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La Chiesa dopo Bagnasco, cinque nomi in corsa

GENOVA – Papa Francesco nei prossimi mesi deciderà il successore dell’attuale arcivescovo, cinque in corsa: c’è anche il genovese Moraglia, patriarca di Venezia

Gli occhi del Vaticano sono su Genova. Chi succederà ad Angelo Bagnasco quando il cardinale arcivescovo lascerà un incarico già prorogato e ora non più confermato?

Il Papa ha nel cuore la Lanterna, dove è già stato in visita apostolica, e dove è possibile che torni ancora. Anche perché è proprio da quel luogo che suo padre Mario partì nel 1929 per cercare fortuna in Argentina. Francesco in mente alcuni nomi li ha.

Ma, in questa fase preliminare, attende di conoscere i pareri dei suoi consiglieri. Le esigenze di una città importante, e in difficoltà per motivi diversi, gli sono tuttavia ben chiari. E il Pontefice le cui origini hanno radici nell’alta Liguria non vuole abbandonare quello che considera uno dei gangli vitali dell’Italia. Oggi, come fa trapelare, tuttora in ottime mani. Ma dopo il compimento appena avvenuto dei 77 anni di Bagnasco, Jorge Mario Bergoglio vuole dare un impulso duplice a Genova: continuare a coniugare i dettami della sua Chiesa di strada con le istanze sociali preminenti per la città.

E allora è necessario ripercorrere, per ora solo rapidamente, quello che Bagnasco rappresenta per Genova e ha compiuto sul piano nazionale e a livello internazionale. Perché qui parliamo di uno dei prìncipi della Chiesa. Un uomo di intelligenza prontissima, di buona cultura, di profonda compassione e di spiritualità intensa. Nella relazione personale dallo humour sottile: proverbiali sono i suoi inviti “a bere assieme un bicchiere di liquore allo zibibbo” per coloro con cui intende confidarsi in una piazzetta precisa del centro storico di Genova. Un “figlio” del cardinale Giuseppe Siri, monumento della città nel Novecento anche per la rilevanza che ha avuto come “quasi Papa”.

Dunque, il cardinale Angelo nasce come conservatore, pure molto attento ai temi sociali inevitabili per la Liguria, e prosegue questo percorso politico – ma associativo – soprattutto sotto il pontificato di Joseph Ratzinger. Ma possedendo una mente rapida, dimostra una grande duttilità nel momento dello sbarco in Vaticano (“un posto che conosco poco”, ha confessato una volta) di un rivoluzionario come il successore di Benedetto. E allora: via, e per sempre, la teoria ratzingeriana dei “princìpi non negoziabili” (come vita, famiglia, libertà di educazione), mantra di Benedetto XVI ripetuti a ogni sua prolusione come capo dei vescovi italiani, e invece piena adesione ai temi di strada di Francesco.

Fu, il 2013, anno dell’elezione di Jorge Mario Bergoglio al soglio di Pietro, un anno non facile per un Bagnasco che in Conclave puntava probabilmente non all’ennesimo Papa straniero, ma apparteneva al filone dei cardinali pro-italiani schierati sull’allora arcivescovo di Milano, Angelo Scola. E, forse, poteva persino aspirare a ritrovarsi come candidato di mediazione fra le parti contrapposte, dentro la Cappella Sistina.

Da 14 anni alla testa della diocesi genovese – da molto tempo dunque, benché in cifra inversamente proporzionale a quella del recordman Siri, inarrivabile con i suoi 41 anni di guida – Bagnasco eppure un record lo detiene: quello dei 10 anni al vertice della Conferenza episcopale italiana. Un periodo, dopo la presidenza di Camillo Ruini caratterizzata dalla forte incidenza della Chiesa nella sfera politica, molto intenso e anche duro. Lo ricorda il formidabile braccio di ferro scambiato con l’allora segretario di Stato vaticano, il numero due del Papa, Tarcisio Bertone, ex arcivescovo di Genova, il quale con una mossa inedita avocò subito a sé e per lettera i rapporti con i partiti in Parlamento, depotenziando il vertice della Cei.

Un confronto durato anni. E alla fine Bagnasco può comunque rivendicare di avere ottenuto la proroga di un altro lustro da Papa Benedetto, oltre alla conferma da Francesco nonostante quest’ultimo nutrisse molti dubbi. Pensava di cacciare Bagnasco, volle incontrarlo, lo misurò, lo mise alla prova, il cardinale Angelo la superò, e fu così che rimase in sella fino al 2017. Ottenendo pure l’incarico, l’anno prima, di presidente dei vescovi europei. Ruolo capace di dargli visibilità sul piano internazionale, e possibilità di viaggiare ovunque. Ultimo dei suoi viaggi extraeuropei: la Siria disastrata dalla guerra.

Ma prima di tutto, e ben radicata nel cuore, c’è Genova. La città dei vicoli, dove don Angelo apre il portafoglio e mette 20 euro in mano a quelli che lo avvicinano e hanno bisogno. La Genova delle fabbriche che lo vede, da sempre, in prima linea con gli operai. La Genova del Ponte caduto, con le parole come carezze ai funerali delle vittime, considerati “gli angeli della città”. E certo, anche la Genova che lo contesta: avvenne alle esequie di don Andrea Gallo. Quando però il cardinale fu subito difeso dagli stessi amici di un sacerdote spesso inviso alle gerarchie ecclesiastiche.

Almeno 5 i nomi che in Vaticano circolano per la sua successione. Quello in pole position è del patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, genovese, che finora non ha avuto la berretta cardinalizia e ha più di un motivo per tornare nella sua città. Poi c’è il vice di Bagnasco, monsignor Nicolò Anselmi, grande consenso tra le fasce giovanili e nel centro storico.

Quindi il vescovo di Savona-Noli, Calogero Marino, capace di superare i momenti difficili della diocesi per i casi passati di pedofilia. Il vescovo di Tortona, monsignor Vittorio Francesco Viola, francescano pienamente in linea con Bergoglio. E la possibile sorpresa, Corrado Sanguineti, vescovo di Pavia, ligure di adozione, con studi e percorso spirituale cominciato a Chiavari.

Oppure, in pure stile Francesco, un altro nome che scombini le carte e le previsioni. Ci sarà tempo per parlarne. Il Vaticano guarda a Genova e riflette.

Fonte: Marco ANSALDO | Repubblica.it

 

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