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Quel fallimento dei valori europei

Non sappiamo quando e come l’aggressione della Russia all’Ucraina si consumerà. Per l’Ucraina e per la Russia. E per l’Europa. Ma già sappiamo che gravi conseguenze dureranno a lungo. Tra queste vi saranno quelle che riguardano la fiducia (o la scommessa) di una evoluzione comune a tutta la grande Europa, che avevamo costruito per qualche decennio, dopo il crollo del sistema sovietico e il suo scioglimento.

Nel 1949, subito dopo la fine della guerra mondiale, il Belgio, la Danimarca, la Francia, l’Irlanda, l’Italia, il Lussemburgo, la Norvegia, i Paesi Bassi, la Svezia, il Regno Unito e poi la Turchia e la Germania, si unirono nel Consiglio d’Europa, dichiarando di condividere «i valori spirituali e morali che sono la comune eredità dei loro popoli e la vera origine della libertà individuale, della libertà politica e dello stato di diritto, principi che formano la base di ogni vera democrazia».

Quegli Stati si impegnarono al raggiungimento di una maggiore unità, attraverso il mantenimento e lo sviluppo dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Ogni Stato membro del Consiglio accettava «il principio dello stato di diritto e il principio in virtù del quale tutte le persone nell’ambito della sua giurisdizione devono godere dei diritti umani e delle libertà fondamentali». Nella Convenzione europea dei diritti fondamentali, di lì a poco approvata dagli Stati membri del Consiglio, era posto in evidenza lo stretto nesso esistente tra la pace e i principi di democrazia e di rispetto dei diritti e libertà delle persone. Ad indicarlo era l’esperienza vissuta, in particolare, in Europa.

Progressivamente il numero dei Paesi europei membri del Consiglio d’Europa è cresciuto, man mano che certe dittature venivano abbattute (come in Spagna e Portogallo). L’opera del Consiglio si svolgeva, non senza occasionali difficoltà, soprattutto attraverso il lavoro della Corte europea, istituita per giudicare l’osservanza da parte degli Stati membri del loro dovere di rispettare e proteggere i diritti e le libertà delle persone. Un momento di crisi si ebbe alla fine degli anni ’60, quando la Grecia si ritirò dal Consiglio per evitare di esserne espulsa. Con un colpo di stato i colonnelli avevano preso il potere, annullando con le istituzioni democratiche tutti i diritti fondamentali degli individui. Solo alla caduta di quel regime la Grecia rientrò nel Consiglio.

Ma il più importante rivolgimento, nella composizione e nella vita del Consiglio si verificò negli anni ’90, quando, in cerca di legittimazione democratica, la Russia e gli altri Paesi assoggettati nel blocco sovietico chiesero di esserne ammessi. La decisione di accettare la richiesta non fu ovvia, né priva di discussione. Il programma democratico e di rispetto dei diritti fondamentali – ragion d’essere del Consiglio d’Europa – pareva difficilmente compatibile con la storia e la realtà politica, non solo recente, di Paesi come la Russia ed altri. C’era il rischio di snaturare il Consiglio rendendone impossibile il funzionamento in vista dei suoi scopi. E però, consapevolmente, si accettò quel rischio, facendo la scommessa del coinvolgimento dei nuovi membri in una istituzione europea democratica, che riconosceva a tutte le persone che si trovavano nei suoi Stati membri la protezione della Corte europea dei diritti umani.

Sotto quest’ultimo aspetto la scommessa si è rivelata un successo, perché migliaia e migliaia di cittadini russi si sono rivolti alla Corte, superando il condizionamento e il timore derivanti da secoli di asservimento allo Stato. Un successo parziale, però, per le continue violazioni dei diritti fondamentali da parte dello Stato russo (e, per la verità, non solo di esso) e il ripetuto rifiuto di dare esecuzione alle sentenze di condanna della Corte. I diritti di libertà, di manifestazione del pensiero sono stati i primi a soffrirne. La violenza della guerra in Cecenia, il conflitto militare con la Georgia per le provincie di Ossezia del Sud e Abkhazia (2008), l’appropriazione della Crimea (2014) hanno progressivamente reso difficile la convivenza tra la Russia e un’istituzione come il Consiglio d’Europa, nata per i diritti democratici e la pace. E le istituzioni del Consiglio hanno sospeso la Russia dal diritto di partecipazione ai suoi lavori. La sospensione è poi stata revocata, poiché la logica del Consiglio è sempre stata quella di salvaguardare un luogo di dialogo, anche quando il dialogo si rivelava difficile e le violazioni del proprio Statuto evidenti.

Ora però la drammatica gravità dell’aggressione russa alla Ucraina viene ad aggiungersi e rende impossibile la continuazione di un rapporto che ha sopportato aspetti di ambiguità, al limite dell’ipocrisia, pur di non spezzare la possibilità di dialogo e di non eliminare la protezione (a tratti però teorica) degli individui nei confronti del governo russo. E così il Consiglio ha ingiunto alla Russia di cessare l’aggressione e ha avviato la procedura di espulsione. La Russia ora la previene e annuncia l’uscita dal Consiglio d’Europa. Vi sono altri Paesi che creano rilevanti problemi, e vi sono state guerre tra Stati membri del Consiglio, di cui non è stata sola protagonista la Russia. L’incompatibilità assoluta creatasi con la Russia è però causa di una gravissima sofferenza per l’Europa tutta. La scommessa di creare e tenere in vita un luogo europeo di dialogo e confronto è per ora perduta. Manca ora il necessario minimo di fiducia reciproca. Le armi o prima o poi taceranno. Ma l’impossibilità di dialogare, riconoscendo di parlarsi tra europei, chissà quando potrà essere superata.

Fonte: Vladimiro Zagrebelsky | LaStampa.it

 

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