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Economia francescana: un modello socio-economico che parla al cuore

In questi ultimi anni si è parlato molto, più che in passato, di “economia francescana”, iniziando dal primo maggio 2019 quando Papa Francesco, tramite una lettera pubblica, invitava ad Assisi i giovani economisti, imprenditori e imprenditrici di tutto il mondo “a fare un patto per cambiare l’attuale economia e darle “un’anima per il futuro”, perché “dalla scelta di povertà di Francesco scaturì anche una visione dell’economi che resta attualissima”. Il nome dell’evento – Economy of Francesco – risponde alla necessità di impegnarsi “nella costruzione di una nuova società”, dove, in “comunione di intenti” e “uniti da un’ideale di fraternità, al di là delle differenze di credo e di nazionalità”, si coltivi “il sogno di un nuovo umanesimo rispondente alle attese dell’uomo e al disegno di Dio”. All’evento Economy of Francesco”, si sono aggiunti sei ottavi centenari, che scandiscono dal 2019 al 2026 il cammino spirituale e di approfondimento del carisma di San Francesco da parte dell’insieme della famiglia francescana, indicando le seguenti tappe.

  • 1219-2019: ottavo centenario dell’incontro di Francesco con il Sultano dell’Egitto Al-Malik Al-Kamel.
  • 1221-2021: ottavo centenario della Regola non bollata (Capitolo alla Porziuncola).
  • 1223-2023: ottavo centenario della Regola bollata (Fonte Colombo) e del Natale (primo presepe di Greccio).
  • 1224-2024: ottavo centenario dell’impressione delle Stimmate, sul monte della Verna.
  • 1225-2025: ottavo centenario del Cantico delle creature.
  • 1226-2026: ottavo centenario della Morte di Francesco, avvenuta la sera del 3 ottobre 1226 ad Assisi.

Poiché non si tratta solo di economia, ma di una visione del mondo, di un modo di vivere, di pensare, di relazionarsi, non si può esporre in poche righe. Per questo proponiamo ai lettori, una struttura narrativa non consueta, cioè a ritroso, che parte da un’immagine concreta e familiare per il pubblico e risale alle radici francescane. Questo approccio ha lo scopo di creare una connessione immediata e aperta alla profondità storica.

L’allegoria del “Buon Governo” di Ambrogio Lorenzetti (1338-39)

L’affresco allegorico del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti, nel Palazzo Pubblico Comunale di Siena, se guardato oggi, sembra parlare direttamente a noi. San Bernardino da Siena, grande umanista e grande predicatore francescano (1380 – 1444, lo citava spesso nelle sue prediche. Perché? Anzitutto, perché c’è contenuto parte del pensiero della Scuola francescana a partire da san Francesco e dal “Cantico delle creature”. Inoltre, perché in più occasioni, fra il 1425 e il 1427, il papa Martino V invitò Bernardino a predicare a Siena, città che stava vivendo un momento difficile a causa di corruzione, carestie e inimicizie fra famiglie, fra Guelfi e Ghibellini. Infine, perché partendo dalle cose “de pace e de guerra”, fa da guida all’interpretazione del dipinto per quei senesi e forestieri che fossero saliti a vederli nel Palazzo Pubblico Comunale, che fa da sfondo alla sua espressiva predicazione: “Ella è tanto utile cosa questa pace! Ella è tanto dolce cosa pur questa parola pace che dà una dolcezza a le labra! Guarda el suo opposito, a dire guerra! È una cosa ruida tanto, che dà una rustichezza tanto grande, che fa inasprire la bocca. Doh, voi l’avete dipenta di sopra nel vostro Palazzo, che a vedere la Pace dipenta è un’allegrezza. E così è una scurità a vedere dipenta la Guerra dall’altro lato” (Antologia delle prediche volgari, a cura di F. Felice e M, Fochesato, con postfazione di O. Bazzichi, Cantagalli, Siena 2010).

Chi lesse nel modo corretto e parenetico-sociale il famoso affresco fu senza dubbio il Santo senese soprattutto nella lunga predica del primo settembre 1427, in piazza al Campo. Il discorso sulle qualità dell’uomo politico e di governo della predica è rivolto sia ai Priori della Signoria, sia al popolo, che nella Repubblica senese avevano bisogno entrambi di conoscere diritti e doveri.

In alto dell’affresco, si trova una figura di donna incoronata, che rappresenta la Sapienza divina. Nella mano destra tiene una bilancia, con i due piatti in perfetto equilibrio, sui quali due angeli amministrano i due rami della giustizia secondo la tradizione aristotelica: la giustizia commutativa e quella distributiva. La bilancia è amministrata da un’altra bellissima donna, la Giustizia, sul cui capo si legge la scritta: Diligite justitiam, qui judicatis terram (amate la giustizia voi che governate la terra). Dai due angeli partono due corde che si riuniscono per mano di un’altra bellissima donna, la Concordia, diretta conseguenza della Giustizia e seduta anch’essa su una sedia e con in grembo una pialla, simbolo di uguaglianza e livellatrice dei contrasti. La corda è tenuta in pugno da 24 cittadini allineati a fianco della Concordia e simboleggianti la comunità di Siena in tutte le sue espressioni sociali e professionali (amministratori, artigiani, operai, mercanti, ecclesiastici, Compagnie, Misericordie, Associazioni di volontariato, ecc.). Al termine del corteo c’è un vegliardo che siede sul trono: nella mano destra porta il comune di Siena, attorniato da quattro donne, che rappresentano le quattro virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza) e sul capo altre tre figure tradizionali di donne, che rappresentano le virtù teologali (fede, speranza e carità). La corda simboleggia l’unione tra la Sapienza, la Giustizia, la Concordia e il governo del comune, che esercita il potere ispirandosi alle virtù teologali e praticando le virtù cardinali.

Ma qual era l’obiettivo politico del Governo dei Nove quando affidarono ad Ambrogio l’incarico dell’affresco della Sala della Pace? Ai Nove stava a cuore mostrare ai cittadini che l’unica conduzione buona e possibile era la loro e prospettare visivamente e in modo assai icastico cosa sarebbe successo se tale conduzione fosse venuta a mancare. Vollero che fosse dipinta una Siena solare, prospera, armoniosa, negli Effetti del Buon Governo in città e in campagna; Siena e la campagna devastata e distrutta se fosse passata in altre mani, forse in balia della Tirannide.

Per il predicatore francescano, invece, il frutto del buon governo non può essere che la pace, e così ne diffonde e ne illustra i vantaggi. Predica la pace, facendo proprio riferimento all’affresco del Lorenzetti sul “Buon governo”, sostenendo che “in tempo di pace tutte le cose sembrano gridare la gioia. Le sementi sono confidate alla terra e le spighe maturano fino al momento del raccolto, le vigne fioriscono (…) Le arti abbelliscono la città e il pastore senza preoccupazione suona il suo strumento conducendo ai pascoli le sue pecore e i suoi buoi”. Questa pace però ha il suo solido fondamento nella carità, senza la carità non può esserci pace vera, e l’illusione della pace senza la carità finisce in un immane tragedia. Questa carità è, nel pensiero di Bernardino, la sola soluzione alla questione sociale: “È necessario che vi parli delle bestemmie dei poveri, allorché (…) essi vedono i loro figli torturati per il freddo, la fame, la sete e ciò per la crudele empietà e la dura mancanza di compassione di questi insensati? Apri le tue orecchie, o donna vestita di un abito con strascico, ascolta con attenzione, o spirito duro, sii attenta e considera, o anima sorda, e tu intenderai le voci di coloro che si lamentano e gridano vendetta al loro Dio”.

Il dipinto ha avuto tanta risonanza, anche nel’ambito della dottrina sociale per l’equilibrio e forse la compenetrazione tra credibilità e modello. La Siena del Trecento lievita a spazio di relazioni urbane che acquistano un respiro universale, non sono prigioniere di un’effimera ideologia, ma di una reale idealità, che sotto l’immagine, svela quella francescana del Bonum commune: di Bonaventura, che ci insegna a distinguere tra ciò che è necessario e ciò che è superfluo, invitandoci a pensare in modo “circolare”, dove ogni persona, ogni istituzione, deve sostenere l’altra; di Pietro di Giovanni Olivi, che parla di giusto prezzo delle cose, di valore del lavoro, di capitale come bene comune; di Giovanni Duns Scoto, che ci ricorda che il valore economico d’uso delle cose – a differenza di quello di scambio dell’economia classica – dipende dall’uso che ne facciamo, come il pane, rispetto al topo o alla pulce, che, pur essendo più nobili perché hanno la vita, economicamente valgono meno, in quanto il pane assicura il nutrimento della vita; aggiungendo, inoltre, che l’imprenditore, producendo e scambiando responsabilmente beni e servizi, svolge un’attività utile alla società.

Non siamo in presenza soltanto all’arte, ma ha un messaggio forte, ad una visione sociale e spirituale, al cuore del pensiero francescano: un’economia che nasce dalla fraternità, dalla reciprocità, dalla sobrietà, dalla giustizia. La corda che lega governo e cittadini. A Siena c’è un dettaglio bellissimo: si nota come ci sia una corda scolpita che collega la Cattedrale (la dottrina) al Palazzo Comunale (il governo). È un simbolo potente. Dice che il sacro e il civile non sono separati. Che la fede deve dialogare con la società. Che la spiritualità deve ispirare anche l’economia.

Fonte: Oreste Bazzichi | InTerris.it

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