La circolare del Ministro Valditara che dal prossimo anno scolastico impone il divieto di uso dei cellulari in orario scolastico anche agli studenti della scuola secondaria di secondo grado è un provvedimento che genererà molto dibattito. Ma è uno strumento di protezione necessario per il cervello in età evolutiva, perché ancora non possiede la maturità cognitiva per un uso totalmente responsabile di ciò che è – per definizione – additivo
La circolare del Ministro Valditara che dal prossimo anno scolastico impone il divieto di uso dello smartphone in orario scolastico anche agli studenti della scuola secondaria di secondo grado è un provvedimento che genererà molto dibattito. Ma secondo ciò che so, come specialista della mente e dell’età evolutiva, è il miglior provvedimento che si può mettere a disposizione degli studenti adolescenti del terzo millennio. Molti pensano che limitare l’uso dello smartphone comporti impedire che gli adolescenti acquisiscano competenze digitali. Ma non è così. Se un docente vuole integrare la propria lezione con strumenti e attività che richiedono il digitale, potrà farlo senza problemi. Ciò che non sarà più possibile, invece, sarà permettere all’oggetto smartphone di interferire con tutto ciò che uno studente vive nel corso della giornata scolastica. Non è il “digitale” in sé ad essere un problema, ma è “l’oggetto smartphone” a rappresentare il reale fattore di rischio. E di questo sia i ragazzi che il mondo adulto devono prendere piena consapevolezza. Avere in mano uno smartphone, infatti, permette a ogni ragazzo/ragazza di tenere accese contemporaneamente due vite: quella reale e quella digitale. Il docente spiega e intanto lo studente naviga. Lo smartphone è in tasca e durante la lezione comincia a vibrare, segnalando l’arrivo di notifiche dalle molte community social e di videogioco a cui sono iscritti i giovanissimi. Il danno associato alla portabilità dell’oggetto ricade su due aspetti fondamentali. Il primo è l’effetto di “distrazione di massa” che l’oggetto smartphone – in quanto tale – produce. In ogni momento, la sua presenza comporta una continua interferenza con ciò che sta accadendo nel principio di realtà. Questa cosa è evidentissima nella vita di tutti, non solo dei giovanissimi. Stai parlando con qualcuno e quella persona, mentre ti ascolta, scrolla sul proprio piccolo schermo e digita messaggi nelle proprie chat. Stai guidando e dovresti dedicare la tua attenzione ad un’azione da cui dipende la sicurezza individuale e della collettività. Eppure non resisti a verificare qual è il messaggio che ti è appena arrivato in chat. Il sistema di notifiche e di messaggistica, così come il sistema di like e reazioni che vengono prodotti dopo che abbiamo postato qualcosa in un social media, è architettato ad hoc per tenere costantemente ingaggiato il centro dopaminergico della nostra mente, ovvero quella rete neuronale che viene attivata quando sperimentiamo fenomeni associati alla gratificazione istantanea e che, in tale frangente, producono un neuromediatore biochimico, chiamato dopamina che oltre a farci sentire immediatamente felici o eccitati o divertiti, ci spinge però a non interrompere l’esperienza, generando un circolo vizioso che ci intrappola in un processo chiamato “addiction”. Tutte le volte che sento dire: “Vietare è sbagliato, perché basta educare a farne un buon uso” io mi chiedo: ma esiste il concetto di “buon uso” per qualcosa che è – per sua stessa natura – dipendentigeno? Consigliamo, in età evolutiva, il buon uso del tabacco, della pornografia, dell’alcol, delle sostanze psicotrope, del gioco d’azzardo? No, lo vietiamo. E il divieto è uno strumento di protezione necessario per il cervello in età evolutiva, perché ancora non possiede la maturità cognitiva per un uso totalmente responsabile di ciò che è – per definizione – additivo. Tutte le volte che sento dire che il divieto in educazione è sbagliato, rimango colpito, perché la nostra società ha già in vigore molte divieti a protezione dei minori, che non sono stati introdotti per limitare, comprimere o reprimere le scelte dei giovanissimi. Bensì vengono introdotti per garantire a chi cresce, un accesso, pieno e consapevole, alle molte opportunità che la vita e la comunità di appartenenza, in particolare le agenzie educative, mettono a loro disposizione. Nell’online, l’azione delle agenzie educative è praticamente inesistente, mentre enorme e inarrestabile è il lavoro delle agenzie di mercato che , proprio come il Gatto e la Volpe raccontati da Collodi, guardano i giovanissimi con occhi predatori e intuendone le fragilità e le vulnerabilità emotive e cognitive, le sfruttano (appunto invitandoli in un mondo tutto basato sulla sollecitazione dopaminergica) per ricavarne enormi profitti.
Secondo aspetto che rende necessaria la norma di divieto degli smartphone a scuola, è la fatica socio relazionale che oggi connota l’età evolutiva. I nostri figli vivono in un tempo di enorme deprivazione sociale. Hanno ridotto la frequentazione di persone reali nella loro comunità reale, per socializzare in modo virtuale nelle communities in cui navigano di giorno e di notte. Molti di loro, quasi senza accorgersene, si trovano ad interagire più con i followers e gli influencers, che con i compagni in carne ed ossa, che vivono al loro fianco. È desolante, a volte, scoprire che appena suona la campanella dell’intervallo, la prima pulsione di molti adolescenti è prendere in mano lo smartphone per vedere cosa sta accadendo all’interno delle proprie communties social. Per ridare nuova direzione a tutto questo, la scuola smartphone free potrebbe rappresentare quell’occasione di cambiamento di cui gli adolescenti delle generazioni zeta e alfa potrebbero avere un tremendo bisogno, pur non avendone alcuna consapevolezza. Per questo, penso che la decisione del Ministro sia più che opportuna in questo momento. E tra l’altro coincide con una delle quattro indicazioni che J. Haidt ha proposto come fondamentali per ripristinare buoni indicatori di salute mentale (oggi, purtroppo, fragilissimi) nel suo volume – di portata epocale – “Generazione ansiosa”. La cosa che ritengo importante oggi è che la stessa circolare dia indicazioni chiare su quali sono i pre-requisiti ambientali e quali devono essere i protocolli procedurali in grado di rendere una scuola “smartphone – free” e queste indicazioni devono prevedere anche un protocollo comportamentale che riguardi non solo ciò che avviene agli studenti, ma anche ciò che viene richiesto agli stessi docenti.
Fonte: Alberto Pellai | FamigliaCristiana.it