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Stop alle guerre e alla produzione di armi. Riconvertire le industrie si può

Appello dell’Onu per un cessate il fuoco globale. “La malattia da combattere è il coronavirus”, dice il segretario generale. Intanto in Italia si chiede di fermare la produzione degli f35 per tutelare la salute dei dipendenti. “Lasciare aperte solo quelle industrie necessarie per il settore sanitario”, dice don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi. E intanto la Beretta…

Sembra ancora cadere nel vuoto, salvo qualche timida speranza per la Libia, il pressante appello di Antonio Guterres, segretario generale della Nazioni Unite, per un immediato cessate il fuoco a livello mondiale. «La furia del coronavirus mostra la follia della guerra», ha detto nei giorni scorsi, parlando in una conferenza stampa virtuale dal Palazzo di Vetro, «ecco perché oggi chiedo un cessate il fuoco globale e immediato in tutti gli angoli del mondo. È tempo di bloccare i conflitti armati e concentrarsi sulla vera lotta delle nostre vite. Alle parti in guerra dico: ritiratevi dalle ostilità». Denunciando che «gli operatori sanitari, che sono già pochi, sono stati spesso presi di mira», il segretario generale ha ricordato che «il  virus non si preoccupa di nazionalità, etnie, fede religiosa. I più vulnerabili, donne e bambini, persone con disabilità, emarginati e sfollati, pagano il prezzo più alto».

Lanciando, mercoledì 25 marzo, un piano di due miliardi di dollari a sostegno delle fasce più deboli, Guterres ha aggiunto che «il coronavirus sta minacciando l’intera umanità, e quindi l’intera umanità deve combattere insieme. Le risposte dei singoli Paesi non saranno sufficienti. Il mondo deve affrontare una minaccia senza precedenti. Dobbiamo venire in aiuto degli ultra-vulnerabili, questa è una questione di solidarietà umana di base».

Il segretario dell’Onu si è rivolto in particolare ai Paesi del g20 per «porre fine alla malattia della guerra e combattere la malattia che sta devastando il nostro mondo».

Accoglie e rilancia l’appello la Comunità di Sant’Egidio, da sempre impegnata a cercare soluzioni nelle aree di crisi: «Nel momento in cui il mondo affronta il nemico comune della pandemia è necessario riscoprire l’appartenenza di ciascuno a un’unica famiglia umana», scrive in una nota. E aggiunge: «In tanti anni di lavoro per la pace in diversi scenari Sant’Egidio ha sperimentato come la guerra sia madre di tutte le povertà e renda vani gli sforzi dei sistemi sanitari aggravando la condizioni dei più vulnerabili».

Intanto in Italia è pressing per stoppare le fabbriche di armi: «Chiudere subito lo stabilimento degli F-35 e tutte le fabbriche che producono sistemi d’arma», chiedono Sbilanciamoci, Rete della Pace e Rete Italiana per il Disarmo. Dopo l’accordo tra Cgil, Cisl e Uil e il Governo per la chiusura della produzione di Cameri, le associazioni stanno vigilando che l’esecutivo non si tiri nuovamente indietro, come era già successo per il primo accordo, perché non si corra il «rischio di far contagiare i lavoratori addetti a queste attività. Riteniamo inaccettabile chiedere ai lavoratori un sacrificio così alto per una produzione che, oggi, non ha nulla di strategico e impellente e costituisce solamente un favore all’industria bellica e al business del commercio di armamenti».

In una nota dei giorni scorsi ribadivano che, «non è in questione il funzionamento operativo del settore della Difesa nazionale in questo momento così delicato, funzionamento che deve essere sempre garantito nei limiti e nelle forme previste dalla nostra Costituzione e del nostro ordinamento: la questione è perché si debbano tenere aperte fabbriche, in cui i lavoratori rischiano ogni giorno il contagio, che producono armi di cui oggi non abbiamo nessuna necessità, o che vengono vendute ad altri Paesi o (come nel caso degli F35) che fanno parte di un Programma a lungo termine e che potrebbe senza problemi prendersi una pausa di qualche settimana».

Le associazioni chiedono che possano continuare a produrre solo gli stabilimenti «in grado di riconvertire la produzione di macchinari e forniture per rispondere ai bisogni del servizio del sistema sanitario».

«Con i soldi di un solo F35 (circa 150 milioni di euro) quanti respiratori si potrebbero acquistare?», dice ancora don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi denunciando, in una lettera aperta condivisa da Banca etica, Movimento dei focolari, Mosaico di pace e Scuola di economia civile la prosecuzione di quella che definisce «una economia incivile». «Alcune industrie stanno tentando di riconvertire almeno in parte la loro produzione», continua, «questa è la strada da percorrere».

Nel bresciano la Beretta, leader nella fabbricazione di armi, ha iniziato a produrre valvole per maschere respiratorie d’emergenza per l’ospedale di Gardone Valtrompia. La notizia si era saputa perché nei giorni scorsi il presidente Franco Gusalli, via facebook, aveva chiesto con urgenza di recuperare la polvere necessaria per continuare a far lavorare le stampanti 3 D. Le valvole servono a trasformare le maschere da snorkeling in maschere respiratorie d’emergenza. A rispondere, in attesa di un carico previsto dalla Germania, la Zare Prototopi di Reggio Emilia che ha messo a disposizione 150 kg di polvere, sufficienti per realizzare 500 valvole. «Altre 15 aziende nel settore della stampa 3D», recita il post della Beretta «che ci hanno contattato stanno già producendo le valvole per le maschere respiratorie di emergenza basate sui respiratori Decathlon International, grazie a un’idea di Renato Favero realizzata in partnership con Isinnova». Ottima iniziativa se non fosse che poi, dopo aver parlato dell’aiuto all’Ospedale civile di Gardone, l’azienda non manca di pubblicizzare il suo concorso a premi per vincere un fucile semiautomatico… correndo con la mente «lontano da queste giornate blindate»… «per sentire meno lontana la prossima stagione di caccia…».

Fonte: FamigliaCristiana.it

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