A proposito del secondo Festival dell’«umano tutto intero» e dell’imminente discussione parlamentare sul fine vita
In questi giorni si svolge a Roma il secondo Festival dell’«umano tutto intero», promosso da circa cento associazioni del mondo cattolico, raccolte nella sigla “Ditelo sui tetti!”, per porre al centro del discorso pubblico la questione antropologica, cioè la difesa e la promozione di quei valori appunto umani, comuni a ogni uomo, che diverse forze ideologiche e politiche stanno cercando di marginalizzare e di espellere dalla vita pubblica.
Per ricordarvi l’importanza di questo appuntamento vi rimando a un libro recente di Pierpaolo Donati (Ares 2024), che nel titolo indica il suo scopo (Una cultura che trasforma il mondo) e nel sottotitolo segnala, invece, il metodo attraverso cui raggiungere lo scopo (La vita come relazione). Il fine del Festival è proprio quello di creare delle relazioni “buone” fra persone di diversa provenienza associativa, per proteggere e promuovere l’umano così come viene descritto nei diversi panel che si susseguono nei giorni del Festival.
Infatti, è proprio la relazione che viene attaccata da molti decenni, ormai. La relazione fra il marito e la moglie, quella fra i genitori e i figli, fra maestri e discepoli, per quindi arrivare alle relazioni più ampie, fra i gruppi, i partiti, gli Stati. E invece di coltivarle e proteggerle, invece di favorire la comunione e la collaborazione, le ideologie rabbiose e dialettiche che imperversano dal 1968 cercano di esasperare i conflitti fra maschi e femmine, fra genitori e figli, per arrivare alle nazioni e agli Stati. Così scoppiano le guerre, quelle drammatiche cui assistiamo, ma anche quelle meno visibili ma altrettanto letali che si combattono dentro le famiglie, fra i coniugi, nelle micro-comunità.
E allora ben vengano tutte quelle iniziative, come il Festival dell’«umano tutto intero», che servono a fare incontrare le persone e le associazioni, perché amandosi e collaborando possano perseguire il bene comune.
Non c’è bisogno di spiegazioni per mostrare l’importanza di relazioni buone. Le guerre cominciano nel cuore degli uomini e nel fallimento delle relazioni primarie, ed è molto difficile fermare le guerre se non si riesce ad attenuare l’odio che è penetrato nel cuore degli uomini. Ecco perché è molto importante tutto quanto si riuscisse a fare per risanare queste relazioni, che poi sono alla base delle comunità nazionali.
Tanto più che una nuova minaccia contro la relazione primaria per eccellenza, la vita, si sta profilando all’orizzonte. A metà luglio comincerà la discussione in Senato di un progetto di legge in tema di “fine vita”, in realtà, per alcune forze ideologiche e politiche, per la legalizzazione dell’eutanasia anche in Italia. La situazione appare ancora molto confusa e aperta. Dopo l’ultimo pronunciamento della Corte Costituzionale, quasi tutte le forze politiche negano di volere legalizzare il diritto al suicidio. Ma, attenzione, rileggiamo la storia, che è maestra di vita.
È appena uscito un libro di Marina Casini e Chiara Mantovani che ripercorre la storia della legge 194, che introdusse la legalizzazione dell’aborto nel 1978 (Ares 2024).
Anche allora, come oggi col fine vita, la legge diceva che l’aborto non era un diritto, ma poi, nei decenni, l’opinione pubblica è stata bombardata così tanto che, oggi, siamo una minoranza a sostenerlo ancora. Idem per l’eutanasia che si sta profilando all’orizzonte. È importante sostenere nel progetto di legge che la vita non è mai disponibile, in qualsiasi situazione, anche la più drammatica. Infatti, anche oggi si parla di “fine vita”, invece di eutanasia, per non spaventare le persone. Oggi non si usa la parola eutanasia come allora si preferì parlare di “interruzione volontaria di gravidanza” invece di chiamarla aborto. Il libro citato lo spiega benissimo.
Allora la legge passò e venne firmata solo da ministri democristiani, che avrebbero potuto dimettersi, come anche il Presidente della Repubblica. Ci furono alcuni che scelsero di raccogliere le firme per un referendum abrogativo, che non riuscì nell’intento, ma salvò l’onore del mondo cattolico. Se oggi c’è un mondo pro-life, è grazie a chi ha combattuto eroicamente allora.
Anche oggi molti vorrebbero rinunciare a combattere e auspicano un compromesso al ribasso prima ancora di cominciare le trattative. Lo ha auspicato espressamente il presidente emerito della Corte Costituzionale, Augusto Barbera, in una intervista in cui ha detto, riferendosi appunto alla legge sull’aborto del 1978, che «tutti in quella legislatura diedero il loro apporto: democristiani e comunisti, laici e cattolici. Fu trovato un punto di equilibrio. E quell’equilibrio regge ancora» (La Stampa, 11 giugno). Noi speriamo di raggiungere un altro equilibrio, meno mortifero.
Non si tratta di essere irrealisti, né di negare i numeri, ma si tratta di avere in mente l’ideale, cioè la difesa della vita sempre e comunque, di volere veramente e non solo a parole la diffusione delle cure palliative, poi di accettare quello che realisticamente si potrà ottenere.
Si tratta, insomma, di avere una dignità e di mostrarla
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