Bebè affidati alle tate, coppie all’estero in attesa di ritirare il «prodotto»: cosa succede se le aziende ucraine non garantiscono più i clienti. E ora si muove la Ue

Cosa ci facevano il 14 marzo due cittadini cinesi al confine tra Ucraina e Romania, a piedi e con due neonati in braccio? La guardia di frontiera ucraina, insospettita, li ha fermati: i due «non sono stati in grado di fornire i documenti e non hanno spiegato dove hanno preso i bambini».

Il particolare inquietante è che i due cittadini stranieri erano precedentemente entrati in Ucraina da soli. Dunque di chi sono quei bambini? Diversi organismi internazionali, e naturalmente lo stesso governo ucraino, si stanno preoccupando in questi giorni di tutelare i minori che escono a centinaia di migliaia dal Paese in guerra, per evitare che alcuni possano finire nella mani di trafficanti. Ma altre decine di bambini vengono al mondo, in queste settimane, senza la certezza di una famiglia, senza poter essere registrati e quindi particolarmente vulnerabili a essere ‘trafficati’.

Sono i figli dell’utero in affitto, una delle attività economiche più fiorenti nell’Ucraina pre-guerra. Se si considera che i nati con Gravidanza per altri (Gpa) sono dai 2.500 a 3.000 all’anno, ogni mese ne vengono al mondo oltre 200. L’azienda specializzata ucraina BioTexCom, che da sola controlla quasi la metà del mercato, ne ha già ‘parcheggiati’ 30 nel bunker antiaerei fatto costruire vicino alla sede di Kiev, e conta di averne 100 a fine mese. Nel rifugio una piccola squadra di 18 tate accudisce i bambini, visto che le mamme surrogate spariscono per contratto subito dopo il parto.

Non ci sono certezze, ma è probabile che i due cinesi sorpresi alla frontiera fossero corrieri delle agenzie di intermediazione straniere. Perché è proprio questo che sta avvenendo negli ultimi giorni: società come l’australiana Growing Families o la statunitense (del New Jersey) Delivering Dreams, stanno dando supporto alle coppie per il ritiro dei bambini commissionati in Ucraina. Esiste una non-profit con sede in Florida, Project Dynamo, che ha organizzato diverse operazioni di evacuazione di coppie, con i loro bambini partoriti da donne ucraine, allo scoppio del conflitto.

La situazione è difficile non solo per i bambini, vittime inconsapevoli di una pratica che crea oggettive distorsioni, ma anche per le madri portatrici: nonostante le pressioni delle coppie committenti, non possono lasciare l’Ucraina e mettersi in salvo con il loro prezioso bimbo in grembo perché se partorissero in uno dei Paesi confinanti come la Moldavia o la Polonia, dove l’utero in affitto è illegale, risulterebbero le uniche madri del bambino e non potrebbero poi cederlo a chi ha pagato la loro gestazione. Ma in molte zone dell’Ucraina la situazione è ormai troppo pericolosa: così la New Hope Surrogacy, un’altra clinica specializzata, ha fatto trasferire 60 madri surrogate da aree di guerra ad altre più tranquille. Per ora. Ad alzare il velo sulla situazione solo alcuni reportage giornalistici, soprattutto di testate americane come il New York Times e The Atlantic.

 

Video

In questo video, pubblicato sul sito della clinica ucraina BioTexCom, si vedono diversi neonati trasferiti in un luogo sicuro, scortati da volontari in divisa, accudito da tate professioniste. “Tutti i bambini stanno bene, nel rifugio ci sono scorte a sufficienza”, si legge. Un tentativo di tranquillizzare i clinti esteri, in una situazione di guerra oggettivamente preoccupante.

 

In Europa per lo più si faceva finta di non vedere. Fino a ieri, quando la Commissaria agli Affari interni, Ylva Johansson, in un’audizione al Parlamento Europeo, ha chiesto l’evacuazione dei bambini nati da surrogata perché «si trovano in una situazione incerta» e la paura è che scompaiano nel nulla. Alcuni governi di Paesi dove la Gpa è un reato assistono comunque in gran segreto i connazionali, aiutano a portare in salvo i neonati, oppure contribuiscono a pagare le spese per la custodia professionale dei bambini che al momento non possono essere presi in consegna. «La guerra in Ucraina non c’è solo da 20 giorni, ma da 8 anni – interviene Ana-Luana Stoicea-Deram, copresidente della Coalizione internazionale per l’Abolizione della maternità surrogata –. Il Paese già prima del 24 febbraio era pieno di sfollati interni, di famiglie in fuga dal Donbass in guerra. Le coppie straniere e le società di intermediazione che le assistono conoscevano la situazione e hanno cercato di sfruttarla, utilizzando il corpo di donne povere o comunque in situazione di bisogno». Ana Deram vive a Parigi, e racconta ad Avvenire che la Francia sta assistendo le coppie committenti che hanno bambini in Ucraina. «I clienti sono gli unici a essere protetti. Ma in una guerra che garanzia c’è per i bambini di non finire vittime di trafficanti?», insiste.

Tanto più con gli uffici anagrafi non funzionanti. Cosa cambierà con la guerra in Ucraina? Sostanzialmente due cose. Da una parte una ridistribuzione rapida della domanda di figli attraverso la maternità surrogata. Il flusso supplementare non riguarderà tanto la costosissima California, dove per un neonato conto terzi si può arrivare a spendere anche 120mila dollari, ma altri Paesi low cost come la Georgia – troppo piccola comunque per assorbire l’extra richiesta –, la Grecia, Cipro e tra le new entry anche l’Albania dove la legislazione è inesistente o comunque ambigua. Il flusso poi si muoverà verso aree ‘emergenti’ del turismo riproduttivo a basso costo come il Messico e alcuni Stati africani. Il tutto sulle spalle, per così dire, di donne che affrontano gravidanze per altri e contratti capestro non perché siano particolarmente ‘altruiste’ ma per dar da mangiare alla propria famiglia.

La seconda tendenza riguarda una domanda politica sempre più forte di legalizzazione, come conferma Ana Deram. Il ragionamento risponde a una logica di mercato: poiché business is business, se non si potrà più fare la Gpa in Ucraina rendiamo possibile alle coppie accedervi nei rispettivi Paesi…

Un segnale in controtendenza arriva dall’Italia, dove martedì sono riprese le audizioni in Commissione Giustizia della Camera riguardo alle proposte di legge per rendere reato la surrogazione di maternità (già vietata in Italia dalla legge 40 del 2004 sulla procreazione assistita) anche se i cittadini vi fanno ricorso all’estero, perfino in Paesi in cui, come accade in Ucraina, è consentito. Questo in base al principio, sancito da una sentenza della Corte Costituzionale, secondo il quale la surrogazione di maternità «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane».

Fonte: Antonella Mariani | Avvenire.it