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La misericordia diventa regola ma la dottrina non è cambiata

Un giorno dopo la chiusura dell’ Anno Santo della Misericordia, papa Francesco ha pubblicato la lettera apostolica «Misericordia et misera». Il titolo viene dall’incontro nel Vangelo fra la misericordia di Gesù e la «misera», la poveretta: l’adultera, che Gesù perdona mentre tutti vorrebbero lapidarla. Pure non lunghissimo, il testo descrive in modo completo la teologia della misericordia di papa Francesco, che non si ferma al Giubileo, ma continua, e il suo radicamento nella Sacra Scrittura e nella tradizione della Chiesa. Hanno attirato l’attenzione di molti soprattutto i commenti e le disposizioni in tema di aborto. Scrive il Papa: «Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’ aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente».

Nello stesso tempo, ricorda che ogni peccato può essere perdonato, e rende permanente la facoltà concessa per il Giubileo a tutti i sacerdoti prima potevano farlo solo i vescovi di assolvere donne e medici coinvolti in un aborto. Certo, non senza condizioni: il sacerdote dovrà accertarsi di avere davanti a sé un «cuore pentito».

Ma si sbaglierebbe a sottovalutare l’innovazione di Papa Francesco, che trasforma in regola quella che era un’ eccezione giubilare, spiegata dal Papa al momento di concedere le indulgenze dell’Anno Santo con la sua esperienza di avere «incontrato tante donne che portavano nel loro cuore la cicatrice per questa scelta sofferta e dolorosa», fatta ritenendo di «non avere altra strada da percorrere». La Chiesa considera l’aborto «profondamente ingiusto», ma nello stesso tempo si china sul «dramma esistenziale e morale», con una vicinanza alle donne che è tipica del Pontefice argentino e che, senza cambiare la dottrina, cambia il linguaggio e gli atteggiamenti.

In «Misericordia et misera» ci sono tre grandi temi. Il primo è quello del peccato e della confessione. La parola «peccato» ricorre, in un testo relativamente breve, trentaquattro volte. Francesco è talora accusato dai suoi critici di non parlare più del peccato. Ma è un equivoco: ne parla spesso, evocando però sempre dopo avere accennato al peccato l’immagine di un Dio misericordioso, che non si stanca mai di perdonare. E la via ordinaria al perdono è la confessione. C’è nella lettera apostolica un nuovo grande rilancio della confessione e un appello accorato ai sacerdoti perché dedichino più tempo al confessionale e insieme facciamo capire ai fedeli l’ importanza di questo sacramento, che in intere nazioni è quasi scomparso. 
In tema di confessori, c’è anche un gesto di riconciliazione verso la Fraternità San Pio X, cioè i seguaci del defunto vescovo tradizionalista francese Lefebvre, che avevamo anticipato ieri su questo giornale. Ai sacerdoti lefebvriani, che pure non sono in piena comunione con la Santa Sede, il Papa rinnova l’ autorizzazione a confessare validamente i fedeli cattolici, già concessa per l’Anno Santo, «confidando nella (LORO) buona volontà perché si possa recuperare, con l’ aiuto di Dio, la piena comunione nella Chiesa cattolica». Resta ora da vedere se e come i lefebvriani risponderanno a questo generoso appello alla buona volontà.
Il secondo tema che percorre il documento del Papa è quello dei poveri, degli emarginati, dei carcerati, dei rifugiati e degli immigrati. Sono loro i primi destinatari della misericordia, e chi parla di misericordia afferma il Papa ma non fa qualcosa di concreto per loro non è credibile. Francesco invita a «scacciare l’ indifferenza e l’ ipocrisia, perché i piani e i progetti non rimangano lettera morta». Propone una «rivoluzione culturale» per sostituire alla cultura dell’ emarginazione e dello «scarto» dei più poveri una «cultura della misericordia». E istituisce una «Giornata mondiale dei poveri» da celebrare ogni anno per ricordare al mondo tanti drammi dimenticati e per invitare tutta la Chiesa a una «conversione pastorale» e a uno sguardo nuovo sulle innumerevoli e diverse forme della povertà.

Il terzo tema, il più teologico, è anche il più decisivo. Nelle scorse settimane la Chiesa è stata scossa da polemiche in materia di interpretazioni dell’esortazione apostolica «Amoris laetitia», pubblicata dal Papa durante l’Anno Santo, che propone alcune caute aperture quanto alla possibilità per certe categorie di divorziati risposati di accostarsi ai sacramenti. Quattro cardinali guidati dall’ americano Burke, cardinale patrono dell’ Ordine di Malta, che ha arruolato tre suoi colleghi in pensione hanno scritto al Papa chiedendo risposte secche, sì o no, su «Amoris laetitia» e sulla comunione ai divorziati risposati. 
Il Papa non ha risposto, e i quattro hanno resa pubblica la lettera, accompagnata da un’intervista di Burke che minaccia addirittura una «pubblica correzione» del Pontefice, anche se in un successivo colloquio con un giornalista ha negato di voler promuovere uno scisma. In «Misericordia et misera» Francesco, implicitamente, risponde. Parlando della famiglia, il Papa invita a «non dimenticare che ognuno porta con sé la ricchezza e il peso della propria storia, che lo contraddistingue da ogni altra persona. La nostra vita, con le sue gioie e i suoi dolori, è qualcosa di unico e irripetibile, che scorre sotto lo sguardo misericordioso di Dio. Ciò richiede, soprattutto da parte del sacerdote, un discernimento spirituale attento, profondo e lungimirante perché chiunque, nessuno escluso, qualunque situazione viva, possa sentirsi concretamente accolto da Dio».

A chi chiede un sì o un no che valga per tutti i casi, il Papa risponde che ogni caso singolo è unico e irripetibile e va trattato come tale. Quella che stiamo vedendo oggi nella Chiesa cattolica è una tipica situazione di tensione fra due modelli difficili da riconciliare, descritta nella classica opera del 1966 dell’ antropologa inglese Mary Douglas «Purezza e pericolo».
I critici di papa Francesco si considerano custodi della purezza della norma, e ritengono che debba essere difesa con un’operazione di demarcazione dei confini, distinguendo chiaramente tra chi è dentro e chi è fuori. Papa Francesco vede un altro tipo di pericolo: che, continuando a marcare i confini in questo modo, alla fine si scopra che la gran parte dell’umanità del 2016, e anche dei cattolici del 2016, non è «dentro» ma è «fuori» della Chiesa. A chi chiede dove siano oggi i confini, Francesco risponde proponendo un modello dove non ci sono confini o, se ci sono, si rinegoziamo continuamente sulla base delle situazioni individuali infinitamente diverse. Alla domanda: «Dove collochi esattamente la dogana?» Francesco aveva già risposto nella sua prima esortazione apostolica, del 2013, «Evangelii gaudium»: «La Chiesa non è una dogana». 
Fonte: Il Sismografo – (da Il Mattino – M. Introvigne)

 

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