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LA STORIA DI EDI E IL TABERNACOLO DEL SOLE

E’ molto di più di un capolavoro, è un inno alla vita, la testimonianza concreta di come nella fede si possa trovare il perché dell’esistenza, anche quando questa sembra impossibile da accettare. Uno schiaffo all’autocommiserazione. Edi Pensalfini, 38 anni, gli ultimi dieci passati a combattere contro una gravissima malattia, ha creato un’opera d’arte, la cui luce straordinaria non è tanto nel paziente lavoro di mosaico in vetro lavorato e foglie di oro zecchino, ma nella Fede.

 Il tabernacolo posizionato nella chiesa del Cristo Divino lavoratore di Ancona è realizzato con migliaia di tasselli il cui collante più profondo è l’impegno artistico, l’attaccamento alla vita e la speranza.

Progettato da Edi, è stato realizzato grazie all’aiuto dell’architetto Vittoria Ribighini e di Alessandro Scuppa.

Quella di Edi è una lotta di trincea contro una patologia che piano piano l’ha resa invalida; ma la forza della preghiera ha impedito che fosse fiaccata la sua volontà, il suo amore per l’arte. Ecco dunque il compimento di questo piccolo miracolo. Edi è riuscita ad essere presente all’inaugurazione, in una chiesa gremita; i medici le hanno dato il permesso di allontanarsi per qualche ora dall’ospedale, dove è tenuta sotto stretta sorveglianza e amorevole cura.

Una presenza toccante, della sofferenza di Cristo incarnata, ma anche della sua grande prospettiva di salvezza. Nel leggere il suo discorso Edi è stata lucida e propositiva, mentre la chiesa si scioglieva in un mare di lacrime, in un misto di commozione e gioia: “In questo mosaico il Signore nel tabernacolo è posto al centro come lo è protagonista della mia vita: un’opera che rappresenta un passo di fede nel mio cammino, il mio ‘Fiat’ al Signore, il mio sì nell’ abbandonarmi alla Sua volontà”.

Edi, psicologa ed educatrice, ha concluso il suo intervento in modo straordinario: “Vorrei con questo esempio portare un raggio di luce e aiutare chi nel dolore o nella malattia non riesce a viverla con la stessa mia pace e serenità”.

Qualsiasi altra persona – nella condizione della ragazza – avrebbe chiesto la grazia della guarigione, qualcun altro avrebbe detto: “perché a me?”, forse altri avrebbero imprecato. Edi no, ha accettato con gioia la croce che deve portare, e l’ha trasformata in un esempio per tutti. Accanto a lei i suoi genitori, anch’essi in chiesa a ringraziare il Signore che, attraverso la sofferenza, ha dato loro dei doni che gran parte di noi non riuscirà mai a comprendere. Una Fede forte, maturata nel dolore e nelle lunghe notti d’ospedale.

Al termine della Santa Messa un grande abbraccio, e nella mente tornano le frasi di Chiara Lubich: “Quante volte nella vita senti il bisogno che qualcuno ti dia una mano e nello stesso tempo avverti che nessun uomo può risolvere la tua situazione! E’ allora che ti rivolgi inavvertitamente a qualcuno che sa rendere le cose impossibili possibili. Questo Qualcuno ha un nome: è Gesù”. Chi si fida interamente di Dio, lascia che Lui stesso agisca. Al Signore niente è impossibile. Questa giovane donna, dagli occhi dolci e dal sorriso radioso, è gravemente ammalata nel corpo, ma la sua anima è radiosa, colma di quella Fede che Gesù ha chiesto ai suoi discepoli: un atteggiamento di fiducia e abbandono in Lui che permette a Dio stesso di manifestare la sua potenza.

Fonte: InTerris.it

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