Incontro a Brescia con l’inviato di guerra Fausto Biloslavo: «Questo piano non porterà a una pace giusta, ma eviterà una capitolazione». L’ipotesi “coreana” e la vittoria di Pirro di Putin
«Questo piano non porterà a una pace giusta, ma eviterà una capitolazione». Ha risposto così Fausto Biloslavo, inviato di guerra e grande esperto del conflitto in Ucraina, alla nostra domanda su cosa dovessimo aspettarci dalle ultime trattative che riguardano il paese dell’Est Europa invaso dalla Russia il 24 febbraio 2022.
Venerdì siamo stati a Brescia, invitati dalla vivace associazione Tito Speri per un incontro intitolato “Dall’Ucraina al Mediterraneo nell’era dei conflitti permanenti”. A fare gli onori di casa è stato Massimiliano Battagliola, capogruppo di Brescia Civica in Loggia, cui è seguito l’intervento di Patrizio Campana, coordinatore di missioni umanitarie in Ucraina, che ha raccontato i suoi trenta viaggi nel martoriato paese per portare aiuti, soprattutto medici. Operazione difficilissima, ma fondamentale, dato il grande bisogno di ambulanze per soccorrere i feriti (proprio venerdì il Comune ha accolto la mozione di Brescia Civica per sostenere l’acquisto di un’ambulanza da portare al fronte).
La cronaca ha imposto di iniziare la conversazione parlando del cosiddetto piano di pace americano di 28 punti, poi ridotti a 19, per arrivare a un cessate il fuoco tra i due paesi. Il presidente russo Vladimir Putin ha già dichiarato di essere disposto a una tregua, a patto che l’Ucraina rinunci alla Crimea e al Donbass. Biloslavo conosce bene la situazione: si recò nel Donbass già nel 2014, era a Kiev quando i russi invasero il paese ed è stato spesso al fronte, sulla linea dei combattimenti. Un’esperienza che poi ha riversato nel libro Ucraina: Nell’inferno dell’ultima guerra d’Europa. Durante l’incontro ha mostrato alcuni spezzoni video dei suoi reportage, raccontando con sincera partecipazione le storie drammatiche dei soldati incontrati durante le sue missioni.
I tre ostacoli
Qualunque sarà la formulazione del piano, secondo Biloslavo «non dobbiamo aspettarci una pace “giusta”, ma nemmeno una capitolazione».Esistono tre ostacoli, «che si stanno smussando», da superare per arrivare a una tregua. «Il primo riguarda le garanzie di sicurezza. Si potrebbe usare un “simil articolo 5” della Nato, come proposto dalla nostra presidente Giorgia Meloni. L’Ucraina non entra nell’Alleanza, ma i membri si impegnano a sostenerla in caso d’attacco. Verrebbe garantito uno scudo aereo e un contingente di stanza in Polonia. Dei tre ostacoli, questo mi sembra il più superabile».
Il secondo riguarda il numero delle forze armate ucraine. La Russia vorrebbe fossero ridotte a 100 mila uomini, gli Stati Uniti hanno proposto 600 mila, la nuova idea sarebbe di portarle a 800 mila unità. «Qui il problema – ha spiegato l’inviato di guerra – più che il numero riguarda la qualità degli armamenti».
Il terzo ostacolo è il più ostico «e riguarda i territori. Se la Crimea è sacrificabile, il vero problema è l’ultima porzione del Donbass, quel 16 per cento di territorio che la Russia non ha ancora conquistato. Quella è la linea del Piave, dall’alto valore simbolico per entrambi gli eserciti. Per arrivare a un accordo questa zona dovrebbe rimanere neutrale con una forte presenza di osservatori internazionali, come mi ha spiegato Keith Kellogg, l’inviato speciale della Casa Bianca che ho intervistato qualche giorno fa sul Giornale».
Un momento dell’incontro “Dall’Ucraina al Mediterraneo nell’era dei conflitti permanenti”, Brescia, 28 novembre 2025
Soluzione coreana
Da diverso tempo Biloslavo – lo aveva ricordato anche a Caorle nel giugno 2024 al festival organizzato da Tempi – vede come unica via d’uscita «non una pace ma un armistizio, un congelamento della linea del fronte, come avvenne nel 1953 lungo il 38° parallelo tra il nord e il sud della Corea».
Domanda semplice, ma cruciale: Putin accetterebbe una soluzione del genere? Ha risposto Biloslavo: «Non lo so, ma di una cosa sono certo: i russi non hanno vinto la guerra. Nelle intenzioni del loro presidente, avrebbero dovuto, nel giro di poco tempo, controllare il paese e farlo ritornare nell’orbita di Mosca, magari favorendo l’avvento di un governo amico. Invece, l’Ucraina ha resistito e ha riconquistato il 50 per cento dei territori che aveva perso. Si stima che la Russia abbia lasciato sul terreno oltre un milione di soldati, tra morti e feriti. E, anche dal punto di vista strategico, Putin deve farsi qualche domanda. Si è sempre lamentato di avere la Nato ai confini, ma finora l’unico risultato ottenuto dopo l’invasione dell’Ucraina è che altri due Paesi, Svezia e Finlandia, hanno aderito all’Alleanza atlantica».
Riprendere fiato
Perché, allora, non proseguire il conflitto? «Putin è disposto ad andare avanti», ha risposto l’inviato di guerra. «Ma, parliamoci chiaro, l’iniziativa sul campo è russa. L’Ucraina ha raschiato il fondo del barile negli arruolamenti. Ha uomini che combattono da quasi quattro anni… mentre i russi sono di più».
Biloslavo porta un esempio per chiarire, raccontando di un eroico capitano ucraino di 60 anni che ha conosciuto al fronte. «Un amico, un eroe, un vero patriota, più volte ferito, che combatte nel Donbass. Oggi, tra soldati feriti, scappati e impazziti, si trova a guidare un gruppo di settanta persone. Per quel che deve fare, ne servirebbero cento. Quale capitano accetterebbe di continuare a combattere in simili condizioni? Quindi io dico, con estrema ammirazione per l’eroismo ucraino: amici, fermatevi, riprendete fiato, vi conviene trovare un accordo. Poi, fra 10 o 15 anni la situazione potrà essere diversa. Putin non è eterno e voi nel frattempo potrete entrare nell’Unione Europea. La stessa storia della Corea del Sud insegna che, congelato il conflitto, si può voltare pagina e molte cose possono cambiare».
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