In occasione della prossima festa della Regalità di Cristo e nel centenario della Quas primas, un invito a trasmettere la speranza in un “mondo migliore” (Pio XI)
Ogni anno, alla fine del ciclo liturgico, la Chiesa celebra la festa di Cristo Re, istituita proprio cento anni fa, l’11 dicembre 1925, con l’enciclica di Pio XI Quas primas. Nel secolo che ci sta alle spalle sono avvenuti molti eventi di grande importanza, che hanno cambiato le caratteristiche culturali del mondo e degli uomini che si sono succeduti, ma tutto sommato siamo “ancora lì”, verrebbe da dire, quando leggiamo nel testo di Pio XI che la “peste del laicismo” era la tragedia di quel tempo ed è rimasta anche quella del nostro, un secolo dopo.
Ma che cos’è il laicismo e che cosa significa che Cristo è Re, cioè quali caratteristiche ha e dove è il Suo Regno?
Proprio la Quas primas ci ricorda una verità essenziale, che Gesù ha ribadito nei Vangeli di fronte a Pilato che lo interrogava, ovvero che il Suo regno non è di questo mondo: «In varie occasioni, infatti, quando i Giudei e gli stessi Apostoli credevano per errore che il Messia avrebbe reso la libertà al popolo ed avrebbe ripristinato il regno di Israele, egli cercò di togliere e abbattere questa vana attesa e speranza; e così pure quando stava per essere proclamato Re dalla moltitudine che, presa di ammirazione, lo attorniava, Egli rifiutò questo titolo e questo onore, ritirandosi e nascondendosi nella solitudine; finalmente davanti al Preside romano annunciò che il suo Regno “non è di questo mondo”».
Ma allora hanno ragione i laicisti, che non vogliono che Cristo regni? E anche quei cattolici che non vogliono costruire nessuna cristianità, come abbiamo cercato di spiegare settimana scorsa? Che cosa significa che non è di questo mondo? Si tratta di un punto centrale dell’insegnamento cristiano, accanto alla distinzione che sempre i Vangeli fanno a proposito del rapporto fra Cesare e Dio: «date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». Come ben spiega la Quas primas, questo fu un punto centrale dello scontro fra Cristo e quegli ebrei che volevano che il Suo potere e la sua fama servissero alla lotta contro i Romani e all’instaurazione del Regno di Israele, con Gesù alla guida. Secondo una mistica come Maria Valtorta, questo fu il principale motivo del tradimento di Giuda, che voleva che Gesù si mettesse a capo degli israeliti, alla guida del Regno di Israele.
Il tema è di grande importanza e di estrema attualità proprio nella misura in cui se ne parla pochissimo o per niente, anche all’interno del mondo cattolico. Per chi, come Alleanza Cattolica, ha come obiettivo la costruzione di una cristianità, la domanda è ancora più pertinente.
Il laicismo era e rimane la “peste” del mondo moderno. Tuttavia, esso comincia nel cuore degli uomini e lì va soprattutto combattuto. A noi non è dato sapere se, quando e come ci sarà una nuova civiltà cristiana, ma quello che importa è combattere il laicismo dentro ciascuno di noi e nella cultura dominante. Questo significa “convertirsi”, cioè abbandonarsi alla volontà di Dio, che si esprime attraverso la Sua Chiesa e in particolare il Suo Magistero. Questo significa combattere gli errori e il male del nostro tempo, cioè sradicare il laicismo dal nostro cuore, denunciandolo e combattendolo nel pensiero dominante, ricordando che Cristo non è soltanto via e vita, ma anche la verità. E tutto questo va fatto senza cadere nell’errore opposto al laicismo, quel clericalismo denunciato tante volte da Papa Francesco e dai suoi predecessori, ricordando che l’alternativa al laicismo è la consecratio mundi, che peraltro prevede il rispetto dell’autonomia delle realtà temporali, come spiega bene san Paolo VI nel discorso del 23 aprile 1969: «Ed è in questo senso che la Chiesa, e specialmente i Laici cattolici, conferiscono al mondo un nuovo grado di consacrazione, non apportandovi segni specificamente sacri e religiosi (che in certe forme e circostanze vi stanno pur bene), ma coordinandolo, “nell’esercizio dell’apostolato nella fede, nella speranza e nella carità” (Apost. actuos., n. 3), al regno di Dio».
La scuola contro-rivoluzionaria ha portato un contributo importante a questo punto della dottrina cattolica. Il cattolico che ha capito come ci si possa santificare combattendo gli errori laicisti, sa che la santificazione avviene proprio grazie a questo combattimento, prevalentemente spirituale. E’ anche denunciando gli errori e insegnando la verità che si opera per la gloria di Dio. La cristianità possibile non dipende dal nostro sforzo, perché saremmo pelagiani altrimenti, e non è detto che, se anche venisse, sarebbe esente dal male e da errori anche grossolani. Cristo ha soltanto annunciato la salvezza per chi combatterà per Lui e con Lui, indipendentemente dall’esito temporale. La promessa di Maria a Fatima annuncia che sarà concesso al mondo qualche tempo di pace, dopo la conversione della Russia e il trionfo del Suo cuore immacolato, ma non sappiamo come, quando e quanto durerà: «Finalmente il Mio Cuore Immacolato trionferà. Il Santo Padre Mi consacrerà la Russia, che si convertirà, e sarà concesso al mondo qualche tempo di pace». La cristianità del futuro si costruisce ogni giorno, creando ambienti dove vivere integralmente la vita cristiana e soprattutto mantenendo viva nel cuore dei fedeli la speranza anche in un “mondo migliore”, attraverso la diffusione della dottrina sociale della Chiesa, il cui scopo è la costruzione di «una civiltà a misura d’uomo e secondo il piano di Dio» (san Giovanni Paolo II).
E allora cominciamo a onorare Cristo Re guardando dentro noi stessi, con un opportuno esame di coscienza. Cristo è tutto per noi? E’ veramente il Re che ci fa abbandonare le nostre opinioni per assumere quelle della Chiesa, la Chiesa di sempre e di oggi, in continuità, non quella dei nostri desideri? Per coloro che ancora vanno a messa almeno la domenica, Cristo è il criterio delle loro scelte, anche culturali, sociali e politiche, oppure rimane confinato nell’edificio ecclesiastico e in sacrestia?
Sono domande importanti. Il resto verrà, se, quando e come Dio vorrà
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