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Peccati e perdono: l’indulgenza, cos’è e come si ottiene

Il cardinale Mauro Piacenza, capo della Penitenzieria apostolica, massimo esperto in materia, spiega come vivere il Giubileo. Nel segno del ritorno a Dio e della ritrovata concordia con chi ci vive accanto.

 

Il cardinale Mauro Piacenza è a capo della Penitenzieria apostolica, il più antico dicastero vaticano.

«Vivere la misericordia di Dio significa percepire sulla propria esistenza una promessa di bene e di vita». Il cardinale Mauro Piacenza è a capo della Penitenzieria apostolica, il più antico dicastero vaticano, competente fra l’altro su tutto ciò che riguarda le indulgenze. E in questi mesi di preparazione al Giubileo ha pubblicato diversi contributi sul tema della misericordia che, ci spiega, «ha tre momenti significativi: la richiesta di riceverla, l’esperienza che di essa si fa e la sollecitazione a offrirla a propria volta ai fratelli».

Eminenza, in che consiste la misericordia divina?

«Credo che un’ottima sintesi sia composta da tre frasi di papa Francesco tratte dalla bolla di indizione giubilare Misericordiae vultus: la misericordia è “l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro”, “la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita”, “la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato”».

E in quale modo questa misericordia si intreccia con la giustizia divina?

«Il sacramento della Riconciliazione è il luogo in cui il desiderio umano di misericordia e di verità trova il proprio compimento. Si fonda su una giustizia che non è come quella della legge civile, fatta dall’uomo: come afferma chiaramente il Codice di diritto canonico, “la salvezza delle anime deve sempre essere nella Chiesa la legge suprema” (canone 1752). La “pastoralità”, il porre insieme giustizia e misericordia, non ha come epilogo la cancellazione del Vangelo, della dottrina o della tradizione ecclesiale, poiché la Chiesa non intende illudere gli uomini lasciandoli nella loro condizione di peccato, ma vuole scendere nelle ferite della vita di ciascuno, come fa il Signore, portandovi la luce della verità».

La Penitenzieria ha preparato uno schema per aiutare il fedele a prepararsi alla Confessione. Quali sono le principali indicazioni?

«Il primo suggerimento è di interrogarsi se ci si accosta al sacramento della Penitenza per un sincero desiderio di purificazione, di conversione, di rinnovamento di vita e di più intima amicizia con Dio, o lo si considera piuttosto come un peso, che solo raramente si è disposti ad addossarsi. Quindi vengono proposte tre aree di riflessione personale nell’esame di coscienza, in relazione alla parola del Signore. La prima è focalizzata su “amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore”, la seconda si incentra su “amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi”, la terza riguarda il “siate perfetti come il Padre”, con la sollecitazione a chiedersi quale sia l’orientamento fondamentale della propria vita».

Si parla spesso anche di «nuovi peccati»…

«Il “progresso” tecnico-scientifico ha reso più “atrofizzata” la coscienza morale di molti uomini. Di qui questi peccati cosiddetti “nuovi”, in quanto esulano dalla casistica morale in uso fino a soli cinquant’anni fa, anche se poi in realtà il peccato, nella sua radice, non è mai nuovo ma monotonamente ripetitivo».

Qualche esempio?

«Dalle pratiche dell’aborto e della contraccezione, ai tanti mali legati alla fecondazione artificiale (come l’“utero in affitto” e la distruzione degli embrioni), si manifesta il preteso dominio dell’uomo sul mistero della vita, propria e altrui, e la conseguente mercificazione della persona umana, che si vede negata la propria irriducibile dignità. E, ancora, le piaghe della frode e della corruzione, la criminalità organizzata, tutte le pratiche esoteriche e sataniche, la violenta propagazione di ideologie che pretendono di svuotare di significato le categorie della distinzione sessuale, dell’identità biologica e, quindi, della stessa relazione interpersonale».

Nel Giubileo ha grande importanza l’indulgenza, cioè «la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa». Che cosa significa?

«È certamente importante comprendere bene questo tema della distinzione fra colpa e pena, che, a uno sguardo superficiale, potrebbe apparire di sapore medievale. Concretamente, in aggiunta all’assoluzione dalla colpa che avviene nella Confessione, l’indulgenza è il “condono” del tempo da trascorrere in purgatorio prima di raggiungere la visione di Dio in Paradiso. È ovvio che l’indulgenza possa risultare incomprensibile all’uomo secolarizzato e persino a quei cristiani che hanno ridotto il cristianesimo a una dottrina etica. Ma, secondo la fede della Chiesa, fra tutti i battezzati si crea un mirabile legame, la comunione dei santi, che non è un’astrazione spirituale: utilizzando una categoria biblica, si tratta di una vera e propria alleanza per la salvezza. In tal senso si parla di “tesoro delle indulgenze”».

In qualche modo, questo ha anche un risvolto sociale?

«Il persistere della pena temporale, anche dopo l’assoluzione sacramentale della colpa, rende ciascun uomo consapevole delle conseguenze dei propri atti, gli indica il dovere responsabile della riparazione e, cosa ancora più importante, lo chiama alla partecipazione all’opera redentiva di Cristo, per sé e per i fratelli».

Quali sono i requisiti per ottenere l’indulgenza che, ricordiamolo, può essere ottenuta anche in favore dei defunti?

«Sono essenzialmente tre: il sacramento della Riconciliazione, la partecipazione all’Eucaristia e la preghiera secondo le intenzioni del Santo Padre. La Confessione, vissuta con il cuore sinceramente distaccato da qualsiasi peccato, spinge l’uomo ad avvicinarsi a Dio e a lasciare che Dio si avvicini a lui. La celebrazione dell’Eucaristia, con la comunione sacramentale, sottolinea la dimensione ecclesiale dell’indulgenza. La preghiera secondo le intenzioni del Papa ricorda come la comunione non sia genericamente spirituale, ma debba essere concreta comunione con la madre Chiesa».

Nella lettera del 1° settembre Francesco ha fornito ulteriori precisazioni…

«Il Papa chiarisce che, per ottenere l’indulgenza, “i fedeli sono chiamati a compiere un breve pellegrinaggio verso la Porta santa, aperta in ogni cattedrale o nelle chiese stabilite dal vescovo diocesano, e nelle quattro basiliche papali a Roma, come segno del desiderio profondo di vera conversione”. A quanti ne sono impossibilitati “sarà di grande aiuto vivere la malattia e la sofferenza come esperienza di vicinanza al Signore”, mentre per i carcerati “ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre, possa questo gesto significare per loro il passaggio della Porta santa”. C’è poi un forte appello in favore delle opere di misericordia corporale e spirituale: “Ogni volta che un fedele vivrà una o più di queste opere in prima persona otterrà certamente l’indulgenza giubilare”».

Fonte: Famiglia Cristiana.it

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