescere le menti, accompagna la capacità critica. La scuola oggi è questione di fortuna, se ti capitano insegnanti così puoi iniziare anche a odiare te stesso».

Che cosa mostrano queste lettere? Che l’ecosistema necessario alla fioritura di ciascuno grazie a relazioni autentiche e stabili nel tempo, non funziona se è affidato a meccanismi digitali ciechi, burocrazia inefficiente e a persone che quelle relazioni non possono o non riescono a curarle.

Spero che queste testimonianze (ne ricevo quotidianamente) possano servire al ministro e ai dirigenti sindacali per una improcrastinabile riforma dell’ambito da cui dipende la qualità della scuola: formazione, reclutamento, verifica e valorizzazione delle capacità educative e didattiche dei docenti (non è carisma, empatia o fortuna, ma professionalità), altrimenti quella dell’articolo 3 della Costituzione è solo retorica: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

Senza una scuola di qualità per tutti e affidata a Maestri messi in condizione di esserlo davvero non ci può essere pieno sviluppo della persona umana né quindi reale partecipazione alla vita.

Fonte: Alessandro D’AVENIA | Corriere.it

 

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