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La sentenza: dopo le “due mamme” ecco le “due mogli”

La sentenza: dopo le “due mamme” ecco le “due mogli”

La sentenza che ha previsto un risarcimento identico per la moglie e l’amante di un uomo morto in un incidente è la conseguenza di aver riconosciuto le convivenze, anche fra persone dello stesso sesso, come “famiglia”. Tutto questo, pur non cancellando la realtà (un uomo rimarrà per sempre il marito della donna che ha sposato, anche fosse divorziato da lei), avrà altre conseguenze giuridiche pericolose, come il riconoscimento della poligamia.

 

Il male può avere una sua coerenza. La storia è questa. Lui, sposato, ha un’amante. I due si vedono molto spesso tanto che hanno preso anche un appartamento in affitto a Torino in cui convivono quasi tre giorni alla settimana, complice il fatto che la moglie di lui è non di rado fuori casa per lavoro.

Poi lui muore in un incidente stradale. L’amante era così legata all’uomo che va a riconoscere il cadavere, perché la moglie, quel giorno, era lontano per lavoro. Poi accade che sia la moglie sia l’amante chiedono al colpevole del sinistro un risarcimento danni per la perdita subita. Il risarcimento viene concesso ad entrambe, ma – attenzione – la torta non viene divisa a metà tra il coniuge e l’amante, bensì il risarcimento consiste in una torta a testa. Insomma non un risarcimento diviso per due, bensì duplicato.

La vertenza, di carattere stragiudiziale, ha riconosciuto piena legittimità ad agire anche all’amante sostanzialmente per tre motivi: la presenza di un legame affettivo, una convivenza continuativa, l’esistenza di una progettualità per il futuro. Così il legale della donna, Gino Arnone: «Nessuno avrebbe potuto negare la legittimazione ad agire a quella donna. A lui, infatti, era legata da una aspettativa di vita comune, come lei stessa è riuscita a dimostrare. Qui c’era una reale intensità di affetti, c’era la convivenza. E c’era pure una progettualità verso il futuro».

Perché all’inizio abbiamo scritto che il male ha una sua coerenza? Vicende come queste sono le conseguenze naturali di alcune premesse erronee. In questo caso l’errore sta nel significato distorto che ormai abbiamo attribuito all’amore tra due persone. Se «love is love», tanto che anche due persone omosessuali si possono amare, va da sé che anche il legame affettivo tra uomo sposato e amante è vero amore. Ma se è vero amore, vale tanto quanto – e forse di più – di quello che si prova per la moglie e questo ha un suo peso anche in sede giudiziale.

Di nuovo: se l’amore non è detto che debba durare in eterno – ecco perché abbiamo il divorzio – nulla di male che un marito possa cessare di amare la moglie e innamorarsi di un’altra donna. In questo senso la moglie di cui sopra si può ritenere fortunata del fatto che abbia trovato un giudice che abbia riconosciuto un risarcimento anche a lei, dato che ormai, de facto, il suo rapporto con il marito aveva un peso specifico minore rispetto a quello con l’amante.

In terzo luogo il diritto, ormai da tempo, qualifica come rapporti interpersonali meritevoli di tutela giuridica quelle relazioni, soprattutto di natura omosessuale, che hanno tre caratteristiche, le tre caratteristiche prima evidenziate: un vincolo di affetto, la convivenza protratta, la progettualità. Dunque per essere famiglia non è tanto importante l’aspetto formale – ossia essere sposati – ma quello sostanziale: volersi bene, prendersi cura uno dell’altra, della casa, etc., e guardare al futuro insieme. Questa è famiglia. Tutte queste caratteristiche erano presenti nella relazione adulterina appena narrata, relazione che quindi appare significativa anche agli occhi della giustizia.

Forse ci stupiamo di questa sentenza del Tribunale di Torino, ma, in realtà, non si capisce perché stupirsi. Quante persone si rallegrano che un divorziato trovi una nuova compagna? Quella compagna alla luce del diritto naturale è un’amante e tale rimane anche se è la persona più adorabile del mondo e anche se umanamente molto migliore della ex moglie. Si dirà: ma l’uomo non è più sposato. Questo è vero agli occhi degli uomini, ma non agli occhi del diritto naturale (e quindi di Dio) perché una proprietà naturale del matrimonio validamente celebrato è la sua indissolubilità. L’uomo rimane sposato anche se divorziato e i nuovi legami affettivi hanno natura adulterina. Dunque già tutti noi consideriamo in certi frangenti l’adultero e l’adultera come fidanzato o fidanzato, oppure addirittura come secondo marito o seconda moglie se ci scappa pure un «nuovo matrimonio». Quindi perché scandalizzarsi della vicenda torinese appena raccontata? Solo perché Tizio era ancora sposato? Ma il matrimonio, nel sentito di tutti, se è privo di amore è già finito, non è più matrimonio ben prima che si vada dall’avvocato. E quindi, orsù, non facciamo i benpensanti. L’amante torinese, a ben vedere, ha una maggiore dignità della moglie, che tra l’altro, era sempre lontana da casa per lavoro.

Questa follia generale che investe la concezione del matrimonio e dell’amore umano trova una sua spiegazione anche e soprattutto nel fatto che i costitutivi del matrimonio hanno perso assolutamente importanza nella coscienza collettiva. Ad esempio la diversità sessuale, la già citata indissolubilità e poi – a monte – il valore del consenso, punto genetico del matrimonio. Tanto è vero che si sentono moltissime persone dire che la convivenza e il matrimonio pari sono. Infatti molti conviventi, che lo sono anche da decine di anni con prole a carico, non si sposano perché non colgono nessuna differenza sostanziale tra la loro condizione attuale e quella di persone coniugate. Il matrimonio pare loro una mera sovrastruttura formale incapace di aggiungere alcunché di significativo alla loro attuale relazione. L’aspetto cardine quindi non è più una pubblica assunzione formale di responsabilità e la manifestazione di una volontà volta a costituire un legame esclusivo e indissolubile, bensì il sentimento, la fattuale convivenza con presa in carico di alcune esigenze comuni (tra cui anche l’educazione dei figli) e una progettualità condivisa. Questi elementi li ritroviamo nelle coppie conviventi, nelle coppie omosessuali e nelle coppie clandestine.

E così anche i due amanti torinesi sono famiglia, sono un nucleo sociale che lo Stato deve tutelare perché al suo interno sono custoditi interessi legittimi. Ecco il motivo ultimo del riconoscimento del risarcimento. In breve l’amante è una moglie ombra, tanto che il riconoscimento a lei della stessa somma riconosciuta alla moglie sta a significare che giuridicamente le due ricoprono identici ruoli sociali, hanno pari importanza.

E la moglie? Si trova de facto e de iure in una situazione concorrenziale con la rivale, ma allo Stato e ormai alla coscienza collettiva non fa problema. Si dovranno soppesare gli interessi dell’una e dell’altra, bilanciare le esigenze contrapposte, dare a ciascuno il suo. A volte si farà a metà, a volte il diritto si sdoppierà. Sulla bilancia si metteranno gli affetti, le ore passate insieme, il numero di figli, quante rate del mutuo e dell’affitto sono state pagate. Un amore contabilizzato.

La vicenda giuridica torinese è infine un prodromo del riconoscimento giurisprudenziale del poliamore e poi della poligamia e della poliandria (è già accaduto fuori Italia). Se si riconosce all’amante la titolarità dei diritti risarcitori al pari della moglie, perché non riconoscere anche a lei tutti i diritti spettanti al coniuge? Fatto questo, perché non riconoscerla come secondo coniuge? In questa equazione coniugale, viene in soccorso anche la giurisprudenza sulle coppie omosex: se ci possono essere due mamme, perché non due mogli?

Fonte: Tommaso SCANDROGLIO | LaNuovaBQ.it

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