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Maternità surrogata, il diritto rovesciato

Un corto circuito giuridico. Questi gli effetti della sentenza 13.525/16 depositata l’altro ieri dalla Cassazione, che ha confermato il proscioglimento penale – pronunciato dal Gip di Napoli – di una coppia volata in Ucraina per ricorrere alla maternità surrogata. Al contrario, nel novembre 2014, la stessa Suprema Corte aveva sostanzialmente condannato l’utero in affitto, non riconoscendo il certificato di nascita ottenuto nello stesso Stato estero. Così ora l’incertezza regna ancor più sovrana. Se prima infatti la tendenza assolutoria dei tribunali vedeva nella Suprema Corte un forte contrappeso di segno contrario, ora è la Cassazione stessa a esseredivisa al suo interno.La nuova decisione – come riferito ieri daAvvenire – parte dall’esame della legge 40, che vieta la surrogazione di maternità. Al riguardo, la pronuncia del Gip impugnata dalla Procura generale di Napoli aveva assolto con questa motivazione: la sentenza 162/2014 della Corte Costituzionale ha fatto venir meno il divieto – contenuto nella stessa 40 – di fecondazione eterologa: e proprio un’eterologa avrebbero realizzato i coniugi napoletani, facendo concepire in provetta il bimbo con seme di lui e ovociti di provenienza sconosciuta (vale a dire comprati da una ‘donatrice’ estranea alla coppia).

Ma il fatto che l’embrione così ottenuto fosse stato impiantato nel grembo di un’altra donna ancora aveva qualificato la procedura non come semplice eterologa bensì come maternità surrogata. Pratica che la stessa pronuncia della Consulta citata dal Gip ribadiva come vietata.

Alla Cassazione tutto ciò non è sfuggito, ma la sua conclusione non ha cambiato l’esito del giudizio: partendo dal presupposto per cui vi sono «contrapposizioni dottrinali» che non chiariscono se si può «punire secondo la legge italiana il reato commesso all’estero» quando non è «reato anche nello Stato in cui fu commesso » (è il caso di Italia e Ucraina, che rispettivamente vieta e consente l’utero in affitto), ne fa discendere che i due ‘surroganti’ possano essere incorsi nel cosiddetto «errore sul precetto», vale a dire una situazione di mancata conoscenza della norma che il diritto gli scusa. La Suprema Corte discute poi sull’esistenza o meno – nel caso specifico – delreato di alterazione di stato di minore. Che, secondo la Procura, si è concretizzato nell’indicazione della donna come ‘madre’, sebbene né abbia fornito il suo corredo genetico né abbia partorito. Gli ermellini non concordano: «Ai fini della configurabilità di tale delitto – scrivono – è necessaria un’attività materiale di alterazione di stato» ulteriore «rispetto alla mera falsa dichiarazione », caratterizzata dall’«idoneità a creare una falsa attestazione, con attribuzione al figlio di una diversa discendenza». Cosa a loro avviso non avvenuta, in quanto l’atto di nascita che per l’accusa sarebbe falso è stato redatto inconformità alla legge ucraina, e poi semplicemente trascritto tale e quale nel Comune italianoin cui la coppia risiede.Terzo nucleo della sentenza, la posizione degli imputati in relazione al reato di falsa attestazione o dichiarazione a pubblico ufficiale. Sempre secondo l’accusa, questa violazione si sarebbe verificata al Consolato italiano di Kiev, cui i genitori committenti si erano dovuti rivolgere per chiedere la trasmissione del certificato di nascita al proprio Comune. Un funzionario della nostra sede diplomatica aveva chiesto loro se il bimbo fosse nato da surrogazione di maternità. Gli ermellini, al riguardo, ritengono che il silenzio dei due non può costituire una «falsa dichiarazione».

Nella sostanza, dunque, la Cassazione ha stabilito che chi vuole aggirare il divieto penale di maternità surrogata espatriando in un Paese che la consente può farlo liberamente. Nel novembre 2014, invece, la stessa Corte aveva dato un segnale opposto. Chiamata a pronunciarsi sulla validità o meno di un certificato di nascita ottenuto in circostanze pressoché identiche, aveva decretato la sua irriconoscibilità per il diritto italiano. E disposto che il bimbo – in quel caso geneticamente estraneo a entrambi i genitori – fosse posto in adozione. Per farlo, nonostante si trattasse di un procedimento civile, era partita proprio dal divieto della legge 40. Un divieto penale, dunque «posto a presidio di beni giuridici fondamentali» (nel caso di specie, la «dignità umana» e l’«istituto dell’adozione», con i quali «la surrogazione di maternità si pone oggettivamente in conflitto».

Sollecitato da queste sentenze contrastanti, Luciano Eusebi pone un primo «problema di sostanza: se si voglia o meno che una coppia possa progettare un ruolo genitoriale organizzando all’estero quella maternità surrogata che la legge italiana – e una sensibilità comunque trasversale a orientamenti culturali diversi – non ritiene accettabile ». Il penalista dell’Università Cattolica di Milano propone un secondo interrogativo: «Il procreare si sostanzia nel diritto di chiedere l’applicazione di qualsiasi tecnica idonea a consentire ciò, purché si sia disposti ad accudire il nuovo nato, oppure costituisce l’atto generativo di due persone, che le coinvolge anche nella loro corporeità?». Da qui la conclusione: serve una chiara presa di posizione del Parlamento. Perché «un ordinamento – scandisce Eusebi – deve saper assumere le sue responsabilità».

Fonte: Avvenire.it

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