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Diario di un cardinale incarcerato

Il caso Pell, il cardinale australiano incarcerato per 404 giorni in isolamento per accuse di pedofilia formulate vent’anni dopo i presunti fatti, prese per buone senza prove in due gradi di giudizio e smentite soltanto dall’equivalente locale della Corte di Cassazione, rappresenta il più clamoroso esempio di linciaggio mediatico e giudiziario contro un alto esponente della gerarchia cattolica dall’inizio di questo secolo.

Pell è stato la vittima di una tempesta perfetta che sarebbe potuta finire ancora peggio: esponente conservatore della Chiesa cattolica, battagliero su temi come l’aborto e il matrimonio fra persone dello stesso sesso, membro di un apparato ecclesiale che ha fatto i conti tardivamente con la piaga della pedofilia e dell’efebofilia nelle file del clero, in passato vescovo di una diocesi dove moltissime denunce si sono dimostrate fondate e la gestione dei casi da parte dei suoi predecessori è apparsa a dir poco lacunosa, era un bersaglio perfetto per una caccia alle streghe; infatti ha visto scatenarsi contro di sé una campagna di false accuse a partire dal 2002, in un crescendo di isteria anticlericale.

Il perfetto capro espiatorio

Nel primo volume del suo Diario di prigionia, da pochi giorni in libreria per i tipi di Cantagalli, Pell stesso già all’indomani della sentenza di primo grado si mostra consapevole di quello che gli stava capitando:

«La mia opinione (…) è che (…) la giuria mi avesse ritenuto riprovevole, meritevole di essere punito per questioni estranee al processo, e che “fosse successo qualcosa”. In altre parole, (…) sono stato vittima della politica dell’identità: bianco, maschio, in una posizione di potere, appartenente a una Chiesa i cui membri avevano commesso atti vili e i cui leader, fino a poco tempo fa, avevano messo in atto un vero e proprio insabbiamento (nonostante i vent’anni di lavoro e la notevole diminuzione nelle statistiche dei reati di abusi, a partire almeno dalla metà degli anni Novanta). Il monito del giudice contro il rischio di identificarmi come un capro espiatorio è stato completamente oscurato da anni di continua diffamazione».

Il diario della detenzione

George Pell, copertina diario prigionia

Il diario pubblicato copre solo i primi cinque mesi della detenzione, e si conclude quando ancora la sentenza di appello (che sarà di condanna come quella del primo grado) non è nota.

Ma rende bene l’idea delle condizioni della detenzione, del carattere del personaggio, delle sua qualità intellettuali, dei suoi orientamenti pastorali, dei tormenti e delle consolazioni spirituali che si alternano nella sua anima e anche in parte del clima psicologico che ha circondato la sua odissea, non solo in Australia.

In cella a 78 anni

Fatta salva la pesantezza della condizione di isolamento («per la mia sicurezza») e alcune tipiche scomodità del carcere come il cibo freddo, le diuturne grida angoscianti dei vicini di cella e i continui contrattempi burocratici e organizzativi, la carcerazione non è particolarmente dura, le guardie sono quasi sempre gentili, ma le umiliazioni non mancano: il 78enne prigioniero viene trasferito dalla prigione al tribunale ammanettato, e su di lui si susseguono i “controlli antidroga” che comprendono le perquisizioni corporali; non gli è permesso celebrare Messa o partecipare a quella dei detenuti.

Van Thuan, neocatecumenali e Opus Dei

A rincuorarlo, oltre alle visite dei parenti e di alcuni amici, sono la vicinanza del cappellano del carcere, suor Mary O’Shannassy della congregazione del Buon Samaritano che gli porta appena può l’Eucarestia, e le migliaia di lettere di incoraggiamento che riceve, nelle quali spesso gli scriventi lo paragonano a Tommaso Moro e a John Fisher.

Lui ricorda gli incontri col card. François-Xavier Van Thuan, che da vescovo era stato incarcerato per 13 anni per decisione dei comunisti vietnamiti e di cui a Roma era diventato amico.

Pell mostra particolare gratitudine vero il Cammino Neocatecumenale e l’Opus Dei, le due realtà del laicato cattolico che più apertamente prendono le sue parti, nonostante il clima intimidatorio di cui dentro e fuori dell’Australia sono fatti oggetto tutti coloro che credono nella sua innocenza e non mancano di biasimare l’ingiustizia che lo ha colpito.

Perdonare 70 volte 7

I corpo a corpo spirituali più intensi riguardano ovviamente i sentimenti verso coloro che lo accusano. Benché il diario, per motivi cronologici, non racconti nulla del dramma psicologico seguente alla condanna in appello, sono già qui numerosi i passaggi che trattano la questione:

«Sono ben consapevole che la volontà di perdono va e viene, e che la decisione di perdonare può essere minacciata, e persino sepolta, da un’ondata di emozioni o da un altro nuovo colpo. Non ho una grande considerazione del mio accusatore, ma non mi risulta particolarmente difficile perdonarlo perché ne riconosco la sofferenza. Rappresenta per me più una sfida perdonare chi gli sta intorno e chi ha distrutto la mia reputazione sui media. (…) A volte mi capita di citare una frase del vescovo O’Collins: “Se nel tuo cuore c’è odio, non farai mai nulla di buono; non avrai pace finché non te ne sarai liberato”».

E ancora prima:

«Una donna scrive riguardo al comando di Gesù a Pietro di perdonare settanta volte sette, citando Lent with Mother Teresa di Heidi Hess Saxton (libro che non conoscevo). “Perdonare settanta volte sette significa riconoscere che ho dei limiti, che Dio non ama me più di quanto non ami coloro con i quali sono in conflitto (…)”. È stata come una doccia fredda. Accetto il dovere di perdonare i miei nemici e di pregare per loro, ma mi sono sentito mancare all’idea che Dio possa amare un paio di persone – ossia notori avversari personali e nemici del Cristianesimo – tanto quanto me».

Matrimonio, famiglia, sessualità

Pell non smentisce la sua fama di cattolico tutto d’un pezzo sulle questioni di attualità.

Scrive:

«E non ci facciamo mancare nemmeno i “pacifisti”, gruppi e opinionisti che pensano che l’unico modo per andare avanti sia il disarmo delle nostre idee antiquate su matrimonio, famiglia, sessualità e vita a vantaggio di una conoscenza moderna superiore. Questa è una capitolazione, e non è affatto un’opzione, a prescindere da quanto esiguo possa diventare il nostro numero».

E ancora:

«In un’epoca di indifferentismo e ignoranza religiosa, la ricezione indiscriminata della Santa Comunione va contro la Tradizione ed è dannosa per la salute spirituale della Chiesa. Molte volte ho scritto che anche i peccatori nella Chiesa rappresentano un’antica tradizione, ma la chiamata al pentimento non è facoltativa e la sequela di Cristo non è senza valore».

Ecumenismo

Un lato meno conosciuto e che più volte emerge nel diario è la sua propensione all’ecumenismo.

Scrive per esempio:

«Ammiro molto John Wesley, un ometto piccolo di statura del diciottesimo secolo, fondatore del Metodismo. (…) Una volta, in una chiesa metodista vicino a Soho, mi sono imbattuto in un pulpito dal quale Wesley aveva predicato. Ci ho appoggiato sopra la mano pregando che il suo zelo evangelico potesse infondersi in me».

Pedofilia e efebofilia

Per quanto riguarda pedofilia ed efebofilia, Pell ammette le responsabilità storiche della Chiesa cattolica, ma insiste sull’argomento che è anche stata una delle prime istituzioni a prendere iniziative serie:

«L’opinione pubblica non riesce ad accettare la triste realtà che più del 95 per cento degli abusi sessuali su minori si verifica nel contesto di altre istituzioni. (…) Pochi vescovi, o forse nessuno, sospettavano quanto fosse enorme l’entità della crisi; e ben pochi, anche tra gli esperti, hanno riconosciuto la portata dei danni personali arrecati a molte vittime, ma era più facile affrontare il problema nel modo in cui tutta la società lo stava affrontando e seguire dei modelli che erano stati ereditati. A volte i vescovi devono rifiutarsi di fare ciò che viene detto loro; i vescovi australiani hanno affrontato lo scandalo della pedofilia a metà degli anni ’90 e hanno cambiato rotta. I risultati non sono stati perfetti, ma si è trattato di un cambiamento epocale».

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