Sopra La Notizia

“Per non restare a piedi”: svelato il mega-imbroglio dell’auto elettrica (e quanto inquina!)

Nel documentato pamphlet “Per non restare a piedi” Sergio Giraldo spiega la crisi dell’automotive. E svela quello che non ci viene detto dell’auto elettrica

“Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia”.

Così Filippo Tommaso Marinetti nel suo Manifesto del Futurismo, pubblicato in francese su Le Figaro il 20 febbraio 1909 e poi in italiano sulla rivista Poesia. Si noti l’articolo “un” senza apostrofo, prima di “automobile”, a sottolinearne il genere maschile, come rappresentazione di un moderno ideale di bellezza: veloce, esplosivo, aggressivo, ruggente, dunque – nella visione di Marinetti – tipicamente maschile. Con il passare dei decenni, l’auto sarà sempre meno un simbolo rivoluzionario di potenza e di forza, oggi diremmo patriarcale, per trasformarsi in qualcosa di indispensabile, di uso quotidiano, utilizzato dagli uomini come dalle donne.

Poco più di mezzo secolo dopo l’altisonante proclama marinettiano Marshall McLuhan, nel suo fondamentale saggio Gli strumenti del comunicare del 1964, scrive infatti che “l’automobile è diventata un articolo di vestiario senza il quale ci sentiamo nudi, incerti, incompleti”.

Il sociologo e filosofo canadese aveva colto una peculiarità essenziale del mezzo a quattro ruote, finalizzato al trasporto di persone e cose e che ci porta comodamente ovunque: incarnare appunto una nostra propaggine, un prolungamento della nostra personalità, che scegliamo in base ai nostri gusti ed è una presenza significativa nelle nostre giornate, insostituibile per il lavoro e per le necessità familiari.

Ma c’è un aspetto ancor più decisivo che caratterizza – o almeno ha caratterizzato finora – l’automobile: essere non un oggetto qualsiasi, ma “il veicolo sul quale viaggia una buona parte della nostra libertà”. Ma sarà così anche in futuro? Potremo scegliere l’auto che vogliamo in base alle nostre esigenze e al nostro portafoglio?

Oppure, se ci viene imposta l’auto elettrica come l’unica che può circolare – in base al regolamento adottato dall’Unione Europea nel 2023 – non potendoci permettere questo “costoso giocattolo” e per i suoi limiti oggettivi, resteremo… a piedi?

Per non restare a piedi (Il Timone, 2025), è proprio l’efficace titolo dell’agile saggio di Sergio Giraldo che ci racconta in modo chiaro e documentato “quello che non vi dicono sull’auto elettrica e la crisi dell’automotive”.

Lo stesso editore, a conferma di una particolare attenzione per questa tematica di stringente attualità, aveva già pubblicato Per non morire al verde di Fabio Dragoni, sulle incongruenze e le contraddizioni dell’ecologismo ideologico, demolendo il mito dell’auto elettrica come toccasana di tutti i mali. In realtà non è affatto amica dell’ambiente, anzi. Per fare un esempio, una batteria Tesla (una sola!) ancor prima di arrivare sul mercato ha già immesso nell’atmosfera 17,5 tonnellate di ossido di carbonio per essere prodotta, pari a ben otto anni di emissioni di un’auto circolante con motore termico (a benzina o diesel).

Giraldo amplia la riflessione dando risposta a tanti interrogativi: da dove arriva l’auto elettrica? chi ha spinto per volerla imporre in Europa e quali sono i reali interessi in gioco? quali cambiamenti porterà e a quale prezzo?

La prima cosa da sapere è che la gigantesca operazione di rottamazione forzata delle macchine a combustione interna che si profila all’orizzonte non ha avuto origine dalla nobile intenzione di “salvare il pianeta”, ma è stata determinata dalla crisi dell’industria automobilistica tedesca nel biennio 2015-2016 che l’ha portata tra le braccia della Cina, pensando così di recuperare il primato perduto.

Pura illusione. A distanza di un decennio la Germania fa retromarcia: s’è accorta di aver fatto male i conti, favorendo i produttori cinesi, che ora dispongono di un enorme vantaggio, forse incolmabile, rispetto ai costruttori occidentali. “Nel frattempo”, osserva l’autore, “il generalizzato aumento dei prezzi delle automobili ha ristretto molto il mercato potenziale di questo prodotto, rendendolo appetibile solo per un segmento di clientela medio-alto”. E non si potrà certo continuare ad affidarsi ai bonus, ai sussidi pubblici che “pesano sulle esauste casse dello Stato”. Non sarà facile insomma ampliare il target, come auspicano i paladini della svolta green.

Così l’auto elettrica (malgrado gli incentivi) è destinata a rimanere un lusso per i ricchi, al punto che dovremo scordarci la mobilità privata come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi. Non più aperta a tutti, ma circoscritta a un’élite.

E vengono in mente le parole di Lev Trockij nel saggio del 1936 La rivoluzione tradita, quando afferma: “Nella società barbara, il pedone e il cavaliere erano due classi distinte. L’automobile non differenzia la società meno del cavallo da sella”. Torneremo all’auto come status symbol dei pochi che se la potranno permettere?

Giraldo non manca di mostrarsi preoccupato anche per la connessione alle reti, cioè la dipendenza nel futuro non solo dalla rete elettrica, ma pure dalla rete Internet. Ormai le auto sono vendute “con un apparato informatico estesissimo, che sta diventando il vero fattore distintivo del prodotto” e che tanto piace agli utenti. Ma attenzione. “Questa larga profusione di software lascia aperta una marea di enormi problemi non solo sulla privacy”.

E sorgono altre domande inquietanti. Chi può fare che cosa, da remoto, sulle nuove auto elettriche? chi vede gli spostamenti di ciascuno, e che uso viene fatto dei dati raccolti? esiste un dispositivo che, se attivato da remoto, per fare un esempio, impedisce all’auto di avviarsi? da remoto si può influire sullo stile di guida?

Nel passaggio dal motore meccanico  a quello comandato dall’elettronica connesso alla rete ci sono quindi rischi che non si possono ignorare, ma soprattutto è giusto ricordare che “il progresso non è tutto”, perché “prima del progresso c’è l’uomo” e “non è progresso qualcosa che impoverisce l’esperienza umana”.

Fonte: Vincenzo Sansonetti |  IlSussidiario.net

Newsletter

Ogni giorno riceverai i nuovi articoli del nostro sito comodamente sulla tua posta elettronica.

Contatti

Sopra la Notizia

Tele Liguria Sud

Piazzale Giovanni XXIII
19121 La Spezia
info@sopralanotizia.it

Powered by


EL Informatica & Multimedia