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SVILUPPO SOSTENIBILE/ Siamo come nel tardo impero romano: va rimesso al centro l’uomo

Lo sviluppo è davvero sostenibile solo se la sostenibilità è sociale, economica e ambientale. Perciò serve un nuovo concetto, declinato in un senso più umano.

La parola sostenibilità, come l’aggettivo sostenibile, hanno una comune etimologia derivante dal latino sustinere, composta da sub, cioè sotto, e tenere, così da significare un controllo che afferma la possibilità che un oggetto, una persona, un pensiero possono essere attuati in un equilibrio tra causa ed effetto in un orizzonte di lungo tempo in caso contrario diventa non sostenibile.

Il termine “sostenibilità” viene oggi utilizzato come promozione di beni e servizi, così si accompagna a tutte le operazioni: pubblicità sostenibile, pesca sostenibile, produzioni sostenibili, economia sostenibile. L’uso generico del termine per tutto diventa un’idea che così come viene presentata risulta estremamente ambigua, va bene per tutto e per questo si rende necessaria una sua corretta declinazione, in particolare se accompagna il termine di sviluppo come sostenibile.

Il concetto dello sviluppo sostenibile implica che non può esserci uno sviluppo sociale sostenibile senza che siano sostenibili anche quello economico e ambientale. La sostenibilità dovrà quindi essere declinata secondo i concetti di sostenibilità sociale, economica e ambientale: tutti e tre questi modelli dovranno essere strettamente connessi.

La sostenibilità economica sta nell’idea di un percorso di crescita legato al concetto di equità con il perseguimento del bene comune. Il tema del bene comune è un’aspirazione, oggi diremmo utopica, che è stato posto con forza da quando l’uomo ha coscienza della vita comunitaria.

Se gli interessi personali non trovano composizione nel bene comune tendono a prevalere i comportamenti personalistici da perseguire anche in modo criminoso e si afferma il mostro del “bellum omnium contra omnes”, che porta al collasso ogni società, come la storia dimostra nei suoi percorsi millenari e come vediamo oggi ogni singolo giorno. La sostenibilità economica è stata messa a rischio dalla mancanza di attenzione al bene comune, a cui dobbiamo tornare come un nuovo modello socioculturale per una nuova e ripensata sostenibilità.

La sostenibilità ambientale è espressa dal rapporto tra beni naturali prodotti ed esistenti e il loro consumo nei processi economici di produzione e consumo; tale rapporto dovrebbe consentire una stabilità tra risorse naturali, consumi e produzioni, in modo che il contesto naturale non venga pericolosamente sottomesso a obiettivi di guadagno oggi preminenti.

In una società materialistica orientata dall’interesse personale la natura diventa una miniera da cui estrarre ogni possibile bene senza riguardo alla sua naturale continuità. Alla fine la Storia presenta il conto diseconomico del degrado ambientale, così oggi ci troviamo di fronte a una non sostenibilità ambientale. Il modello dei consumi va rimesso in discussione

La sostenibilità sociale si declina con i termini di equità e di democrazia, riportando nei sistemi sociali il senso di solidarietà e di relazionalità, che sono alla base di una società sostenibile per realizzare il bene comune.

Tutte le dichiarazioni sui diritti dell’uomo a partire dalla Magna Charta Libertatum del 1215 sono incentrate sul diritto all’uguaglianza, a un benessere che possa dare dignità alla persona, diritto all’assistenza sanitaria e alla scuola, e a un lavoro che consenta la dignità.

Il modello di sviluppo socioculturale attuale non è sostenibile, ci ha incardinato in questo caos, ed è fallito. Siamo arrivati alla fine di una storia ed è giunta l’ora di comprendere che siamo di fronte a una crisi sociale, culturale, antropologica, non economica; diventa necessario ridefinire la gerarchia dei valori su cui si fonda uno sviluppo sostenibile e una società che mette al centro del proprio interesse l’uomo e il sistema di relazioni che lo legano in una società rispettosa dei suoi diritti.

Un sistema socioculturale fallisce quando non è più in grado di dare risposte risolutive ai nostri problemi: più ci si occupa della politica, più peggiora, e così è anche per economia, finanza, scuola… Più ci si occupa della sanità, più questa tende a mostrare, come abbiamo visto col Covid-19, dei punti limitativi che generano effetti di disuguaglianza per quanto riguarda l’assistenza nei confronti delle persone e della loro dignità.

È evidente che questo modello socioculturale che ci sta imprigionando in questa asetticità culturale e intellettuale è arrivato alla fine di una storia che sta collassando nei suoi principi fondanti, una storia che ha cambiato l’ordine delle priorità e in cui l’uomo e la società sono considerati un mezzo e non più un fine e per questo diventano consumabili; la storia si ripete e noi siamo arrivati alla fine di un modello socioculturale che ci ha portato al caos. E’ necessario capire la storia e i suoi corsi e ricorsi.

Il primo che ha cercato di capire i cicli storici è stato Giambattista Vico nel 1717, che diceva che la storia si ripete non in modo meccanicistico, ma perché l’attore che fa la storia è l’uomo, che è sempre lo stesso, sin dai tempi dell’antica Grecia. È sempre eternamente combattuto tra due passioni estreme: il thanatos, ovvero l’aggressività, e l’eros, la saggezza, che subentra quando il dolore diventa troppo elevato.

Vico diceva anche che ci sono tre tempi: degli dei, degli eroi e dei barbari. Quest’ultimo descrive esattamente il tempo che stiamo vivendo oggi. Per tornare al tempo degli dei interviene la “Provvedenza”, che crea catarsi e un nuovo spirito dell’uomo più orientato alla spiritualità e meno materialista. Oggi siamo di fronte a questa sfida, ma per affrontarla dobbiamo prima capirla e non pensare di risolverla con gli stessi modelli che hanno portato il caos.

Nel 1941 Pitirim Sorokin nel libro “La crisi del nostro tempo” esamina trenta secoli di storia cercando i tratti socioculturali distintivi di ognuno e come ognuno di essi sia legato al precedente e condizioni quello successivo. Il Medioevo, ad esempio, è una catarsi, una rimodellazione dell’animo umano che nelle abbazie, nei monasteri, nelle immagini sacre riscopre la spiritualità e la creatività dopo il collasso del tardo impero romano estremamente materialista e privo di valori. Il collasso di questo modello materialista e privo di creatività riscopre la spiritualità per riportare l’uomo al rispetto dei valori fondanti una società e si apre a un nuovo periodo storico come il Medioevo, che riporta l’uomo a contatto con la sua essenzialità; il ritorno alla spiritualità è una sorta di catarsi liberatoria che prepara l’avvento del Rinascimento. E’ la sequenza dei corsi e ricorsi storici che lega i secoli nei millenni e oggi noi ci troviamo di fronte a un modello socioculturale simile a quello del tardo impero romano e come in quel caso dobbiamo alzare la testa e ridefinire valori rispettosi della persona per riproporre un modello socioculturale in cui la tensione spirituale riporti l’uomo alla saggezza.

La cultura di oggi si trova alla fine di un periodo storico e rappresenta la crisi di un modello di carattere tecnico razionale e materialista fondato sul numero e sulla misurabilità. L’economia ha modificato il suo Dna, passando dall’essere una scienza sociale a una scienza positiva, in cui quello che conta è solo il misurabile; l’unione al personalismo dilagante che vede nella massimizzazione del risultato personale l’unico fine ha trasformato l’economia da mezzo a fine e l’uomo ne diventa un corollario dipendente. Così come ricordava Marguerite Yourcenar, “l’uomo è un’istituzione che ha contro di sé il tempo, la necessità, la fortuna e l’imbecille e la sempre crescente supremazia del numero. Gli uomini uccideranno l’uomo” (Marguerite Yourcenar, “L’opera al nero”, Feltrinelli, 1985).

Il principio di valutazione di questo modello, in quasi tutti gli aspetti della vita umana, è, appunto, quello della misurabilità. Noi chiediamo che sia misurata qualsiasi cosa, che sia l’affetto di una madre per un bambino o la felicità di una società attraverso una moltitudine di dati, molti dei quali sono abbastanza inutili. L’economia diventa un sacro vincolo all’interesse personale e dimentica il suo contributo al bene comune, che viene cancellato dalla più elevata concentrazione di ricchezza che mai si sia vista nella storia.

Cambiare il modello socioculturale declinandolo in un senso più umano è la vera sfida dell’uomo oggi per provare a realizzare uno sviluppo sostenibile sotto l’aspetto economico, sociale e ambientale.

Risultano quanto mai attuali sul nostro tempo le considerazioni di Seneca fatte nel periodo del tardo impero romano, simile al nostro, a conferma della ripetitività della storia: “Crebbe il desiderio di guerra e così la fame d’oro per tutta la terra: ne nacque il male, cioè il desiderio di lusso, peste seducente, cui lunga consuetudine e peso dell’irrazionalità diedero forza e consistenza. I vizi raccolti durante lungo tempo attraverso tante generazioni si riversano su di noi: noi siamo oppressi da un’età storica pesante, in cui regna la scelleratezza, incrudelisce furibonda l’assenza di affetti familiari, domina il capriccio erotico, che ha forme sufficienti (per soddisfarsi) con turpi amori, il lusso vincitore già da tempo arraffa le ricchezza del mondo per dissiparle con avide mani” (Seneca, “Ottavia”, Teatro II, pagina 655).

Fonte: Fabrizio PEZZANI | IlSussidiario.net

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