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FINE VITA/ Il parlamento non ceda a Cappato e aiuti la speranza concreta delle cure palliative

Il primo suicidio assistito in Toscana mette in luce una strada da seguire con urgenza: contro il diritto a morire c’è la speranza delle cure palliative

Ogni persona merita sempre il massimo rispetto, in ogni circostanza della sua vita, soprattutto quando la sua condizione appare più fragile, come se fosse schiacciata da un peso divenuto insopportabile. Ma il rispetto, pur essendo una condizione essenziale, non è sufficiente a caratterizzare una relazione pienamente umana, se non si offre proprio a chi soffre il calore di una amicizia sincera e di un accompagnamento pieno di sollecitudine e di condivisione.

A chi desidera morire, spaventato dal dolore e dalla sofferenza, impaurito dalla solitudine e dalla consapevolezza di rappresentare un peso per gli altri, occorre dare qualcosa di più di un libretto di istruzioni sul come fare, sul piano pratico e burocratico. Qualcosa che vada oltre una consulenza tecnica che spiani la strada davanti a possibili ripensamenti, accelerando tempi e rimuovendo ostacoli.

Certamente nessuno può ergersi a giudice di scelte personalissime, anche quando le proprie posizioni appaiono distanti o addirittura divergenti. Ma non ci si può esimere dal riflettere seriamente sul senso che la vita e la morte, la malattia, hanno per ognuno di noi. Non solo la nostra vita e la nostra malattia, ma anche la vita degli altri, a cominciare da quella di amici e familiari.

Esiste un vincolo di solidarietà, di aiuto reciproco davanti al quale non ci si può sottrarre, indipendentemente dal ruolo che siamo chiamati a svolgere. Nessun uomo è un’isola e nessuno può essere lasciato solo. C’è un’etica del dolore, proprio e altrui, che si comprende e si sviluppa solo in un clima di reciprocità che rende più facile fare fronte alle difficoltà.

L’Associazione Coscioni

Daniele Pieroni, scrittore di 64 anni, è stato il primo ad applicare e applicarsi la legge toscana sul suicidio assistito. La legge era stata approvata l’11 febbraio 2025 e lui è morto il 17 maggio 2025. Una tempistica perfetta per i burocrati della legge: mai finora si erano dati tempi più brevi sia per l’applicazione della norma, sia per il tempo che intercorreva tra richiesta del paziente e accoglienza della domanda. Una tempistica talmente precisa e puntuale da suscitare “invidia” per quei malati che invece debbono attendere un tempo lunghissimo per un approfondimento diagnostico e per un eventuale intervento chirurgico.

Daniele P. era affetto dal 2008 dal morbo di Parkinson, con tutte le pesanti limitazioni che questa malattia nel tempo comporta, e avendo scelto la strada del suicidio assistito si è rivolto all’Associazione Coscioni. L’Associazione in questo campo vanta una competenza impressionante: sono loro che hanno raccolto le firme per la legge regionale che stanno riproponendo di regione in regione, è con loro che lavora instancabilmente Marco Cappato e sono ancora loro che hanno presentato anche un disegno di legge per ottenere la legalizzazione dell’eutanasia.

Sono sempre loro che con la massima determinazione perseguono questo obiettivo, per ora insistendo su un modello di legge regionale modellata sui criteri della Corte, ma dai chiari confini eutanasici, considerata una priorità assoluta. E sempre loro, dopo aver verificato che ci fossero tutte le condizioni previste dalla famosa sentenza della Corte Costituzionale, hanno attivato la pratica, seguendo passo passo sia i criteri della sentenza Cappato che quelli della legge toscana.

Tutto ciò impone a tutti noi una profonda riflessione sul senso e sul significato della vita e della morte. Tanto più che sta per arrivare nell’Aula del Senato il dibattito sulla legge nazionale sul fine vita.

La legge toscana è attualmente molto discussa a livello popolare, contestata dal governo ma non sospesa, ed è criticata da una folta schiera di giuristi che non ritiene possibile avere norme diverse nelle diverse regioni in un ambito così delicato come lo stretto confine tra la vita e la morte. E per tutti vale il principio, più volte ribadito dalla stessa Corte costituzionale, che tutta la nostra Carta costituzionale è caratterizzata da un innegabile favor vitae.

Cure palliative: prima, meglio

Ma il no alla deriva eutanasica di una qualsivoglia legge sul fine vita impone anche delle azioni di contrasto che oppongano al diritto di morire il diritto di vivere e impongano tempi certi per la cura e la presa in carico di malati, che ancorché inguaribili sono pur sempre curabili.

Per rovesciare il paradigma della morte come diritto da poter realizzare quando e come si vuole, occorre mettere in pole position il diritto a ricevere tutte le cure necessarie, in modo adeguato, tempestivo, ed efficace. Quelle cure palliative che non possono assolutamente essere proposte nel momento in cui al malato manca poco tempo per morire e qualcuno sostiene che non c’è più nulla da fare. Si può sempre fare qualcosa di più e qualcosa di meglio; si può agganciare un’attività di ricerca più moderna e meglio orientata alla dignità e alla qualità di vita del paziente e della sua famiglia.

Abbiamo bisogno di più cure palliative in contesti sempre più idonei non solo a controllare il dolore e la sofferenza, ma anche a riflettere sul senso della vita. La vita, il suo valore, non possono essere misurati solo da criteri produttivi: cosa riesco a fare e quanto vale quel che faccio. Bisogna tornare a scoprire una dimensione più contemplativa che ce ne faccia sperimentare una diversa bellezza, nel calore dell’amicizia, nell’esperienza dell’arte, della musica e della letteratura, in nuovi hobby che si possono sperimentare.

Ma per questo non si può attendere che il malato, o la sua stessa famiglia, siano arrivati all’ultimo miglio. Più cure palliative significa anche più formazione in cure palliative. Forse non è una specializzazione che si può fare a 24-25 anni; forse ci vuole maggiore esperienza umana e maggiore maturità professionale. In questi primi anni dall’istituzione della scuola di specializzazione in cure palliative, ci sono state meno richieste rispetto ai posti disponibili; probabilmente i giovani medici non ne comprendono ancora abbastanza il valore, tanto più in una società come l’attuale, in cui molte patologie offrono una evoluzione positiva, pur senza guarire definitivamente.

Dai malati oncologici a quelli che sono affetti da patologie neurodegenerative; dai grandi anziani alle persone con gravi forme di disabilità. Tutti i pazienti hanno diritto a conoscere bene il valore delle cure palliative, come cure che curano davvero e né loro né le loro famiglie debbono temere che non offrano soluzioni adeguate alla loro condizione. Le cure palliative sono vere cure, le migliori possibili nella condizione concreta in cui si trovano il paziente e la sua famiglia.

Una visione integrale e integrata di questo modello di terapia in cui al centro c’è l’uomo tutto intero, con tutta la sua umanità, la sua fragilità ma anche la sua forza. La forza di chi vuole vivere, nonostante sappia che non sarà del tutto semplice e potranno esserci difficoltà, ma che non dovrà mai affrontarle da solo. Sia lui che la sua famiglia troveranno sempre una risposta efficace per le loro esigenze fisiche e psicologiche, sociali e spirituali.

Questo è un tempo in cui la dialettica tra deriva eutanasica e cure palliative costituisce una delle sfide più importanti sul piano della ricerca, dell’assistenza e della formazione. Abbiamo bisogno di esperti in cure palliative tra i medici, gli infermieri e tra gli operatori sociosanitari. Ma anche tra gli amministratori, gli economisti e i politici. Le cure palliative sono un abito su misura per chi le pratica come professionisti e per chi le riceve come paziente e come familiare. Definiscono una nuova alleanza tra curanti e pazienti, in cui ognuno si mette in gioco prima di tutto come persona e poi per il ruolo che gli tocca.

Confine pericoloso

La legge Toscana ha marcato un confine pericoloso tra diritto di morire e diritto di vivere, e ha concentrato il dibattito sul diritto di morire, come se la libertà individuale si misurasse soprattutto con la possibilità di morire quando e come voglio. Un fraintendimento molto grave rispetto al diritto di vivere, che comporta un continuo sviluppo di talenti e di capacità, una promozione dell’umano che c’è in ognuno di noi fino al termine della nostra vita. È la nostra speranza, umana e divina, che vale la pena coltivare su tutti i piani: etico e scientifico, professionale e familiare; ed è la speranza che segna il confine tra l’approccio eutanasico e il grande campo delle cure palliative. L’eutanasia coincide con un mondo senza speranza, mentre le cure palliative mantengono sempre viva la speranza, in tutte le sue manifestazioni.

Fonte: Pola Binetti | IlSussidiario.net

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