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«Grazie Myriam». Letterine dei bambini italiani alla giovane cristiana di Qaraqosh

Eh, sì, Myriam ha fatto breccia in tutti i cuori. Il video con l’intervista che alla piccola profuga cristiana del nord dell’Iraq ha realizzato la tivù Sat-7 Arabic (per la trasmissione Sat-7 Kids) ha spopolato in rete nelle varie versioni sottotitolate nelle varie lingue. Meraviglia e gratitudine sono le reazioni più comuni registrate fra quanti hanno visto il filmato, espresse in centinaia di commenti. Meraviglia per la serenità e la pazienza con cui una ragazzina di 10 anni mostra di affrontare una situazione in cui le è stato portato via quasi tutto, compresa l’amica del cuore. Gratitudine per la testimonianza di fede semplice e cristallina come può essere quella di un bambino, messa alla prova da eventi sui quali non ha nessun potere: allora la debolezza e l’ingenuità di chi rende quella testimonianza si trasformano in forza e profondità negli adulti che la ricevono.

Quello che molti non sanno, e che era difficile da immaginare, è che quell’intervista e quella testimonianza stanno facendo del bene ai nostri ragazzi italiani coetanei di Myriam. Qualche insegnante ha avuto la buona idea di mostrare il filmato di Sat-7 Kids nelle nostre scuole, e i risultati sono stati sorprendenti. La sovrabbondanza di serenità e di coraggio della ragazzina di Qaraqosh ha colmato il deficit di queste stesse qualità che da mesi, nella distrazione di tanti adulti, i pre-adolescenti italiani stanno cercando di comunicare a modo loro. E nel loro caso la gratitudine ha preso la forma di tante letterine indirizzate ai bambini cristiani profughi dell’Iraq.

«È dall’inizio dell’anno scolastico che i ragazzi fanno domande sull’Isis, sui musulmani, sui terroristi», racconta Lorena Volontà, che da quattro anni insegna italiano e storia presso la scuola media paritaria Mons. Manfredini di Varese. «Quando meno te lo aspetti, durante la lettura dell’Iliade o una lezione sul Medio Evo, vengono fuori con domande intorno a quegli argomenti. È chiaro che hanno visto qualcosa in tivù e ascoltato i discorsi in casa. Non gli basta quello che hanno capito e vogliono approfondire. Ma soprattutto vogliono essere rassicurati. Perché hanno paura». Sì, gli 11enni e le 11enni della IC della scuola media Mons. Manfredini di Varese hanno paura, e come coloro chissà quanti altri in giro per l’Italia. I notiziari a base di prigionieri decapitati o bruciati vivi, anche quando non mostrano scene raccapriccianti, non sono fatti per tranquillizzarli. Ad aggravare le loro ansie di bambini provvedono poi le leggende metropolitane, prodotto delle ansie di adulti che dimenticano di essere tali. «Un giorno una delle mie studentesse ha voluto raccontare a tutti i costi la storia che aveva sentito in casa: “Professoressa, un’amica di mia mamma ha detto a mia mamma che una sua amica ha restituito a un arabo il suo portafoglio pieno di soldi che lui aveva perso, e quello per riconoscenza l’ha avvertita: ‘Lei è una persona buona, mi raccomando, non visiti mai l’Expo: succederanno cose molto brutte!’”. Immaginatevi l’agitazione in classe!». Naturalmente i ragazzi sono pieni di fantasia, e per un pericolo a cavallo fra il reale e l’immaginario hanno escogitato una soluzione altrettanto fantastica ma non del tutto campata per aria: «Uno dei ragazzi ha detto: “Professoressa, io so come difendermi: terrò sempre un maiale vicino a me; per loro è un animale impuro, quindi non oseranno avvicinarsi!”. Da lì tutti insieme hanno trovato la soluzione per l’Expo: circondare il suo perimetro di maiali, così i terroristi si terranno alla larga».

«Che i ragazzi vedano nella scuola il luogo dove si può parlare di ciò che li turba e cercare delle soluzioni cercando la guida e la conferma di un adulto, cioè dell’insegnante, è una bella cosa», spiega Lorena. «Ma trovare il modo di aiutarli veramente non è facile. Il video di Myriam è stato provvidenziale. Hanno visto una ragazzina come loro, colpita realmente da ciò che a loro fa tanta paura, cha parlava sorridendo e che diceva di aver perdonato chi le ha fatto del male. La cosa li ha colpiti e li ha anche rassicurati: ci si può trovare in una situazione del genere e reagire con coraggio, senza esser schiacciati dalla paura. In Myram hanno trovato quella rassicurazione che non possiamo dare noi adulti italiani».

Per non perdere il filo Lorena ha proposto ai suoi studenti di scrivere delle lettere ai loro coetanei che da troppi mesi vivono nei centri di raccolta del Kurdistan iracheno dopo essere stati cacciati dalle proprie case dall’Isis. L’adesione è stata unanime. Ne è venuta fuori un’antologia epistolare dominata dall’ammirazione per il coraggio e la capacità di resistere dei giovanissimi cristiani iracheni, dalla volontà di incoraggiarli a continuare a fidarsi di Dio e a non avere paura, ma anche dall’ammissione della propria impotenza di fronte a un’ingiustizia così grande e dal riconoscimento che per dei ragazzi italiani che vivono nella tranquillità della provincia varesina è difficile immaginare i disagi, le sofferenze, le paure di chi è rimasto senza casa e a volte senza amici.

«Io ti stimo tantissimo perché riuscite a resistere e ti auguro tutta la fortuna del mondo, spero che Dio e Gesù ti possano proteggere», scrive Guglielmo. «Se questa lettera arrivasse a Myriam vorrei dirle che è stata fantastica, non ho mai sentito dalle nostre parti una bambina così. Il modo in cui si esprimeva era fantastico, ma non solo perché era brava a parlare, ma anche perché una bambina del genere è da prendere ad esempio», scrive Carola. Il concetto che i bambini cristiani iracheni sono da prendere a modello, anzi da considerare maestri di vita, torna di lettera in lettera. Scrive Giulia: «Siete forti perché anche se costretti ad andare via e scappare, non vi siete arrabbiati con Dio, ma invece avete lottato senza mai perdere la fede e la speranza, io invece non ce l’avrei mai fatta, e forse mi sarei arrabbiata con il mondo ma avrei sbagliato, ma se mi succedesse adesso in questo momento dopo aver visto il video di Sat-7 Kids, di trovarmi nella vostra situazione, non farei come dicevo perché mi avete insegnato ad andare avanti, superando la paura, la tristezza e il male. Io vi stimo e voi, anche se magari della mia stessa età, siete i miei maestri della vita».

Naturalmente nei testi emerge anche il senso di colpa di chi capisce di essere un privilegiato rispetto al suo interlocutore. «Io non posso capire come state, io non posso capire il vostro dolore», sono frasi che tornano di lettera in lettera. Ma c’è anche chi scrive: «Spero un giorno di poter venire nel tuo paese e visitare un campo profughi e almeno capire come vi sentite. Perché io sono convinto che prima o poi qualcuno li fermerà, perché non è giusto che loro non pensano agli altri».

Fonte: Studenti italiani scrivono ai cristiani iracheni | Tempi.it

 

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