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Suor Giuliana Galli: «Il capitale deve sapere attendere»

L’analisi della ex presidente della Compagnia di San Paolo che ora dirige la onlus Mamre che si occupa del disagio psichico e sociale di migranti e bambini.

TORINO Alcuni l’hanno definita «sorella banca». Lei non condivide, perché si sente «religiosa, cittadina italiana e donna». E ci tiene a indicare che le tre condizioni coesistono e si completano a vicenda. È certo però che Suor Giuliana Galli sa molto di economia e finanza, così come di solidarietà e lavoro senza tregua per chi ha meno in tutti i sensi. Tutto con una particolare visione delle cose derivata da una professione religiosa iniziata a 23 anni e cresciuta nella Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino (il Cottolengo), ma anche nel Consiglio di Amministrazione della Compagnia di Sanpaolo (della quale è stata anche Vicepresidente), cioè della fondazione che detiene una quota di rilievo di una delle più importanti banche europee, e adesso in Mamre, un centro che dal 2001 si occupa di disagio psichico e sociale delle persone migranti e dell’integrazione dei bambini nelle scuole. Alta finanza unita alla solidarietà per gli ultimi degli ultimi, quindi. Tutto con molta decisione e senza timore di dire le cose chiare. La conversazione con Suor Giuliana inizia con un caffè e continua subito dopo con una citazione di Sant’Agostino: «Diceva che non è il denaro ad essere sporco, ma l’uso che se ne fa che può essere sporco – spiega Suor Giuliana –. D’altra parte nel Vangelo c’è molto denaro, nel senso che viene citato molte volte e con esempi fortissimi. Basta pensare alle parabole dei talenti e delle mine in Luca e Matteo, senza contare i 30 denari di Giuda. Ogni volta però il denaro viene messo in relazione ai comportamenti delle persone. Non voglio dire che il Signore abbia voluto precedere Adam Smith nella costruzione dei fondamenti dell’economia. Ma è un fatto che nella Bibbia si parli di denaro e profitto ben fatto; il cattivo uso del denaro porta a diseguaglianze che creano povertà e ingiustizie e quindi disordine negli uomini».
È il disordine che è così diffuso oggi?
La questione è utilizzare bene le leve della de- mocrazia e gli strumenti economici che si hanno a disposizione. Qualche tempo fa a tutte le fondazioni è stato imposto un prelievo forzoso di parte del loro capitale. Le fondazioni hanno dovuto accettare, ma hanno chiesto e ottenuto che fosse creato un fondo per combattere la povertà educativa. Un governo non può fare e disfare tutto ciò che vuole a suo piacimento. Poi certo c’è il buon uso del denaro. Non importa che il mercato sia libero oppure controllato. Ciò che occorre è che vi sia sempre attenzione alla giustizia e alla dignità. Gesù non dice come usare il capitale, ma indica situazioni che sono esempi virtuosi.
Valgono anche in tempi di economia liquida e veloce come quelli di oggi?
A mio parere sì. C’è un concetto che mi piace molto. Quello di capitale paziente. Molti progetti economici non possono avere un ritorno immediato. Occorre tempo per far maturare certi frutti, anche economici.
Parliamo di lavoro e di giovani.
Mi pare vi sia uno scollamento fra la domanda di lavoro da parte dei giovani e l’offerta sul mercato. Occorre chiedersi quanto lavoro abbia effettivamente lasciato l’automazione, quale preparazione sia necessaria per coglierlo e quale lavoro cerchino davvero i giovani. Poi dobbiamo parlare chiaro: dire che gli stranieri rubano il lavoro agli italiani è un’assurdità e un’ingiustizia. Oggi una buona parte dei lavori più pesanti e sottopagati viene svolta proprio dagli stranieri. D’altra parte dobbiamo renderci conto che non esiste più quella condizione del lavoro propria della media borghesia italiana, fatta dal posto siculità ro, dalla casa di proprietà e con un orizzonte certo davanti.
Quindi?
Occorre ripartire dalle fondamenta. Ho qualche dubbio se sia ancora giusto porre come primo articolo della nostra Costituzione l’indicazione che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, mi chiedo come interpretare oggi questo articolo. Mi piace di più la Costituzione tedesca che inizia parlando di doveroso riconoscimento della dignità della persona che deve essere difesa sempre. La ritengo una posizione più attuale. È una diversa distribuzione della ricchezza che deve tenere conto della dignità della persona nonostante la perdita di lavoro. Anche qui occorre dare un senso al profitto. Innovazione e digitalizzazione possono elevare la produttività e quindi i guadagni, ma questi non possono rimanere solo a disposizione di pochi. È una responsabi- che tocca anche i decisori pubblici.
Capitale, profitto e lavoro rappresentano una triade che ha fatto la storia di Torino. Adesso a che punto siamo?
Io sono tornata a Torino nel ’75 dopo molti anni. La città era la Fiat con il suo indotto. Oggi è tutto cambiato, la città è stata capace di rimettersi in piedi, si è scoperta una città bella, gestita tutto sommato bene. Non so se si possa definire un laboratorio economico e sociale, ma certamente qui convivono esperienze molteplici. Anche dal punto di vista sociale. Esperienze come il Cottolengo, il Sermig, i Salesiani, Mamre, la San Vincenzo possono servire ad esempio per molti. Credo di poter dire comunque che manca qualcosa.
Cioè?
Torino e i torinesi sanno guardarsi in giro e capire quando l’altro è nello stato di bisogno e sanno creare situazioni di aiuto per intervenire. Ma sono interventi di associazioni che nascono spontaneamente quasi per affrontare situazioni specifiche di disagio. È mancato e manca ancora oggi uno spirito collettivo d’intrapresa economica e sociale. E manca anche un esempio come quello di Olivetti: l’impresa per il territorio, che è altro oltre al profitto.
Sta pensando alla vicenda Fiat-Fca?
Non solo. Per valutare bene la vicenda Fiat-Fca occorrerebbe avere elementi concreti per capire quanto nelle scelte ha giocato il pericolo di implosione della Fiat e quanto la volontà di potere e di dominio. Con la globalizzazione occorre che tutti facciano i conti. Ma anche qui l’attenzione a chi ha meno deve essere determinante.
Che cosa la spaventa di più oggi?
Nulla. Non è il caso di avere paura. Ho invece tanta speranza e insieme molta pena per la gente che fugge dal proprio Paese con il terrore negli occhi e per l’indifferenza di molti. Nel Vangelo viene riportato lo scandalo per il costo del balsamo usato dalla Maddalena per i piedi di Cristo. Magari noi riuscissimo oggi a fare lo stesso per lenire le sofferenze di tanti poveri cristi.

Fonte: Andrea Zaghi | Avvenire.it

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