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Scuola: non il gender, ma la comprensione delle esigenze emotive serve per il benessere dei minori

La capacità di relazionarsi in maniera aperta e rispettosa con le altre persone è una competenza fondamentale, ricercata in ambito lavorativo e utile a prevenire fenomeni di bullismo e di discriminazione. Ne consegue che anche in Italia, come già avviene in diversi Paesi, sarebbe opportuno inserire nella formazione scolastica l’educazione all’intelligenza emotiva, piuttosto che l’ideologia del gender.

1. La scuola, assieme con la famiglia, è chiamata a formare i minori in modo che questi acquisiscano le conoscenze necessarie per il sano ed equilibrato sviluppo della personalità e per la partecipazione attiva alla vita sociale. L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, in un documento del 2017 rivolto ai docenti e finalizzato a promuovere anche a scuola la consapevolezza e il rispetto dei diritti dei minori, ha indicato dieci principi fondamentali da rispettare. Ha ricordato che i bambini e gli adolescenti hanno il diritto di essere tutelati da ogni forma di discriminazione, di crescere in uno spirito di eguaglianza e solidarietà, di essere liberi di esprimere la propria opinione con la certezza di essere ascoltati, di crescere in un ambiente sano e favorevole allo sviluppo armonioso e completo della personalità, di ricevere assistenza e protezione dalle istituzioni e di essere protetti da ogni forma di violenza fisica o psicologica.

La scuola è chiamata dunque a formare i minori nel rispetto di questi principi, promuovendo l’osservanza delle regole per la pacifica convivenza e trasmettendo i valori di una società democratica dove ogni individuo ha il diritto di essere rispettato e tutelato indipendentemente – come si ricava dall’art. 3 della Cost. ‒ dal sesso, dalla razza, dalla lingua, dalla religione, dalle opinioni politiche e dalle condizioni personali e sociali. La collaborazione con le famiglie è fondamentale, in quanto la Costituzione riconosce solo ai genitori la responsabilità di provvedere all’educazione e all’istruzione dei figli, così come le fonti internazionali riconoscono ai genitori «la priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli» (art. 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo) e il diritto «di provvedere secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche» nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, senza ingerenze da parte dello Stato (art. 14 della Convenzione Europea sulla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo). Il patto educativo fra le due principali agenzie educative – la famiglia e la scuola ‒ costituisce una fondamentale garanzia per lo sviluppo armonico dei minori.

2. Logico corollario è che nella scuola non trovino ingresso tematiche che, nell’interesse dei minori, devono invece essere lasciate all’esclusiva competenza dei genitori, i quali hanno il diritto di decidere, anche in base alla sensibilità dei figli, come e quando affrontare certi argomenti. Ci si riferisce, per es., a ‘insegnamenti’ circa l’identità di genere, estranei agli obiettivi della scuola, come affermato anche dal MIUR, che nel precisare quali conoscenze vadano trasmesse a scuola ha affermato che fra queste “non rientrano in nessun modo né “ideologie gender” né l’insegnamento di pratiche estranee al mondo educativo” (cfr. Prot.n. 1972 del 15/09/2015).

A giudicare da quanto accaduto nei giorni scorsi con le Linee Guida diffuse dall’Ufficio scolastico regionale per il Lazio volte a promuovere insegnamenti sulla varianza di genere in ambito scolastico (poi ritirate perché risultate illegittime, in seguito ad esplicite richieste da parte delle associazioni a tutela dei minori), è evidente che sull’argomento vi sia ancora chi intenda invece attribuire alla scuola un compito che non le appartiene o andare oltre i limiti ragionevolmente previsti.

Va allora ribadito che, nel rispetto dei principi fondamentali in materia, la scuola può e deve favorire la consapevolezza della parità tra i sessi e della pari dignità di tutte le persone, ma certamente non le compete informare sulla varianza di genere o sull’identità di genere, in quanto si tratta di argomenti che esulano dalla formazione scolastica.

3. Coloro che a più riprese hanno tentato di far entrare nelle scuole insegnamenti basati sulla teoria gender – pretendendo di convincere insegnanti, bambini, adolescenti e genitori che la distinzione sessuale maschile/femminile sarebbe un’invenzione sociale – hanno fondato la loro azione sulla pretesa volontà di prevenire episodi di bullismo, di discriminazione o di incomprensione in ragione dell’orientamento sessuale.

Ma la soluzione migliore per far fronte alla violenza, alle discriminazioni e alle incomprensioni – nell’interesse di tutti i minori coinvolti e nel rispetto del principio di prudenza che deve sempre orientare le scelte in ambito minorile ‒ non può essere introdurre insegnamenti divisivi e controversi, bensì di favorire nel contesto scolastico la conoscenza dei diritti fondamentali e di promuovere l’apertura al confronto rispettoso.

In questa prospettiva può dunque essere utile riflettere sull’inserimento nelle scuole di metodi didattici e/o insegnamenti volti a stimolare l’intelligenza emotiva dei bambini e dei ragazzi, per offrire loro adeguati strumenti a comprendere le proprie e altrui emozioni, e per accogliere l’altro nella sua unicità. L’inclusione passa infatti dalla reciproca accettazione, non dall’apprendimento di teorie sulla sessualità o sui modelli familiari.

4. In Paesi europei come la Spagna e la Danimarca, nelle scuole sono state introdotte già da tempo lezioni o metodi educativi volti a stimolare l’empatia degli studenti e a rafforzare il loro senso di responsabilità e di apertura all’altro: gli studenti vengono incoraggiati dagli insegnanti a confrontarsi, a esporre problemi e a esprimere le proprie opinioni, a chiedere o dare consigli ai compagni. In questo modo, condividendo le esperienze personali, hanno la possibilità di conoscersi più a fondo, di sentirsi parte di un gruppo e di guardare la realtà da prospettive diverse: tutto ciò consente di acquisire non soltanto una maggiore sicurezza personale, ma anche fiducia nelle relazioni umane. L’odio, la violenza e l’incomprensione sono spesso originate dall’incapacità di entrare in relazione con l’altro, con la conseguenza che il mero disaccordo degenera in conflitto. Riuscire a comprendere le persone che si hanno accanto consente invece di dialogare con rispetto nella diversità, senza avere la pretesa di imporre le proprie idee. L’empatia produce effetti positivi sullo sviluppo della personalità del singolo e nelle relazioni interpersonali, favorendo la reciproca accettazione.

L’educazione della “intelligenza emotiva” (definita da Daniel Goleman come la capacità di riconoscere i propri sentimenti e quelli degli altri e di saper gestire le emozioni in modo efficace) gioca un ruolo importante nella crescita equilibrata dei minori. Tuttavia in Italia sono state riscontrate delle lacune in questo settore: a metterlo in evidenza è stata la terza indagine internazionale sull’educazione civica e per la cittadinanza (ICCS – International Civic and Citizenship Education Study) promossa dalla IEA- International Association for the Evaluation of Educational Achievement. Dall’indagine è risultato che in Italia i curricula scolastici e la formazione dei docenti sono carenti sotto il profilo dell’educazione alle competenze sociali ed emotive, con ricadute negative sulla formazione, sull’apprendimento e sulla condotta degli studenti.

5. Questi dati sono ancora più interessanti se li si legge assieme ai dati raccolti nell’ambito di altre ricerche, in particolare quelle relative al passaggio dalla formazione all’occupazione. L’intelligenza emotiva, infatti, è stata inserita, con riferimento al mondo del lavoro, fra le prime dieci competenze richieste per il 2020 dal Word Economic Forum. Dagli studi che sono stati fatti è emersa una stretta correlazione fra l’educazione emotiva e la qualità dell’apprendimento: gli studenti che sono stati formati bene anche sotto il profilo dell’intelligenza emotiva hanno raggiunto risultati migliori, conseguendo poi maggiori opportunità per il successivo inserimento nel mondo del lavoro.

Sul tema sono stati presentati due progetti di legge, uno al Senato (n.1635, Leone ed altri) il 3/12/2019 e uno alla Camera (A.C. 2782, Bellucci ed altri) il 13/11/2020. In entrambi i casi è stata messa in evidenza l’opportunità, anche al fine di contrastare fenomeni di bullismo, di investire in un’offerta formativa scolastica – in termini di insegnamenti e di nuovi metodi educativi ‒ in grado di stimolare negli studenti la capacità di entrare in relazione con sé stessi e con gli altri.

L’auspicio è che le proposte formulate siano seriamente prese in considerazione dal legislatore, in quanto, come è stato osservato nell’introduzione al ddl Leone, “imparare a leggere gli altri è altrettanto importante che imparare a leggere i libri”. L’educazione all’intelligenza emotiva può facilitare il raggiungimento degli obiettivi di promozione dei diritti fondamentali dei minori, “favorendo il recupero del vocabolario emotivo perduto, il miglioramento del clima relazionale, sia tra gli alunni e gli studenti che all’interno della holding educativa, tra alunni, studenti, insegnanti e famigliee la prevenzione dei casi di isolamento e di insorgenza precoce di patologie tra gli adolescenti”, come messo in evidenza nell’introduzione alla proposta di legge Bellucci.

6. In un momento storico in cui i ragazzi si reputano spesso degli “incompresi”, in cui la velocità del cambiamento sociale è diventata la regola e in cui media e social trasferiscono modelli di comportamento spesso mediocri e privi di valore, gli educatori percepiscono il bisogno umano di sviluppare le competenze emotive e sociali. Allo stesso tempo, le risorse economiche delle scuole sono scarse e aumenta la pressione sui ragazzi per migliorare i loro risultati scolastici, lasciando insegnanti ed educatori di fronte ad una dicotomia: nutrire e accrescere il potenziale umano dei bambini ed adolescenti o aiutarli a raggiungere risultati di performance. Non è una scelta tra due opzioni che si escludono; dalle ricerche emerge, come si è detto sopra, che rispondere ai bisogni emotivi e sociali dei bambini è un modo utile per ottimizzare i loro risultati scolastici. Lo sviluppo sociale ed emozionale è determinante rispetto al successo scolastico dei ragazzi. Incorporando l’intelligenza emotiva negli attuali programmi didattici di apprendimento, possiamo promuovere il successo dei nostri bambini nel presente ed assicurare loro quello nel futuro.

Fonte: Daniele Onori e Daniela Bianchini | CentroStudiLivatino.it

 

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