Il rapporto tra politica e santità è stato discusso lungo tutta la storia, forse più da filosofi e da teologi che non da politici. Ma la riflessione sulle virtù morali del politico è sempre stata centrale nell’analisi della politica come scienza e come prassi. L’espressione «la politica è la forma più alta di carità» viene attribuita a Paolo VI, e ripresa da Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco, ma in realtà sembra proprio che il primo ad averla utilizzata sia stato Pio XI e che via via abbia preso forza nella dottrina sociale della Chiesa.
Non a caso il legame tra politica e santità oggi si traduce in: lotta alla corruzione, difesa della dignità umana, promozione della pace e dell’ecologia integrale, di cui l’ecologia umana è parte integrante, per giungere a scelte concrete di giustizia sociale. La Carità è intesa come amore che diventa servizio verso gli altri. Non si tratta di un approccio speculativo ma di un servizio concreto vissuto con costanza e con coerenza. Fatti e non solo parole.
Normalmente pensiamo alla carità come atto personale: aiutare un povero, visitare un malato, sostenere chi soffre, secondo una falsariga che include tutte le opere di misericordia, materiali e spirituali, presenti nel vangelo e nella sua tradizione. Ma la carità, nel senso politico e cristiano, non è solo sentimento o gesto individuale: è un impegno rigoroso, frutto di uno studio attento alla complessità dei problemi e tradotto in una serie di norme e principi che ne consentano l’applicazione su larga scala. Ossia è una forma di amore concreto verso gli altri che cerca il bene comune. La politica, nel suo significato più alto, non è lotta per il potere o interesse di parte, ma arte di costruire la società secondo giustizia e pace. Non si occupa solo del singolo, ma di tutti, e in particolare dei più deboli.
Non c’è dubbio sul fatto che Carlo Casini sarà ricordato nei secoli a venire come un grande apostolo che ha speso la sua vita intera a servizio della vita, soprattutto della vita nascente e la sua battaglia contro l’aborto ne è una conferma. Una battaglia intensa, durata decenni, in Italia e in Europa, con fatti concreti, con iniziative di legge, compresi i referendum, solo apparentemente persi. Ma anche, e soprattutto, con gesti ancor più concreti di servizio attraverso i molteplici Centri di Aiuto alla vita, che hanno permesso a oltre 60.000 bambini di nascere e di avere un’accoglienza profondamente umana e dignitosa.
Proprio la chiarezza del suo messaggio e la sua popolarità sono stati occasione di incontri non sempre facili. Ricordo una volta sul sagrato di San Pietro, mentre attendevamo che iniziasse la Santa Messa celebrata da Giovanni Paolo II, una donna gli si avvicinò e con accenti aspri gli chiese conto della sua durezza nei confronti delle donne che avevano abortito. Rimproverandogli di parlare di cose che non conosceva, delle difficoltà in cui molte donne si imbattevano, e in buona sostanza dicendogli che il suo atteggiamento non era certamente ispirato né alla carità né alla misericordia. Io ascoltavo accanto a lui, sorpresa e a disagio, anche perché non sapevo cosa fare né come intervenire, divisa tra la pietà per quella donna e per tutte le donne che lei descriveva come vittime innocenti di una esperienza dolorosissima. Ma nello stesso tempo, altrettanto convinta, che l’aborto fosse una drammatica piaga della nostra società di allora e di oggi. Carlo seppe rivolgersi alla donna, facendo suo il dolore di tutte le donne che per le ragioni più diverse nella loro vita avevano fatto esperienza dell’aborto, ma nello stesso tempo ricordando tutte le vite umane innocenti che non avevano potuto godere del dono della vita, il più grande dei doni possibili e il primo dei diritti dell’uomo. La conversazione tra quella donna e Carlo, passo dopo passo, si stava svolgendo lungo il binario di una reciproca comprensione, in cui nessuno condannava l’altro. Carlo non condannava nessuna donna, anzi si schierava al loro fianco, ma contestualmente rivendica il diritto a nascere per tutti quei bambini. Figli li chiamava, e non feti o embrioni. Insisteva dicendo che erano bambini con una madre e un padre e che almeno la loro madre avrebbe dovuto prendersi cura di loro, proprio perché non c’era nessuno altro che avrebbe potuto farlo. La donna a un certo punto cominciò a piangere, passando da una descrizione generale, anche se non generica della sofferenza delle donne, al suo personalissimo dolore per il figlio perduto con l’aborto e mentre Carlo la incoraggiava a schierarsi dalla parte della vita, accettando di collaborare con molte altre madri in difficoltà, lei si impegnò a contattare il Centro di Aiuto alla Vita più vicino, anche in memoria del figlio perduto. Un piccolo miracolo di conversione e di impegno di servizio a favore della vita nascente. La mitezza di Carlo, insieme alla sua capacità di comprensione e di persuasione, mi lasciò meravigliata e commossa.
Un atteggiamento profondamente diverso da quello tenuto da Carlo in occasione di una riunione di lavoro in cui si discuteva di principi, di norme e di decisioni da assumere in occasione del Referendum per la procreazione medicalmente assistita. In quel caso la stringatezza dei giudizi, unita alla loro chiarezza ineccepibile, lasciava molto chiaro come sull’embrione non si potessero fare sperimentazioni di sorta, dal momento che si trattava in ogni caso di un soggetto, che se lasciato al suo destino, era destinato a divenire uomo. Neppure l’amore per la scienza poteva giustificare una qualsiasi forma di manipolazione e lo stesso congelamento a tempo indeterminato di embrioni creati in eccesso era un vulnus che si sarebbe dovuto evitare a tutti i costi. Il vincolo dei tre embrioni era dettato dalle leggi della natura, perché una donna non avrebbe potuto condurre una gravidanza con più di tre potenziali figli.
La sua durezza di giudizio anche in merito al cosiddetto utero in affitto non lasciava equivoci né ambiguità su ciò che fosse bene e ciò che non lo era. La sua comprensione raggiungeva le persone nella complessità delle loro storie, ma non intaccava in nessun modo i principi in gioco. «Non c’è carità senza verità» era una delle sue espressioni preferite, quando si lavorava insieme su temi eticamente sensibili, tanto sensibili da occupare la sottile linea di frontiera tra la vita e la morte.
Pur partendo sempre dalla famosa espressione «la politica è la più alta forma di carità» Carlo riusciva a spiegare con chiarezza come la carità personale quando aiuta il singolo compie un atto di misericordia diretto. Ma la politica, se è animata dall’amore cura le strutture della società attraverso leggi, istituzioni, diritti, condizioni di vita. In questo modo previene le ingiustizie e promuove il bene di milioni di persone contemporaneamente. Perciò è detta la forma più alta: perché è carità “sociale”, che si occupa del bene comune e non solo di bisogni immediati.
Naturalmente non basta “fare politica” per fare carità. Se la politica diventa ricerca di potere, corruzione o ideologia, tradisce la carità. Perché sia davvero carità deve essere vissuta come servizio disinteressato, guidato dalla giustizia e dalla dignità della persona.
La politica, in senso nobile, è l’arte di organizzare la convivenza umana orientandola al bene comune. Se intesa così, non è in contrasto con la santità: anzi, può diventare un campo privilegiato per viverla, perché mira al servizio degli altri, soprattutto dei più deboli. Il rischio è che la politica diventi gestione del potere fine a sé stessa, ricerca di interessi personali o di gruppo. In questo caso si allontana dalla logica evangelica del servizio e si pone in contrasto con la santità, che è dono di sé. Il potere può corrompere, se non è custodito da un forte senso etico e spirituale.
Non a caso Carlo Casini non ha mai occupato ruoli di governo nei suoi lunghi anni di impegno parlamentare, preferendo il lavoro più umile, collegiale, di ricerca del consenso dei colleghi per realizzare iniziative legislative che per essere realizzate meritavano una adesione personale attraverso il voto. Un voto che andava cercato spiegando, convincendo, motivando altri colleghi ad aderire a principi e valori anche diversi da quelli del proprio gruppo di appartenenza.
Politica e santità non coincidono mai perfettamente: la prima richiede compromessi, mediazioni, scelte concrete tra alternative imperfette; la seconda tende all’assoluto, alla purezza del cuore. Per questo spesso sembra che i due mondi siano inconciliabili. Ma un cristiano come Carlo Casini ha visto entrambi come due vie che si integrano: la santità purifica la politica, la politica offre alla santità un terreno concreto di servizio. In sintesi: la santità del politico è possibile, ma richiede grande vigilanza interiore, un profondo radicamento spirituale e la capacità di non lasciarsi assorbire totalmente dalla logica del potere.
Carlo Casini in Occidente, Shahbaz Bhatti in Oriente, sono due profeti, due padri di un nuovo grande sogno di pace e di sviluppo, che investe il mondo intero, a cominciare dai più piccoli: addirittura coloro che non sono ancora nati, ai più fragili, coloro che non hanno neppure il diritto di professare la loro fede.
C’è un nuovo orizzonte culturale di cui il mondo ha bisogno e di questo orizzonte i santi sono i testimoni più autorevoli e credibili, perché hanno messo la loro vita al servizio dell’umanità. Per Carlo con una grave malattia che ne ha minato la forte fibra di combattente per la vita e per Shahbaz Bhatti il dono di sé ha tutte le caratteristiche del martirio.
La nostra società oggi ha più bisogno che mai di loro per dare vita ad un nuovo inizio nel corso degli eventi storici. Se vogliamo ricominciare a sperare nella pace, come è accaduto 80 anni fa, dopo la seconda guerra mondiale, servono profeti che declinino parole diverse da quelle che urla la nuova terza guerra mondiale, ancorché sia a pezzi!
Carlo Casini (1935-2020) è stato: magistrato, politico (parlamentare europeo e italiano), soprattutto fondatore e presidente del Movimento per la Vita in Italia, ha dedicato la sua vita alla difesa della dignità umana e dei più deboli, in particolare dei bambini non nati. È ricordato come uomo di profonda fede, laico impegnato, con un forte spirito di servizio. Molti lo descrivono come mite, coerente, gioioso e totalmente donato alla sua missione. Si può dire che Carlo Casini abbia vissuto una santità quotidiana, come laico che ha messo fede e politica al servizio del bene comune. Carlo Casini non è ancora ufficialmente un santo della Chiesa, ma per molti che l’hanno conosciuto, o che hanno visto la sua testimonianza, egli può essere considerato un uomo santo nella vita e nelle opere, un modello di coerenza tra fede e impegno politico.
Shahbaz Bhatti, nato nel 1968 in Pakistan, laico cattolico, fu politico e ministro per le Minoranze. Ha difeso con coraggio la libertà religiosa e i diritti delle minoranze cristiane e non solo. Assassinato nel 2011 da estremisti islamici, proprio a causa della sua testimonianza pubblica e della sua difesa dei cristiani perseguitati, poco prima di morire aveva dichiarato di essere pronto a dare la vita per Cristo e per la giustizia. Molti lo hanno considerato martire della fede e nel 2016 la Chiesa cattolica in Pakistan ha avviato la sua causa di beatificazione, riconoscendo in lui un testimone del Vangelo fino al dono della vita. Dunque: non è ancora santo proclamato, ma è Servo di Dio, il primo titolo nel processo di canonizzazione. Anche senza il riconoscimento ufficiale, la sua vita e la sua morte hanno la forza di una testimonianza evangelica. È un esempio di come la politica, vissuta come servizio e in difesa dei più deboli, possa diventare un cammino di santità fino al martirio. Per la Chiesa e per molti cristiani nel mondo, la sua vita è già segno luminoso di santità.
Abbiamo bisogno che si ripeta il miracolo di 80 anni fa, grazie a Carlo e a Shahbaz Bhatti
Con Carlo Casini e Shahbaz Bhatti può profilarsi all’Orizzonte un diverso modo di fare politica, un modo che unisce Occidente e Oriente in un grande sogno di Pace, la speranza che tutti sogniamo e desideriamo in questo anno giubilare della Speranza, ricordando ciò che avvenne 80 anni fa quando una Europa dilaniata dalla guerra fu capace di dare vita all’Europa unita. È considerato il miracolo dei tre padri dell’Europa, per ognuno di loro c’è la speranza di esser dichiarati santi, ma c’è anche la certezza che tali furono nei fatti e nella loro testimonianza di fede, scevra da conflitti di interesse e da ambizioni di potere. In un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo vale la pena ricordare i padri fondatori dell’Europa, Schuman, Adenauer e De Gasperi. Un francese, un tedesco, un italiano. Tre uomini che hanno vissuto sulla propria pelle gli orrori della guerra, tre perseguitati dal nazifascismo, tre statisti. Tre cristiani.
Riassumere in poche righe le loro biografie sarebbe una impresa ardua e poco esaustiva. La grandezza delle loro storie nella Storia è davvero ampia e si correrebbe il rischio di omettere importanti passaggi. Viviamo, allora, per un attimo i loro pensieri sull’Europa attraverso le loro parole, colpi di scalpello che hanno scritto le prime pagine del “libro europeo”. «La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano. Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche» Schuman iniz:ia così la sua Dichiarazione del 1950. Parla di creatività, di civiltà e pace: è l’intento della nuova formazione fra gli Stati. Catapultato in quel momento storico così particolare, una visione del genere ha certamente del “visionario”, del “coraggioso”. In un discorso del 20 luglio 1952 Adenauer, cancelliere della Germania Occidentale dal 1949 al 1963, affermò: «Uno dei principi fondamentali del Cristianesimo è l’amore del prossimo e il rispetto del prossimo. Ora, questo principio non vale soltanto per l’individuo, ma anche per l’atteggiamento dei popoli gli uni nei confronti degli altri». L’impatto degli “ideali cristiani” sulla politica e sulla futura forma politica dell’Europa sembra più che chiaro.
Ma c’è un altro discorso che ben delinea la visione europea del leader tedesco. Era il 1950, quando pronunciava: «Stiamo vivendo in un tale periodo: in questo periodo si deciderà, se si salveranno per l’umanità la libertà, la dignità umana, il pensiero cristiano-occidentale, o se lo spirito delle tenebre e della schiavitù, questo spirito anti-cristiano, sventolerà la frusta sopra l’umanità che sta indifesa a terra. Credetemi, amici, non esagero: le parole sono troppo deboli per riportare ciò che minaccia i popoli liberi». Sono parole che potrebbero essere state scritte ieri. La grandezza, in fondo, di uno statista è racchiusa nel suo messaggio “profetico”: Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio nell’Italia post-bellica affermava. «Io affermo che all’origine di questa civiltà europea si trova il cristianesimo, non intendo con ciò introdurre alcun criterio confessionale esclusivo nell’apprezzamento della nostra storia. Soltanto voglio parlare del retaggio europeo comune, di quella morale unitaria che esalta la figura e la responsabilità della persona umana col suo fermento di fraternità evangelica, col suo colto del diritto ereditato degli antichi, col suo culto della bellezza affinatesi attraverso i secoli, con la sua volontà di verità e di giustizia acuita da un’esperienza millenaria».
In altri termini l’Europa come l’abbiamo conosciuta e vissuta in questi 80 anni di pace è figlia di una visone cristiana della storia e si è andata affermando grazie alla testimonianza dei suoi padri, anche se recentemente quella forza propulsiva è venuta meno e stiamo assistendo ad una secolarizzazione che inaridisce valori e principi: l’Europa di oggi non è più l’Europa dei Padri, anche se figure come quella di Carlo Casini hanno fatto di tutto per restituirle lo splendore di una testimonianza a tutela del diritto alla vita.
Guardando il mondo che ci circonda, con i suoi drammi e le sue sofferenze, potremmo dire che queste crisi sono crisi di santi: abbiamo bisogno di santi, o per lo meno di persone che aspirano alla santità, per restituire un sano ordine nelle cose da oriente ad occidente; senza pace non potrà mai esserci l’ordine necessario a garantire ad ogni uomo la sua libertà e il suo diritto alla vita.