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ULTIMO BANCO – Venire al mondo

«Gentile Preside e Professori, con la presente desidero condividere il motivo del mio abbandono del liceo e del sistema scolastico tradizionale, con la speranza di lasciare uno spunto di riflessione per migliorare, nei limiti del possibile, le modalità di insegnamento e i requisiti della scuola. Imparare mi ha appassionato fin dai primi anni delle elementari, studiavo volentieri e in fretta. Quest’anno, però, mi sono sempre più allontanato dall’apprendimento scolastico, anche delle materie che più mi interessano. Trovo che la scuola mi imponga uno studio eccessivamente nozionistico, spesso privo di logica. Questo durante ore in cui il disagio fisico e psicologico di stare in classe si sommava alla noia derivata da lezioni quasi esclusivamente frontali. Mi trovavo a dover recepire un gran numero di informazioni passivamente, spesso con imposizioni contrarie al mio metodo di memorizzazione e ascolto». Così inizia la lettera di un 17enne che alla fine dell’anno scolastico passato ha deciso di studiare autonomamente. Le sue parole mi hanno aiutato a riformulare il dibattito sul merito, che diventa sterile (il merito è di destra o di sinistra? la meritocrazia è capitalismo aziendale o giustizia sociale?) quando è sganciato dalla vita reale della scuola: non voglio parlare di «scuola del merito» ma di «merito della scuola». Detto altrimenti: la scuola, così com’è, serve? La lettera continua così.

«Molti insegnanti pensano che un alunno ascolti seriamente solo se è seduto a prendere appunti. Ognuno però possiede metodi diversi che andrebbero valorizzati per permettere un apprendimento migliore. Ho quindi iniziato a vedere nella scuola non un luogo dove viene diffusa la conoscenza e l’obiettivo è la crescita della persona per prepararla al futuro, ma un luogo in cui quello che conta sono le ore, in cui non si considerano le peculiarità ma si mira a uniformare verso la mediocrità. Così è maturata in me la decisione di abbandonare la scuola tradizionale, ma non lo studio, che mi appassiona e mi porterà a proseguire all’università e al lavoro. Ringrazio comunque tutti voi per quest’anno che mi ha permesso di comprendere meglio me stesso e ciò che desidero per il mio futuro». Non posso giudicare la scelta di questo ragazzo, ma la lettera affranca «il merito» dalle astrazioni prive di vita. Merito, dal greco meris, è la parte, porzione che toccava a ciascuno in una distribuzione, tanto che dalla stessa parola si formava il verbo per dire distribuire (il nostro s-partire, fare le parti) e quello per dire parte-cipare (prendere una parte). Ma meris significava anche cura, aiuto e occupazione. «Il merito» non indica quindi «la prestazione» ma «la parte/cura» da dare a ciascuno e che non è la stessa per tutti. Una scuola che non riesce a dare la parte/cura che spetta a ognuno sulla base della sua situazione, storia e possibilità non è equa. Io faccio il maestro per dare, attraverso quel che insegno, a ogni ragazzo ciò che serve a lui e solo a lui per diventare se stesso, non per tenere conferenze, dare test o compilare moduli: il mio motto è più carne e meno carte.

Fonte: Alessandro D’AVANIA | Corriere.it

 

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