I dati sulla natalità in Italia restano negativi e rischiano di cambiare per sempre il volto del Paese. Va invertito il trend
Arrivano nuovi dati negativi sul fronte della natalità in Italia. L’Istat ieri ha fatto sapere che nel 2024 ci sono state 369.444 nascite, quasi 10.000 in meno rispetto al 2023 (-2,6%). E nei primi sette mesi del 2025 sono state circa 13.000 in meno rispetto al medesimo periodo del 2024 (-6,3%). Guardando allo scorso anno, a colpire è il calo più intenso che nelle altre aree del Paese del Mezzogiorno sia per quanto riguarda i primi figli (-4,3%) che quelli successivi (-4,3%). Variazioni positive nelle nascite si sono registrate solamente in Val d’Aosta (+5,5%) e nelle Province Autonome di Bolzano (+1,9%) e Trento (+0,6%).
Secondo Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, si tratta di «dati veramente preoccupanti, siamo di fronte ormai a un collasso demografico che avrà degli impatti molto seri sulla struttura sociale ed economica del nostro Paese. Si sta consolidando una tendenza che cambierà volto all’Italia. È incredibile la mancanza di attenzione del mondo politico a questa situazione».
Lei dice che non c’è attenzione del mondo politico, eppure da quando il Governo Meloni è in carica ha cercato di introdurre dei provvedimenti proprio per incentivare la natalità…
Questo Governo ha fatto passi nella giusta direzione, perché questa dinamica non è sanabile con una politica economica più attenta ai livelli di reddito più bassi. Il punto è che manca il riconoscimento di quello che è un problema nazionale, che deve essere quindi affrontato al di là delle divisioni partitiche, con un’attenzione in tutti i mesi dell’anno e non solo nel quando si tratta di varare la Legge di bilancio o di commentare i dati demografici. Ci sono obiettivi che al di là delle posizioni politiche vengono perseguiti da tutti, ma la natalità oggi non è lo è nel nostro Paese.
Esistono casi demografici in cui si è invertito un trend del genere?
Sì, la Svezia ha avuto negli anni ’70/80 un calo demografico accentuato, c’è stata una presa di consapevolezza di tutto il mondo politico del problema e sono stati varati provvedimenti, a partire da quelli economici, che hanno consentito un miglioramento della situazione. Se, invece, non vogliamo andare lontano, abbiamo esempi in casa di una situazione nettamente migliore, come in Trentino-Alto Adige.
Gli interventi da mettere in campo potrebbero essere tanti. Secondo lei, su quali bisognerebbe principalmente puntare?
Partiamo da una premessa: parlando di natalità, l’elemento centrale è la famiglia, quindi occorrono politiche centrate sulla famiglia e un clima sociale a essa favorevole. Quindi, giusto per stare sul dibattito relativo alla manovra, oggi si sta parlando di misure sulle persone, ma l’attore centrale è e dovrebbe essere la famiglia. Detto questo, anzitutto servirebbero politiche che aiutino le famiglie sul fronte della casa.
Ci spieghi meglio.
Sembrano lontani i tempi in cui con il reddito di uno dei due coniugi si poteva far fronte ad affitto o mutuo e spese per la casa, mentre con l’altro si potevano affrontare le altre spese, comprese quelle per i figli. Oggi in una famiglia è difficile far quadrare i conti con due redditi e una delle voci di spesa principali riguarda l’abitazione. C’è poi un’altra tipologia di intervento che sarebbe importante.
Quale?
Se prima abbiamo parlato dello “spazio”, la casa della giusta grandezza per avere dei figli, c’è anche una questione di “tempo”. Servono servizi per famiglia, non solo gli asili nido per i bambini, ma anche per la cura dei genitori dei genitori, visto il continuo invecchiamento demografico, che consentano di poter avere il giusto tempo che la vita familiare richiede. Questo tema riguarda anche i trasporti. Se, per esempio, ci sono nonni che non abitano lontano e sono disponibili ad aiutare i nipoti, devono essere anche logisticamente in grado di poterlo fare. Bisogna togliere dei vincoli che oggi limitano la vita della famiglia.
Pensa occorra anche un altro tipo di intervento?
Sì, bisogna fare in modo che i giovani non siano più costretti a emigrare per avere condizioni lavorative e reddituali migliori, perché difficilmente poi torneranno in Italia. Occorre evitare che la popolazione attiva, che è poi quella chiamata a formare nuove famiglie, si trasferisca in un altro Paese. Ovviamente sarebbe utile anche cercare di favorire il rientro di quei giovani italiani che sono emigrati negli anni scorsi.
Fonte: Lorenzo Torrisi | IlSussidiario.net